Yemen, la peggior epidemia di colera al mondo

Roberto Scaini, Medici senza frontiere: «Le cose possono solo peggiorare. Quando il colera colpisce una popolazione già malnutrita otteniamo morti evitabili».

Da oltre due anni lo Yemen sta cadendo sempre più in basso. Tra le conseguenze del conflitto cominciato nel marzo del 2015, spesso dimenticato e considerato un conflitto regionale di scarsa importanza, va annoverata l’epidemia di colera che ormai è riconosciuta dall’Organizzazione mondiale della Sanità come la peggiore crisi sanitaria al mondo di questo tipo. Il numero di persone contagiate ha superato le 200.000 e secondo un comunicato congiunto dell’Oms e di Unicef, cresce di 5.000 unità al giorno. Le vittime inoltre si stimato in oltre 1.300.

Ricomparso lo scorso ottobre, il colera «sta interessando tutti i governatorati del Paese», spiega il medico Roberto Scaini, di Medici Senza Frontiere, che è stato a capo dell’équipe medica dell’ospedale di Haydan, nel nord dello Yemen, e negli ultimi due mesi ha mantenuto contatti costanti in varie aree. «È una situazione che ci aspettavamo sin dall’inizio – ricorda – perché quella che è la situazione, ormai di normalità, faceva presupporre che la diffusione sarebbe stata ovunque veloce e completa».

Il colera è causato dall’ingestione di cibo o di acqua contaminata dal batterio vibrio cholerae e richiede un trattamento rapido, prima che possa portare alla disidratazione e alla morte. Si tratta di una malattia che in condizioni normali si può facilmente prevenire, ma in Yemen oggi niente è normale. «Il Paese – continua Scaini – è davvero allo stremo e le cose possono solo peggiorare. Quando il colera va a interessare una popolazione che è già indebolita dalla malnutrizione, otteniamo quei circa 1000 morti che in altre situazioni non si sarebbero mai avuti. Ormai la popolazione è fragile, non ha accesso alle cure in nessun modo, neanche per le patologie più banali, quindi siamo in una polveriera anche dal punto di vista sanitario. Per questo purtroppo non siamo stupiti del colera e non siamo stupiti del dove si sta andando a finire. Questa è un’emergenza vera e propria».

Secondo Sherin Varkey, rappresentante di Unicef in Yemen, la guerra ha reso inutilizzabile, o comunque parzialmente operativa, oltre la metà delle strutture mediche e sanitarie del Paese, rendendo ancora più pesante la situazione di un Paese che, aggiunge Scaini, «è afflitto da una povertà cronica». In un contesto del genere è sempre difficile stimare correttamente la dimensione del problema. «È complicato anche portare avanti qualsiasi intervento atto a limitare un po’ la diffusione dell’epidemia», prosegue Roberto Scaini.

Tra le possibili strategie che si possono attuare in contesti dove la malattia è endemica, come lo Yemen, va sicuramente citato il rifornimento di vaccini, anche se la logistica del Paese è particolarmente complicata. Inoltre, spiega Scaini, «la copertura non è completa neppure nei soggetti vaccinati». In realtà, il problema principale di un qualsiasi vaccino in un contesto come lo Yemen, non solo di quello contro il colera, è che una campagna vaccinale richiede risorse ingenti e la possibilità di raggiungere aree del Paese che oggi non sono agibili. «Aggiungiamo che l’embargo rende difficile anche l’ingresso dei farmaci nel Paese – dice Roberto Scaini – e peraltro adesso è anche abbastanza tardi per pensare a una cosa del genere, visto che ormai l’epidemia è diffusa pressoché ovunque».

Quando si parla di un’epidemia che, come quella di colera, è fortemente correlata alla dimensione socio-sanitaria, bisogna tenere presente che anche la risposta deve muoversi su due fronti differenti. «Ne esiste uno più strettamente medico – argomenta Scaini – che consiste nel fornire le cure ai soggetti che hanno contratto l’infezione, ma dall’altra parte c’è tutto un intervento di tipo logistico e di igiene pubblica, che va dall’aggiunta di cloro all’acqua all’accesso all’acqua potabile e tutto questo oggi non avviene nello Yemen. Siamo ben lontani dall’avere le condizioni minime in cui questo si può realizzare, ma anche lo sforzo che Medici senza frontiere sta facendo nel Paese è anche quello di assicurare il buon funzionamento di tutti e due i sistemi. Ormai abbiamo aperto diversi centri specifici per il trattamento del colera, dove il paziente viene isolato, quindi non è più fonte di contagio e dall’altra parte viene curato e guarito, perché ricordiamo che un buon trattamento medico porta la guarigione del 98-99% dei pazienti».

Mentre la popolazione si trova a fare i conti con questa crisi sanitaria, lo scontro militare tra la coalizione a guida saudita, che sostiene il governo di Abd Rabbih Mansour Hadi, con sede ad Aden, e le forze ribelli degli Houthi, che controllano la capitale Sana’a e sono alleate con l’ex presidente Ali Abdullah Saleh, non ha nessun orizzonte di conclusione. Sul terreno, inoltre, è presente anche Al Qaeda, che controlla alcune aree nel centro del Paese e lungo la costa. «Il rischio di essere collocati in uno schieramento o in un altro – dice a proposito Scaini – c’è sempre. L’abbiamo sempre scongiurato utilizzando la testa, che significa operare su entrambi i fronti. Questo per noi rimane sia un rispetto di quelli che sono i nostri principi di neutralità e imparzialità, sia una garanzia di sicurezza: aiutando entrambe le parti in conflitto, che è un nostro preciso mandato, ci garantiamo anche di agire sempre in maniera sicura e di evitare di essere tacciati come dei sostenitori di una delle due fazioni in conflitto. L’unica cosa che potrà servire per risolvere anche la crisi sanitaria però è la pace. Il punto però è che quella che abbiamo davanti è un’emergenza vera».

Immagine: via Pixabay

di Marco Magnano | Riforma.it

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