Il 2 ottobre inizia il processo, rimandato a luglio, dell’avvocato cattolico Lê Quôc Quân: per prepararsi ha digiunato e pregato a lungo. Il sostegno di Giustizia e Pace, che chiede la liberazione dell’uomo. Le autorità chiudono in casa la moglie di un pastore mennonita, per impedirle di visitare il marito in cella.
Hanoi – Si terrà il 2 ottobre al Tribunale del popolo di Hanoi la prima udienza del processo a carico dell’avvocato e attivista cristiano per i diritti umani Lê Quôc Quân, arrestato con false accuse di “frode fiscale” nel dicembre scorso. In origine il primo atto del processo era in programma il 9 luglio; per prepararsi al dibattimento in aula, il 42enne aveva osservato un lungo periodo di digiuno e preghiera. Tuttavia, la Corte ha rimandato all’ultimo il procedimento per una improvvisa “malattia” del giudice. La scure delle autorità vietnamite colpisce anche la moglie di un pastore cristiano mennonita, originario degli altipiani centrali, in prigione dall’aprile 2011 e condannato a 11 anni nel marzo 2012.
Da tempo in Vietnam è in atto una campagna durissima del governo contro leader religiosi, attivisti cristiani o intere comunità come successo nelle ultime settimane nel territorio di Vinh, dove media e governo hanno promosso una campagna diffamatoria e attacchi mirati contro religiosi e fedeli. La repressione colpisce anche singoli individui, colpevoli di rivendicare il diritto alla libertà religiosa e al rispetto dei diritti civili dei cittadini.
Fra i casi più evidenti quello dell’avvocato cristiano: per la sua liberazione attivisti e semplici fedeli di Vinh, cittadina di origine dell’uomo, avevano promosso un ritiro spirituale e preghiere comuni. Egli si è battuto a lungo per i diritti umani e la democrazia, manifestando contro “l’imperialismo” di Pechino nel mar Cinese meridionale. Per il suo rilascio si è spesa anche la Commissione Giustizia e Pace di Vinh, che accusa le autorità di “repressione politica” contro un “militante pacifico”.
Intanto, secondo quanto riferisce Radio Free Asia (Rfa), le autorità vietnamite hanno sbarrato le porte di ingresso della casa dell’attivista e pastore cristiano Nguyen Cong Chinh, impedendo così alla moglie e ai cinque figli di lasciare l’edificio. Leader di una confessione protestante messa al bando perché “mina l’unità nazionale”, egli è in carcere da due anni; dal racconto della donna, sembra che dietro la decisione della polizia vi sia il tentativo di impedire ogni contatto fra l’uomo in cella e la sua famiglia. “È una vera e propria repressione” denuncia la moglie del pastore mennonita, “non abbiamo fatto nulla di male e continuano a terrorizzarci”.
Da AsiaNews
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