Usa: l’islam militante avanza nel Partito Democratico

Provocazione anti-Israele di Ilhan Omar, deputata musulmana dei Democratici americani. I Repubblicani insorgono e chiedono una risoluzione contro l’antisemitismo. I Democratici chiedono anche un’azione contro l’islamofobia, e passa solo un testo di compromesso, “contro l’odio”. Ecco come funziona un gruppo di pressione islamico.

In un mondo alla rovescia, il presidente Donald Trump, che dai progressisti è tacciato di essere un fascista americano, accusa i democratici di essere antisemiti. Stanno diventando “un partito contro Israele, contro gli ebrei”, ha dichiarato ieri il presidente. Sempre in un mondo alla rovescia, la deputata accusata da Trump, Ilhan Omar, viene difesa anche da David Duke, l’ex leader del Ku Klux Klan. Lo stesso razzista David Duke che viene visto come supporter di Trump, in tutta la propaganda democratica, si è speso con un tweet pubblico in difesa della deputata musulmana di origine somala.

C’è qualcosa di poco chiaro? Praticamente tutto. Ilhan Omar, deputata di origine somala, musulmana, è stata eletta nel collegio del Minnesota con i Democratici nelle elezioni di Medio Termine del 2018. Inizialmente è stata portata in palmo di mano dai colleghi di partito come esempio di diversità, perché donna, perché musulmana e perché donna musulmana che partecipa alle sedute parlamentari portando orgogliosamente il velo tradizionale, primo caso della storia americana. Ma da gennaio sono iniziati i problemi, da quando ha iniziato a parlare di politica estera e di Medio Oriente in particolare. Allora in quel caso ha espresso un linguaggio colorito e stereotipato contro Israele e gli ebrei che può essere apprezzato dalla sinistra antagonista e dalla piazza islamica, ma è molto poco gradito anche all’interno del suo stesso Partito Democratico, che prende voti anche dalla comunità ebraica (tradizionalmente filo-democratica almeno da tutto il Novecento). L’ultima sparata della Omar, in un comizio riguarda la “doppia fedeltà” degli ebrei americani, uno stereotipo tipico secondo cui gli ebrei sarebbero più fedeli a Israele che agli Usa.

La vicenda è finita alla Camera del Congresso, dove i Repubblicani hanno promosso una risoluzione contro l’antisemitismo. I Democratici, benché divisi, hanno difeso la loro deputata. A battersi in suo favore, in particolare, è stata Alexandria Ocasio Cortez, del gruppo socialdemocratico, astro nascente della nuova generazione dei progressisti. La difesa ha ritenuto che se si vuole far passare una risoluzione contro l’antisemitismo se ne deve far passare anche una contro l’islamofobia. E così, giovedì, si è raggiunto un compromesso e la risoluzione votata è genericamente “contro l’odio” e “tutte le forme di pregiudizio” compreso il “suprematismo bianco”. Trump ha definito quel voto “una disgrazia”. In questo voto è avvenuto nel Congresso americano, quel che normalmente, da decenni, avviene all’Onu.

E questo avviene perché la vera novità di questo 116mo Congresso è la presenza di un nascente gruppo di pressione islamico. Non è la prima volta che dei musulmani sono rappresentati in Congresso. Numericamente parlando, la differenza è poca rispetto alla scorsa legislatura: erano 2 i musulmani nel precedente Congresso, adesso sono 3. Una minoranza esigua e in piccola crescita. La differenza sta nel grado di militanza. Due dei tre musulmani rappresentati, le due deputate elette con i Democratici Ilhan Omar e Rashida Tlaib, sono molto militanti. Usano soprattutto il tema della questione mediorientale come collante per il loro elettorato, come tratto distintivo di una nuova politica. Nel 2012, Ilhan Omar aveva scritto un tweet in cui affermava: “Israele ha ipnotizzato il mondo, possa Allah svegliare il popolo e aiutarlo a vedere il male che Israele sta facendo”. Più che un tweet è un piccolo sermone, analogo in tutto e per tutto a quelli che si ascoltano nelle Tv islamiche. Ilhan Omar non ha mai ritrattato quel tweet, almeno finché non è stata certa della sua candidatura: solo allora ha cancellato il messaggio e formulato qualche scusa in pubblico.

È stata molto più esplicita, invece, la sua collega di partito Rashida Tlaib, che viene proprio dal Medio Oriente (è di origine palestinese) e promuove attivamente la campagna di boicottaggio di Israele, la Bds. Anche Rashida Tlaib ha cambiato idea durante la competizione elettorale, ma in senso contrario: mentre nelle primarie democratiche sosteneva la soluzione classica per il Medio Oriente, quella dei “due popoli in due Stati”, da quando ha ottenuto la candidatura ha iniziato a parlare di una soluzione opposta: un solo Stato in Palestina (implicitamente: vuole la fine di Israele). Nel corso della cerimonia di insediamento al Congresso, la Tlaib si è fatta fotografare accanto ad Abbas Hamideh, che le ha regalato un quadro in cui la deputata è ritratta con indosso la caratteristica keffiah palestinese. Hamideh è direttore dell’associazione pro-palestinese Al Awda, che sostiene il diritto al ritorno dei discendenti dei rifugiati palestinesi in Israele. Ed è un esplicito fan di Hassan Nasrallah, leader di Hezbollah, a cui ha recentemente dedicato in pubblico un tweet con auguri di buon compleanno ed elogi sperticati (“il più onorevole leader arabo musulmano dei nostri tempi”). Farsi fotografare con un contatto simile, in tempi non lontani, avrebbe bruciato una carriera politica: Hezbollah, infatti, è nella lista nera degli Usa per le organizzazioni terroristiche. Oggi, al contrario, questa immagine attira voti di una certa sinistra americana.

Nel difendere la Omar, Alexandria Ocasio Cortez ha iniziato a mettere in discussione tutta la politica estera americana. A partire dalla reazione all’11 settembre e alla guerra in Afghanistan. L’attacco ai Talebani e ad Al Qaeda in Afghanistan viene definito dalla giovane deputata come “disastroso” e soprattutto “sbagliato”. A suo dire si doveva percorrere la via “del non-intervento”. E’ singolare come una non-musulmana difenda la collega musulmana con un discorso più realista del re. Ma a ben vedere la cosa non dovrebbe stupire, perché è soprattutto la sinistra, nel nome della diversità, che sta pompando la minoranza islamica. Non islamica in senso lato, ma proprio: islamica militante. Il Medio Oriente, Israele, è la causa di bandiera, perché obbliga a prendere una parte, a contarsi. Ma è difficile pensare che l’agenda islamica si fermi lì.

Stefano Magni | Lanuvabq.it

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