La Corte Europea dei diritti dell’uomo fa pressing sull’Italia perché riconosca la pratica dell’utero in affitto. Questa è la sintesi di una sentenza emessa ieri dai giudici europei (Echr 028-2015) che riguarda una coppia di nostri connazionali. Questi i fatti. I coniugi Donatina Paradiso e Giovanni Campanelli non riescono ad avere figli e così dopo aver tentato con la fecondazione artificiale di tipo omologo ecco che volano a Mosca per avere un bambino tramite la pratica dell’utero in affitto. Si rivolgono quindi alla società legale Rosjurconsulting affinché istruisca la pratica. Il bebè nasce il 27 febbraio 2011 a Mosca grazie ad una donna che si è offerta di portare a termine la gestazione. Il bambino non è figlio genetico né della signora Paradiso né del marito. Per la legislazione russa il figlio è però di coloro che lo hanno “commissionato”.
I due coniugi partono quindi alla volta dell’Italia e chiedono al comune di Colletorto dove abitano di registrare il bambino come loro figlio. L’ufficiale di stato civile, imbeccato dal consolato italiano in Russia, rifiuta la registrazione perché correttamente fa notare che un bambino perché possa essere figlio legittimo di Tizio e Caia deve essere loro figlio biologico riconosciuto oppure figlio adottato. Da noi la pratica della maternità surrogata è infatti vietata.
E così i due vengono accusati di aver reso false dichiarazioni ad un pubblico ufficiale e di aver portato in Italia un bambino non loro senza rispettare la normativa sull’adozione internazionale. Inoltre, dato che il bambino versava dal punto di vista giuridico “in stato di abbandono”, il Tribunale dei Minori di Campobasso inizia l’iter di adozione di quest’ultimo e così il piccolo nel 2013 viene affidato ad una coppia. Paradiso e Campanelli a quel punto chiedono di essere loro i genitori adottivi, ma il tribunale non accoglie la richiesta.
Nel frattempo, nell’aprile del 2012, i due ricorrono alla Corte Europea affermando che è stato leso il loro diritto al rispetto della vita privata e familiare (art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo) perché il bimbo è stato loro strappato dalle braccia. La Corte dà ragione alla coppia secondo queste motivazioni. Innanzitutto c’è un vulnus alla vita familiare perché il bambino era stato con loro sei mesi, «un periodo che va a coprire tappe importanti della sua giovane vita», scrivono i giudici, «e che ha visto [i due ricorrenti] assumere la veste di genitori nei suoi confronti».
Poi la sentenza aggiunge: «La Corte ha ribadito che l’allontanamento di un bambino dall’ambiente familiare è una misura estrema, che potrebbe essere giustificata solo in caso di immediato pericolo per il bambino». Inoltre si appunta che i due coniugi erano stati dichiarati capaci di adottare nel 2006, ma nonostante ciò i giudici italiani, al momento in cui costoro avevano chiesto l’adozione del minore, li avevano esclusi dall’adozione. La Corte Europea così conclude: da una parte non sussiste un «obbligo per lo Stato italiano di restituire il minore ai ricorrenti, visto che ha sviluppato senza dubbio legami affettivi con la famiglia affidataria con cui ha vissuto dal 2013»; dall’altra si intima all’Italia di pagare 20.000 euro di risarcimento a favore della coppia proprio perché non ha rispettato la loro vita privata.
Qualche riflessione prima sull’operato della nostra magistratura e poi su quella della Corte Europea. I giudici italiani si sono espressi correttamente sul caso. Avere un bambino tramite l’utero in affitto non legittima a diventare suoi genitori. Quel bambino essendo in stato di abbandono non poteva che essere dato in affido o in adozione. E non poteva essere dato in adozione alla coppia che è volata a Mosca per due ordini di motivi. Sia perché, richiamando le parole dei giudici, i due volevano un figlio solo per motivi narcisistici e per risolvere i loro problemi di coppia. Motivi non validi secondo la nostra disciplina in materia per essere ritenuti idonei ad adottare un bambino. In secondo luogo accordare l’adozione ai coniugi Campanelli avrebbe significato legittimare indirettamente la pratica della maternità surrogata. Sarebbe stato cioè un via libera a tutti coloro che vogliono un figlio “per conto terzi”. Basterebbe così avere un figlio tramite maternità surrogata, farlo passare per proprio e, se il tentativo non riuscisse, chiedere l’adozione dello stesso puntellandosi alla pronuncia dei giudici che hanno dato in adozione il figlio ai coniugi Campanelli.
Passiamo all’esame della sentenza della Corte Europea. Esiste in questo caso una violazione del diritto della coppia alla tutela della loro vita privata e familiare? L’art. 8 della Convenzione in origine significava una cosa molto semplice: nessuno, nemmeno lo Stato, può metter becco negli affari di famiglia. Tanto Stato ci deve essere quanto è necessario. Non un grammo di più. Il significato dell’articolo con il passare del tempo è stato stravolto ed è stato usato per avallare qualsiasi pratica: dall’aborto, alla fecondazione eterologa etc. Insomma a casa tua puoi fare quello che vuoi. Risposta: se lo Stato mette in galera una coppia di coniugi che nella loro camera da letto fabbrica bombe in vista di un attentato, non si può dire che si tratta di un’invadenza del pubblico nel privato. Se lo Stato vieta l’utero in affitto e prescrive una certa disciplina per l’adozione, tutti devono rispettare tale divieto e disciplina. Legittimamente l’ordinamento giuridico si fa gli affaracci nostri se questi riguardano il bene comune. Tanto più quando di mezzo c’è un bambino.
In secondo luogo i due avranno certamente sofferto quando il piccolo è stato tolto dal loro focolare domestico, ma, come si suol dire, chi è causa del suo mal pianga se stesso. Se io non rispetto la legge poi responsabilmente devo sopportare anche le conseguenze negative del mio agire illecito. Non si può chiedere allo Stato di tutelarmi dalle mie decisioni contrarie alla legge. Non si può rapinare una banca in tutta sicurezza, così nessuno si fa male.
In terzo luogo, ed è l’aspetto più rilevante, la Corte dice espressamente che i due coniugi sono i genitori del piccolo, legittimando così la pratica dell’utero in affitto. Lo dichiara sia quando afferma che nel periodo in cui il minore è cresciuto nella loro casa, i coniugi Campanelli erano diventati veri e propri genitori del piccolo, sia soprattutto quando afferma che non si può strappare un bambino dalla sua famiglia di origine se non per motivi gravissimi. In merito a questo ultimo particolare, c’è da rilevare che è giustissimo considerare l’allontanamento di un minore dalla sua famiglia come un’extrema ratio, ma i giudici italiani hanno tolto il bambino dalla custodia dei coniugi Campanelli proprio perché questi non erano la sua famiglia.
E qui tocchiamo un altro punto importante della sentenza. Anche per i giudici europei prima di tutto devono prevalere gli interessi del minore e dunque – secondo loro – il bambino doveva rimanere sotto la custodia di coloro i quali per sei mesi lo avevano accudito, della sua “famiglia di fatto” (ed ora per lo stesso motivo dispongono che il minore rimanga con la coppia attualmente affidataria). Ma è proprio nell’interesse del minore non continuare a farlo crescere da una coppia che, non rispettosa delle legge, lo ha comprato ed affittato, dimostrando così di non essere persone all’altezza di allevare un bambino in modo sano.
Dunque secondo la Corte l’Italia doveva consentire, in barba alle sue leggi nazionali, che il bambino fosse dato in adozione ai coniugi Campanelli legittimando così a livello europeo sia la maternità surrogata sia la filiazione tramite pratica dell’utero in affitto.
di Tommaso Scandroglio
Tratto da: http://www.lanuovabq.it/
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