Il Ruolo Del Cristiano Nella Società (Matteo 5:13-16)
“Sopra il sale non c’è sapore, sopra Dio non c’è Signore”. E’ un antico proverbio che vuole definire l’assoluta importanza del sale nell’insaporire le pietanze. E’ come dire: il sale migliora ogni vivanda, anche quelle più povere. L’importanza del sale in cucina è tale che non manca neppure l’attenzione poetica che ha conferito ad esso dignità letteraria. In una poesia del poeta cileno Pablo Neruda, vissuto nella metà dello scorso secolo, è esaltata la sua unicità e bellezza.
“…. Vicino ad Antofagasta sogna la pampa salina: è una voce rotta, un canto pietoso. Poi nelle sue viscere il salgemma, montagna di luce sepolta, cattedrale trasparente, cristallo di mare, oblio delle onde. E quindi, su tutte le tavole del mondo tu, sale, agile sostanza vai spolverando luce vitale sopra gli alimenti…”.
Del sale parla anche Gesù nel suo lungo discorso sul Monte, precisamente subito dopo avere delineato il carattere del discepolo con le enunciazioni delle Beatitudini. Mentre queste fanno alzare gli occhi del discepolo verso il cielo, le metafore del sale e della luce lo radicano responsabilmente nelle caotiche strade della quotidianità della vita sociale, portando con sé il giogo leggero dell’evangelo che libera.
Strutturalmente le due proposizioni sono dominanti e in parallelo l’una con l’altra, anche se vi sono sottili sfumature. Il testo è intimamente legato con il versetto 11, il quale evidenzia lo stato di sofferenza dei discepoli per il semplice fatto di essere cristiani, senza che essa possa fiaccare la loro testimonianza. Suggestive sono le parole di Bonhoeffer: “…. Essi vengono caratterizzati con il simbolo del bene più indispensabile sulla terra. Essi sono il sale della terra. Sono il bene più nobile, il massimo valore che la terra possiede. Senza di loro la terra non può sussistere. La terra viene, mantenuta per mezzo del sale, che sono i poveri, gli ignobili, i deboli che il mondo ripudia …. Questo “sale divino” dà prova della sua efficacia, compenetra tutta la terra”. (1)
Siamo di fronte ad un paradosso: coloro che sono poveri, afflitti, desiderosi di giustizia, perseguitati sono il sale della terra, sono un “disinfettante” della moralità secolare, in un mondo dove gli standard morali sono flebili, in continuo cambiamento, persino inesistenti. La metafora del sale, con cui Gesù definisce i suoi discepoli, è incisiva. E’ comunemente noto che il sale è una sostanza indispensabile nell’uso domestico. Esso ha in sé una doppia funzione, quella di insaporire le vivande e quella di conservare gli alimenti. Con l’uso metaforico della preziosità del sale che dà sapore ai cibi e che protegge dalla putrefazione gli insaccati, Gesù conferisce ai discepoli il compito di insaporire spiritualmente una società in caduta libera nel baratro di una umiliante immoralità e allo stesso tempo la preserva dalla corruzione e dal decadimento. Ciò è possibile grazie a uno stile di vita esemplare e alla coraggiosa testimonianza verbale del discepolo di Gesù. Tuttavia, può il discepolo di Gesù scivolare in una condotta scriteriata e immorale, vanificando il messaggio contro culturale dell’Evangelo. Con la congiunzione avversativa, “ma”, il Signore introduce un accorato ammonimento: “Ma se il sale diventa insipido con che cosa lo si salerà?” Ci troviamo di fronte alla classica esagerazione dialettica di Gesù: il sale chimicamente non può perdere la sua proprietà, sebbene in Palestina fosse noto la perdita delle qualità saline del sale, divenendo insipido ed inservibile a causa del contatto con la terra ed esposto alla pioggia. Ecco il punto di paragone della parabola: il discepolo di Gesù è portatore di una stridente controcultura. Ma se egli si compromette con il pensiero e la morale secolare vigente, egli finisce di esser un “conservante”, perdendo le sue intrinseche qualità saline di insapori mento e di conservazione. Se il discepolo fallisce nella sua missione, dovrà subire il giudizio che gli uomini pronunciano su lui. Può il cristiano riappropriarsi della sua proprietà “salina”, ovvero come può nuovamente rinascere? E’ un tragico quesito che Gesù pone, aggiungendo che la sua credibilità è miseramente “evaporata” come il sale palestinese a contatto con la terra perde i suoi elementi chimici.
“… Voi siete la luce del mondo …” Con queste parole Gesù introduce la seconda metafora attraverso cui ribadisce il ruolo che i suoi discepoli occupano all’interno del tessuto sociale in cui si muovono. La parola greca “Kosmos” richiama innanzitutto l’ordine armonioso dell’universo, ma anche per metonimia la società umana. Quindi, i discepoli di Gesù sono portatori della luce dell’evangelo fra gli uomini che vivono nell’ignoranza del Numinoso, anche se i loro filosofi hanno tentato una accurata indagine speculativa. Se Gesù è luce del mondo, i suoi discepoli vivono di luce riflessa, come gli astri ricevono la luce dal sole. Essi, se non tengono alta la fiamma della testimonianza, possono comprometterla a tal punto da causarne lo spegnimento. La seconda similitudine ha una duplice sfaccettatura: la metafora della città costruita su un monte e la lucerna di una casa rurale palestinese. La testimonianza del discepolo è incisiva e visibile. Come una città costruita su un cocuzzolo (Gesù sta pensando a Gerusalemme?) Che è visibile a occhio nudo da lontano, o come una lampada che si accende in un candeliere per illuminare l’antico ambiente domestico in modo che gli uomini si dedicano alle occupazioni abituali, così anche la testimonianza dei discepoli deve essere visibile attraverso le buone opere (Cfr. Atti 2: 42-47; Mt 5:43-47; 1^ Cor. 13:1-8) non per auto glorificazione o autoaffermazione, ma per il semplice risultato di essere alla sequela di Cristo, ossia amare senza avere nulla in tornaconto nel più completo anonimato. Sono pungenti le parole di Bonhoeffer:
“La fuga nell’invisibilità è rinnegamento della chiamata. Una chiamata di Gesù che vuole restare comunità invisibile non è più comunità che segue Gesù …. Il moggio sotto cui la comunità visibile nasconde la sua luce può essere sia paura degli uomini sia cosciente conformismo con il mondo per conseguire determinati scopi, siano essi di carattere missionario che di un malinteso amore per gli uomini. Ma potrebbe anche essere, e questo è ancora più pericoloso, una cosiddetta teologia riformata che osa persino chiamarsi “theologia Crucis” e che è caratterizzata dal fatto che alla “farisaica” visibilità preferisce una “umile” invisibilità sotto forma di totale incorporazione nel mondo. In questo caso segno di riconoscimento della comunità non è una eccezionale visibilità, ma una sua conferma nella “jistitia Civilis”. (2)
Le parole ammonitrici di Gesù giungono alle orecchie del cristiano del XXI secolo, parole chiare, inequivocabili, radicali, che non lasciano spazio ad alcuna interpretazione ammorbidente: egli è chiamato ad essere sale della terra e luce del mondo senza che il mondo possa polverizzare il sale e affievolire la luce.
“… E con la chiamata di Gesù ai discepoli non è solo assicurata l’invisibile efficacia del sale, ma anche il visibile splendore della luce …. In questa luce devono essere viste le buone opere … buone opere che Gesù stesso suscitò in loro quando li chiamò, quando li fece luce del mondo sotto la sua croce: essere poveri, stranieri, miti, apportatori di pace, essere perseguitati e respinti, e in tutto ciò una sola cosa: portare la croce di Gesù. La croce è la strana luce che risplende, e in questa sola tutte quelle opere buone dei discepoli possono essere viste. … Visibile diventa la croce, visibili diventano le privazioni e la rinunzia di quelli che sono chiamati beati. Ma nella luce della croce e di questa comunità non si può più lodare l’uomo, ma Dio solo. Se le buone opere fossero varie virtù di uomini, allora per esse non si loderebbe più il Padre, ma il discepolo. Ma così non resta nulla di degno di lode nel discepolo che porta la croce, nella comunità la cui luce risplende ed è visibile sul monte: per le loro “buone opere” solo il Padre celeste può essere lodato. Così vedono la croce e la comunità sotto la croce e credono in Dio. Ma questa è la luce della resurrezione”. (3)
- Dietrich Bonhoeffer- Sequela- Queriniana ed, Brescia 1971, pag. 96
- Dietrich Bonhoeffer- Op. cit.-pag. 98-99
- Dietrich Bonhoeffer- Op.cit. pag. 99-100
Paolo Brancè | Notiziecristiane.com
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