Vigilare sul linguaggio…No al Razzismo!

1363842328894no-al-razzismo__1_Intervista a Mercedes Frias, presidente dell’associazione «Prendiamo la parola». Il razzismo e la xenofobia vengono veicolati attraverso la costruzione del discorso pubblico, politico e culturale.

La nomina nel neo-governo del ministro per l’Integrazione di origine congolese Cécile Kyenge Kashetu, da sempre in prima linea per i diritti dei migranti, ha suscitato molte reazioni positive ma ha scatenato anche insulti, minacce e commenti xenofobi espressi soprattutto via web da rappresentanti della Lega e da attivisti di Forza Nuova, formazione neofascista italiana. Su questi attacchi è intervenuta Mercedes Frias nel corso del suo intervento alla tavola rotonda che ha aperto il seminario «Siamo tutte migranti», organizzato dalla Federazione delle donne evangeliche in Italia (Fdei) lo scorso 10 maggio a Roma. A seguito di quell’incontro abbiamo intervistato Mercedes Frias, credente evangelica, attualmente presidente di Prendiamo la parola, associazione nazionale nata per iniziativa di un gruppo di persone immigrate o di origine straniera coinvolte a vario titolo nella vita politica, sindacale e culturale del Paese. — Che cosa si è verificato in seguito all’elezione di Cécile Kyenge? «La nomina di Cécile Kyenge ha fatto emergere sentimenti razzisti finora sopiti e ha evidenziato la cultura discriminatoria presente in Italia che noi, in quanto persone provenienti da altri paesi e con un altro colore di pelle, conosciamo e sperimentiamo quotidianamente». — L’associazione «Prendiamo la parola» ha espresso immediata solidarietà al ministro. Perché è necessario sostenere Cécile Kyenge? «Difendiamo Cécile, che tra l’altro ha fatto parte della nostra associazione, perché è diventata un bersaglio non per quello che dice o pensa, né per quello che ha fatto o non ha fatto, ma perché è una donna, è nera, e proviene da un paese dell’Africa impoverita. Prendere di mira una persona per quello che è pone un interrogativo sulla cultura di questo Paese. Mi riferisco a una certa cultura diffusa che ha stabilito delle gerarchie secondo le quali esiste una norma  che a esempio è rappresentata dal maschio, bianco, ricco, sui 50 anni  intorno alla quale ci sono i “diversi” che devono chiedere il permesso e giustificarsi per qualsiasi cosa. Quando poi questo “diverso” è ancora più lontano dalla norma perché è di colore nero e viene da un paese che un certo tipo di equilibrio geo-politico ha impoverito, allora egli diventa più facilmente un bersaglio».

Durante la tavola rotonda organizzata dalla Fdei, ha sottolineato che la riflessione sulla cultura richiama un’analisi del linguaggio che utilizziamo, su cui occorre vigilare. Che cosa intende dire? «Il razzismo e la xenofobia vengono veicolati attraverso la costruzione del discorso pubblico, politico e culturale, e in essa il linguaggio ha un valore fondamentale. Rivolgo un appello a tutti affinché si presti attenzione, perché a volte si utilizzano termini che implicano le gerarchie di cui parlavo prima». — Può fare qualche esempio? «Pensiamo all’aggettivo etnico: diciamo cibo etnico, musica etnica, chiese etniche quando facciamo riferimento agli africani, agli asiatici, ai latinoamericani. Ma se pensiamo a un tedesco o a un norvegese non definiremmo il loro cibo “etnico”, né la loro musica “etnica”.

Nessuno dice, a esempio, che la Chiesa luterana in Italia è una chiesa etnica».  La nomina di Kyenge è vista soprattutto dagli immigrati di seconda generazione come una possibilità per portare avanti sul piano legislativo la questione della cittadinanza ai figli di immigrati nati in Italia (ius soli).  In questo cammino quale ruolo possono giocare i tanti italiani e italiane che credono nella costruzione di una società della convivenza, e che si sono mobilitati, a esempio, nella campagna «L’Italia sono anch’io»? «C’è una parte dell’Italia che è democratica, aperta, che non concepisce i diritti come privilegi di alcuni e che non lega il riconoscimento dei diritti alla questione di sangue. Penso che in questo momento la nomina di un ministro che è una donna nera di origine straniera sia una bella occasione per far fronte comune su alcune battaglie di civiltà, come ad esempio: il riconoscimento del diritto di essere cittadini del paese dove si è nati (ius soli), il diritto di voto agli immigrati, e l’abrogazione del reato di clandestinità. Nella costruzione di un’Italia più giusta e inclusiva sono certa che le chiese evangeliche, da sempre in prima linea sul tema della difesa dei diritti, faranno la loro parte. Questo, a mio avviso, è un bel motivo di speranza per le migliaia di cittadini e cittadine immigrati che vivono nella nostra Italia e che quotidianamente contribuiscono a costruire il presente e il futuro di questo Paese».

Tratto da Riforma.it


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