Vuoi educare? primo… essere da esempio…

Sempre più si fa un parlare, da parte di specialisti della salute e studiosi dei costumi sociali, di uno smoderato uso di tecnologie multimediali. A tal punto che la mania dell’utilizzo di tale tecnologie rientra nella nomenclatura del manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM V) come new addiction. Una forma di dipendenza senza sostanza. La dipendenza, come fenomeno patologico è descritto dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) come condizione fisica e psichica, causata dall’interazione tra una persona e una sostanza o un oggetto o una persona. Il bisogno di questa interazione stimola un atteggiamento compulsivo per provare effetti psichici di benessere momentaneo e/o per evitare il malessere della privazione. In sintesi le dipendenze senza sostanza si riferiscono a una vasta gamma di comportamenti anomali: gioco d’azzardo patologico; dipendenza da TV, da internet, dallo shopping compulsivo, dal sesso e dalle relazioni affettive. Ricerche statistiche e cliniche in merito evidenziano che sempre più giovani e adolescenti manifestano di questi disagi. Ma il soffermarsi solo su essi ne sminuisce la portata e non prende in considerazione la responsabilità dell’adulto che, a mio avviso, ha una funzione significativa ed educativa in proposito. Oggi si vive sempre più un “gap generazionale” dove discorsi da bar fanno propendere con le solite frasi di circostanza: “i giovani di oggi….”; “ai nostri tempi”; “quando eravamo noi ragazzi”, “i nostri genitori erano diversi”… ecc. ecc… tempi moderni. Con queste affermazioni l’adulto si deresponsabilizza nel chiudere gli occhi, ma soprattutto, indirettamente non coglie il valore educativo che ancora gli compete. Da sempre il valore educativo è nell’esempio, nel trovare un modello. Secondo lo psicologo canadese Albert Bandura l’apprendimento non implica solo l’esperienza diretta con gli oggetti o le persone, ma avviene anche attraverso esperienze “indirette” attraverso l’osservazione di altre persone che fungono da modello. Se Lo psicologo Bandura lo evidenzia negli anni 70, nella cultura biblica se ne ravvisa l’importanza dell’adulto come modello educativo. L’esempio emblematico è nel secondo libro dei Maccabei’, (Antico Testamento) della Bibbia, dove al capitolo 6, si legge: “Un tale Eleazaro, uno degli scribi più stimati, uomo già avanti negli anni e molto dignitoso nell’aspetto della persona, veniva costretto ad aprire la bocca e ad ingoiare carne suina. Ma egli, preferendo una morte gloriosa a una vita ignominiosa, s’incamminò volontariamente al supplizio, sputando il boccone e comportandosi come conviene a coloro che sono pronti ad allontanarsi da quanto non è lecito gustare per brama di sopravvivere» con queste parole si nota un uomo che tiene fede ai suoi principi e per essi lotta con tutto se stesso in coerenza.

Ma se noi evidenziassimo solo questo aspetto parleremmo di un uomo che vede solo il proprio “Io” la propria coerenza interna senza riguardo del prossimo. Ecco che Eleazaro così risponde a chi gli obbliga di fare un qualcosa contro il proprio volere: «Non è affatto degno della nostra età fingere con il pericolo che molti giovani, pensando che a novant’anni Eleàzaro sia passato agli usi stranieri, a loro volta, per colpa della mia finzione, durante pochi e brevissimi giorni di vita, si perdano per causa mia e io procuri così disonore e macchia alla mia vecchiaia…. Perciò, abbandonando ora da forte questa vita, mi mostrerò degno della mia età e lascerò ai giovani nobile esempio, perché sappiano affrontare la morte prontamente e generosamente per le sante e venerande leggi». Dette queste parole, si avviò prontamente al supplizio». Nelle affermazioni del vecchio Eleazaro, si coglie un grosso principio educativo. Un grosso esempio,m che forse dovrà far riflettere a molti adulti quando moralizzano sui giovani e ragazzi.

Non è difficile che un genitore, in casa, sia preso dal suo smartphone, magari intento a giocare, a leggere email, ad inviare sms lavorative, a leggere notizie su Internet; una presenza assente. Non è diversa la scena nei contesti pubblici, dove accade sempre più frequentemente nei ristoranti ed altri luoghi simili, che adulti a tavola pur conversando tra di loro hanno occhi puntati sul display; ancora una presenza assente.

Sono molti i genitori e gli adulti che in presenza dei propri figli e/o ragazzi prestano “più” attenzione al cellulare e/o tablet che alle richieste dei figli. Il più delle volte le richieste sono evase proprio per non avere altre interferenze. Come ad esempio un genitore che per non essere distratto dal suo compito dice “sì” al figlio, “acconsente” purché non viene più interrotto o distratto. Sono sempre più frequenti questi atteggiamenti. Scene di disordinati principi educativi dove prende il sopravvento l’effetto negativo della mancanza di interazioni, vis a vis, fondamentali per lo sviluppo emotivo e cognitivo dei bambini.

La verità è che sempre più adulti sono presi dalla dipendenza tecnologia dei media e sempre più adulti si mostrano come esempi sbagliati, poco attenti alle parole del saggio Eleazaro: “mostrarsi degno della propria età in funzione dell’esempio sui giovani”. Comunemente gli adulti hanno la tendenza a puntare il dito, a vedere la pagliuzza e non la trave nei propri occhi (Mt 7). Ignari che, dal punto di vista psicologico, il non rispondere e il non essere attenti ai bisogni dei figli, soprattutto bambini, ne compromette l’identità poiché si manca di un sano rispecchiamento. Io esisto in funzione del fatto che tu mi vedi e mi apprezzi.

Lo sviluppo della multimedialità, dei social net, sta contribuendo a profonde trasformazioni sociali riguardo comunicazione e le relazioni. Con la multimedialità e i social si annullano le distanze della comunicazione, ma ahimè sta aumentando anche la distanza relazionale intima. Comunicarsi e comunicare attraverso un social è rendersi pubblici a tutti. Molti adolescenti pensano che farsi confidenze con l’amico/a del cuore, sulla piattaforma multimendiale, rimane in segreto. In realtà quel segreto è dominio di tutti e il più delle volte può essere utilizzato a malo modo proprio contro chi ha fatto la confidenza all’amico/a del cuore. Questa tecnologia, e di conseguenza l’oggetto che ce la fa utilizzare (tablet, computer, cellulare, smartphon) ha il doppio ruolo, ambiguo di avvicinarci in comunicazione sociale ma allontanarci da relazioni affettive privatistiche.

Senza estremizzare il progresso, la multimedialità o cellulare, deve essere uno strumento di comunicazione e non il prendere il posto delle relazioni; può aiutare a superare difficoltà di solitudine e non essere la cura per la solitudine; può essere un motivo per sedare un’ansia genitoriale, qualora un figlio vada in vacanza fuori o sia lontano ma non può essere controllo sul figlio. In una società presa dalle sfaccettature di un disagio interiore, la dipendenza dalla tecnologia e multimedialità, ne rappresenta l’ansiolitico moderno in un circuito senza fine considerando che uno studio presentato dai ricercatori della Corea Korea University di Seoul sull’uso compulsivo di tali tecnologie aumentano disturbi del sonno, ansia e depressione di cui molti giovani e adolescenti ne soffrono. Agli adulti non resta che interrogarsi su come prevenire; essere modelli coerenti.

Bibliografia

Bandura, A. (1997), Autoefficacia: teoria e applicazioni. Tr. it. Edizioni Erickson, Trento, 200

Di Gregorio L. (2003). Psicopatologia del cellulare. Dipendenza e possesso del telefonin o, Franco Angeli, Milano.

Guerreschi C. (2005). New addictions. Le nuove dipendenz e, Edizioni San Paolo, Milano.

di Pasquale Riccardi


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