Un’infanzia difficile, disordini in famiglia, divorzio dei genitori e una malattia diagnosticata tardi. E poi, l’ideologia dilagante. Sono tutte queste cose associate che hanno portato una ragazza neozelandese a decidere di ingerire ormoni per somigliare ad un uomo. Peccato, che il dolore immenso che la lacerava non fu risolto da questa “cura” consigliatale dal medico. Anzi, proprio il fatto di vedersi ancora più triste di prima e a disagio, la gettò in una depressione ancora più profonda che l’ha portata a tentare per due volte il suicidio.
Lei si chiama Zahra Cooper, ha 21 anni, e in un’intervista comparsa sul The New Zeland Herald ha spiegato di aver sofferto di crisi identitarie fin da piccola. Già allora era molto timida e introversa, ma la situazione peggiorò dopo la separazione dei genitori. Cambiò casa e poi si trasferì dal nonno. Ma, incapace di qualsiasi relazione si isolava in casa senza riuscire ad incontrare amici con cui entrare in repporto. Il momento peggiore per Zahra, fu quello dello sviluppo, quando a 14 anni il suo corpo si trasformò e lei che non voleva avere relazioni cominciò a vederlo come un nemico, dato che lo sviluppo della sessualità contrastava con la sua voglia di scomparire: “Ogni cosa del mio corpo, semplicemente, la odiavo”. La ragazza pensò che forse le accadeva tutto questo perché era attirata dalle donne più che dagli uomini ma poi, navigado in internet, si convinse di essere transessuale. Perciò cominciò a chiedere al ononno di essere chimata Zane e di essere trattata come un maschio. Cosa che il nonno non volle assolutamente accettare. Decisa a cambiare sesso si recò dal medico che la fece nascere e che le ricordò: “Ti ho tirato fuori dal gremboi di tua madre, sei una femmina”. Ma Zahra si arrabbiò e si recò da un altro specialista che la mandò da uno psichiatra. La diagnosi che le venne fatta fu questa: disforia di genere. Mentre la cura, invece che essere come dovrebbe, psicologica, fù di tipo ormonale. In poche parole, secondo lo psichiatra, la soluzione era di diventare maschio.
Così la ragazza cominciò ad ingerire ormoni che, spiega oggi con tristezza “mi cambiarono anche la voce: era più grave, mi crebbero i peli sul viso e ci furono altri cambiamenti, ma non ero felice. Non mi sentivo io”. Semplicemente perché quella non era lei: “ Cominciai a diventare depressa. E mi chiedevo, ma perché sono depressa? Dovrei essere felice”. E più il fisico cambiava più Zahra diventava irascibile, aggressiva e ansiosa. Perché, pur spreando di ritrovare la sua identità, “non mi sentivo me stessa”, ha sottolineato la ragazza. Il nonno, Viktor Rakich ha ricordato che “quando ha cominciato a prendere quelle pastiglie, la vedevo peggiorare, ma nessuno mi credeva”. Insomma mentre la transizione avveniva, il nonno di Zahra veniva messo a tacere da tutti. Ma, poco dopo, la nipote tentò il suicidio, perciò il nonno la obbligò a cambiare psichiatra, il quale scoprì che la giovane era affetta dalla sindrome di Asperger, che porta all’isolamento. Il che, unito alla situazione famigliare disastrosa, aveva aggravato il disagio e la crisi d’identità della ragazza. “A questo punto – ha continuato la giovane – tutto è cambiato e così ho cominciato a pensare a fondo”
Oggi che Zahra ha decisio di interrompere l’assunzione di ormoni è triste per due motivi. Il primo è relativo alle diagnosi sbagliate per cui avrei potuto capire meglio me stessa”. Il Secondo riguarda i segni che il trattamento ormonale hanno lasciato sulla sua persona. Ma soprattutto, ha ammesso, la ragazza teme di essere giudicata male “perché sono tornata indietro”. Svelando così l’ipocrisia di una società omosessualista che sostiene che ognuno ha il diritto di “essere ciò che vuole” solo finché ciò non significa mettere in crisi la teoria per cui la transizione dal sesso di nascita, se lo rifiuti, non comporterebbe alcun problema. Anzi, lo risolverebbe. Così, sebbene Zahra non neghi tutt’ora l’ideologia gender, di certo rimpiange la sua scelta, ammettendo che “mi hanno chiamato signore a causa della mia voce anche se mi vesto come una ragazza” e “ a volte mi fa arrabbiare”, perché “mi piacerebbe essere vista come una femmina”. Cosa deve accadere ancora per capire che è con la sua identià che una persona sofferente e confusa va aiutata a riconciliarsi?
di Benedetta Frigerio | Lanuovabq.it
Ti è piaciuto l'articolo? Sostienici con un "Mi Piace" qui sotto nella nostra pagina Facebook