La rivolta contro il regime di Assad in tre anni ha causato 150mila morti (oltre 51mila civili, di cui quasi 8mila bambini), 2,6 milioni di rifugiati oltreconfine e 6,5 milioni di sfollati interni. Il Pil è crollato del 45%, la moneta ha perso l’80% del valore. Oltre un milione di siriani hanno cercato riparo in Libano, appello Onu: aiutiamo Beirut a gestire l’emergenza.
Beirut (AsiaNews/Agenzie) – Oltre 150mila morti, milioni di sfollati e una nazione in rovina. In tre anni, la rivolta siriana contro il presidente Bachar al-Assad si è trasformata in una guerra civile dalla portata devastante. Il conflitto, iniziato nel marzo 2011 con una sollevazione di popolo pacifica contro il regime, ha innescato una repressione sanguinosa e un’escalation militare che ha colpito in primis la popolazione. Oggi i riflessi di questa guerra sono visibili in tutta la regione del Medio oriente e, in particolare, in Libano dove si è riversata la maggioranza dei profughi. In base alle ultime stime di questi giorni, sono più di un milione i rifugiati siriani in cerca di accoglienza nel Paese dei Cedri.
Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, con base in Gran Bretagna, almeno 150.344 persone – di cui 51.212 civili e, fra questi, 7.985 bambini – sono morte nel conflitto; una guerra che in un primo momento vedeva contrapposti regime e ribelli, ma che col tempo si è fatta sempre più complessa e articolata con l’ingresso di miliziani islamisti, jihadisti e mercenari stranieri al soldo dell’opposizione.
Il Comitato internazionale della Croce Rossa (Cicr) riferisce che il numero dei feriti è di oltre mezzo milione; almeno 17mila le persone scomparse nel nulla e “decine di migliaia” quelle rinchiuse nelle carceri del regime di Damasco. Organizzazioni a difesa dell’infanzia aggiungono che il numero di bambini colpiti dalla guerra si è raddoppiato nel corso dei tre anni, toccando quota 5,5 milioni; un milione di minori si troverebbe inoltre in aree “sotto assedio o irraggiungibili” da parte di gruppi e movimenti umanitari. Altre vittime del conflitto sono le donne, oggetto di violenze sessuali, stupri e abusi in galera; e ancora, usate come scudi umani o sequestrate per umiliare o ricattare le famiglie di origine.
Gli ultimi dati forniti dalle Nazioni Unite mostrano come tre anni di guerra abbiano messo in ginocchio la Siria, con effetti “catastrofici” sulla vita sociale, economica e culturale del Paese. Il 40% degli ospedali è andato distrutto, un altro 20% funziona a ritmo ridotto. Il Prodotto interno lordo (Pil) è crollato del 45% e la moneta locale ha perso l’80% del suo valore originario. Preoccupa inoltre il numero dei profughi fuggiti oltreconfine (almeno 2,6 milioni) e il dato relativo agli sfollati interni, circa 6,5 milioni. Fra quanti hanno cercato salvezza all’estero, oltre un milione ha scelto il Libano, seguito da Turchia (634mila), Giordania (poco più di 584mila), Iraq (227mila) ed Egitto (135mila).
La guerra in Siria si allarga quindi alla regione Mediorientale e, in questo contesto, c’è un Paese che più di ogni altro deve subirne in prima persona i riflessi, il Libano, dove si assiste a una vera e propria emergenza umanitaria. Secondo l’Alto commissariato Onu per i diritti umani (Unhchr) i rifugiati siriani rappresentano ormai un quarto della popolazione libanese, con oltre 220 rifugiati per ogni mille abitanti. Alti funzionari Unhchr sottolineano che “i libanesi mostrano una invidiabile generosità, ma lottano per farvi fronte […] Non possiamo lasciargli portare da soli questo fardello”.
Anche Beirut vive un momento di crisi economica dovuta anche al confitto in Siria, con un marcato declino nei settori del commercio, del turismo e degli investimenti esteri, assieme a una crescita della spesa pubblica. Stime della Banca mondiale indicano che nel 2013 la crisi a Damasco è costata almeno 2,5 miliardi di dollari al Libano in perdita di attività economiche; si teme che, entro la fine dell’anno, almeno 170mila libanesi possano cadere nella povertà. “Sostenere il Libano – aggiungono fonti Onu – non è solo un imperativo morale, ma è un passo necessario per fermare un degrado continuo della pace e della sicurezza in questa società fragile, e in tutta la regione”.
Fonte: http://www.asianews.it/
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