Utero in affitto. «Commercio di bambini, donne sfruttate come “forni a legna”»

Un rapporto pubblicato in Francia da una commissione creata dal ministero della Giustizia denuncia tutti gli abusi della maternità surrogata (commerciale e “altruista”) in India, Ucraina e Stati Uniti.

Tratto dall’Osservatore Romano – Il 31 luglio 2009, a Mumbai, Minakshi ha partorito con cesareo la piccola Emilie. Il nome della bambina non è indiano, perché il suo padre biologico è un architetto francese. Emilie, nata con inseminazione artificiale, è frutto di una maternità surrogata. Una storia tra tante: per badare alla numerosa famiglia, Minakshi, 29 anni, che lavora come operaia per 46 euro al mese, ha accettato di portare Emilie nel suo grembo. Dal momento che la sua situazione di estrema povertà è stata constatata, si può considerare questo caso come uno sfruttamento di una situazione di indigenza? Questa è una delle tante domande sollevate dal rapporto di 550 pagine pubblicato recentemente in Francia dalla “Missione di ricerca Diritto e Giustizia”, creata dal Ministero della Giustizia e dal Centro nazionale di ricerca scientifica. Il suo titolo è “Il ‘diritto al figlio’ e la filiazione in Francia e nel mondo”.

Analizzando accuratamente decine di casi simili a quelli di Minakshi per ben tre anni, i ricercatori ne hanno tratto la seguente conclusione: «Attualmente, il “desiderio di un figlio” può essere soddisfatto senza un incontro fisico tra padre e madre. Lo sviluppo di nuove pratiche di procreazione assistita garantiscono chance di successo del 19 per cento, non escludendo rischi non trascurabili, ben individuati. Eppure, ora che questo desiderio può essere soddisfatto scientificamente, è necessario chiedersi, di fronte alle molteplici pretese al “diritto di filiazione”, se tale desiderio deve essere soddisfatto giuridicamente e, in questo caso, fino a che punto».

Una grande parte del rapporto è dedicata alla maternità surrogata — pratica vietata in Francia — e al “turismo procreativo”, un “mercato” molto redditizio per alcuni, ma non per tante giovani donne, madri surrogate o donatrici di ovociti che ne sono invece vere e proprie vittime. Secondo il resoconto dei ricercatori, i committenti in Francia sono coppie sposate eterosessuali, ma anche uomini celibi che convivono con un altro uomo. Hanno di solito tra i 40 e i 60 anni e vivono in buone condizioni finanziarie. I ricercatori non hanno registrato nessun caso che coinvolge una coppia di donne, dal momento che queste ultime possono ricorrere loro stesse alla procreazione medicalmente assistita. Le tre destinazioni principali sono gli Stati Uniti, l’Ucraina e l’India. In media, i committenti devono versare tra 40.000 e 200.000 dollari, secondo il paese in cui la surrogazione viene praticata.

Le madri surrogate hanno al massimo una trentina di anni e si trovano per lo più in situazioni di grande precarietà. In gran parte dei paesi che autorizzano questa pratica, le madri devono già avere partorito un primo bambino in buona salute fisica e mentale. Molte di loro, così come le donatrici di ovociti, vengono scelte a seconda del colore della pelle e degli occhi, degli antecedenti familiari, e perfino del livello di studio e del quoziente intellettivo. Una ragazza indiana riceve tra 3000 e 5000 dollari, mentre una statunitense ne ricava circa 20.000 dollari.

Ma il mercato redditizio del turismo procreativo si appoggia anche su una potente rete di attori economici, che cercano di trarne il massimo profitto. Grandi imprese internazionali, che propongono ogni sorta di servizi, come l’elaborazione dei contratti, l’erogazione di ovociti, la selezione della madre surrogata. Agenzie statunitensi e ucraine sono le prime a utilizzare le possibilità illimitate di Internet per pubblicare annunci on line destinati ad attirare nuovi clienti. «Risultato positivo garantito anche nei casi disperati», «soddisfatti o rimborsati» si può leggere su alcuni siti, mentre altri assicurano addirittura che in caso di un primo tentativo fallito, i clienti «potranno proseguire i tentativi con un’altra madre surrogata o un’altra donatrice di ovociti, finché la procedura non è arrivata a buon termine».

La realtà è ben diversa dagli slogan pubblicitari. Giuridicamente, le pratiche assumono la forma di una prestazione di servizi a titolo oneroso. Tutte le tappe della procreazione tramite intermediario sono dettagliate nei contratti, dalla fecondazione fino al riconoscimento della filiazione. Dalle convenzioni passate in rassegna dai membri della “Missione di ricerca Diritto e Giustizia”, emergono tre tipi di clausole alle quali la madre surrogata deve adeguarsi per non incorrere in sanzioni pecuniarie: quelle relative alla gravidanza, quelle che mirano a impedire l’attaccamento della madre surrogata al bambino e viceversa, e infine le clausole che inquadrano il contatto fisico e il proseguimento delle relazioni tra la madre surrogata e il bambino dopo la consegna di quest’ultimo alle coppie committenti.

Contrariamente a ciò che sostengono in lungo e in largo i promotori della gestazione per altri, questa nuova pratica di procreazione induce necessariamente ad attribuire al corpo umano un valore mercantile. «La maternità surrogata, che sia  conclusa a titolo gratuito o a pagamento, pur tenendo conto delle prospettive per il bambino e la madre biologica o gestatrice, presuppone il diritto di disporre dell’uso del corpo altrui», rilevano i ricercatori, aggiungendo: «Il fatto più grave è che con l’ingresso del corpo umano nell’economia di mercato si assiste a nuove forme di sfruttamento che sono incompatibili con il nostro sistema giuridico e con il rispetto della persona umana».

Nel concludere la parte del rapporto dedicata alla maternità surrogata, il gruppo di esperti commissionato dal ministero della Giustizia francese e dal Centro nazionale di ricerca scientifica non manca di evidenziare come i medici e le agenzie debbano effettuare senza tregua «forti manipolazioni e perfino riprogrammazioni cognitive delle donne», costrette a risiedere in un ambiente carcerario (India) o sotto controllo totale (Stati Uniti). «Le pressioni esercitate sulle madri gestatrici fanno riflettere sull’integrità del consenso contrattuale, un consenso vantato invece dai commissionari o dagli articoli a favore di tale pratica; il mito dell’autonomia della volontà contrattuale trova i suoi limiti di fronte allo sfruttamento dei paesi poveri e dei corpi delle donne da parte della dominazione occidentale» rilevano i ricercatori.

Inoltre, spiega il rapporto, uno degli «ostacoli etici più di rilievo» a proposito di queste pratiche è che in realtà sono le coppie committenti a stabilire il contratto con una «struttura di cure – agenzia di collocamento», incaricata di garantire le “cure” adeguate a una terza persona, la madre gestatrice. In conclusione, gli autori si dichiarano «particolarmente allarmati dalla dimensione mercantile del commercio del bambino e dell’utilizzo del corpo della donna in quanto macchina riproduttrice, specialmente le ragazze povere del terzo mondo, una dimensione intravista dalla femminista americana Gena Corea e riformulata dalla filosofa francese Sylviane Agacinski attraverso l’espressione — in questo contesto non eccessiva — di “forno a legna”».

Foto Ansa

Charles de Pechpeyrou | Tempi.it


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