Usa, la guerra alla religione riguarda tutti noi Un manifesto per la resistenza dei fedeli

img-_innerArtFb-_religious-libertyIl governatore della Georgia, Nathan Deal, è stato costretto a farci i conti. Con il mondo Lgbt, si intende. Poiché a causa della pressione mediatica, anche di colossi come Walt Disney, Marvel e Netflix, ha dovuto porre il veto alla legge sulla libertà religiosa regolarmente approvata dal Senato e dalla Camera. Un testo che avrebbe lasciato libertà di coscienza a chi, in virtù del proprio credo, non volesse celebrare o fornire servizi per le celebrazioni dei matrimoni tra persone dello stesso sesso.

«Ho visto cosa è accaduto in Mississipi e Carolina e non voglio affrontare lo stesso scenario». Entrambi gli Stati, infatti, dopo aver approvato la legge sulla libertà religiosa sono stati messi alla gogna al grido di «no alle discriminazioni». I Ceo di Facebook, Apple e Google hanno espresso il loro dissenso con un comunicato che lasciava intendere possibili ripercussioni economiche, payPal ha deciso di bloccare un piano di investimenti in North Carolina da quasi quattro milioni di dollari e star della musica rock come Bruce Springsteen, Bryan Adams e Ringo Starr hanno annullato diversi concerti previsti negli Stati americani in questione.

Ma non solo chi legifera sarà costretto a farci i conti, noi tutti lo saremo. Lo spiegano bene Erick Erickson e Bill Blankschaen in You will be made to care – the war on faith, family and your freedom to believe (Sarete costretti a occuparvene – la guerra su fede, famiglia e la tua libertà di credere), pubblicato negli Usa dalla Regenary Faith. «Non importa quanto piccolo sia il tuo bed and breakfast, la tua cappella o il tuo negozio di fiori – affermano gli autori – se non condividi i loro valori pubblicamente, la mafia omosessualista ti schiaccerà». E per essere schiacciati basta esprimere la propria opinione, come accaduto a Kelvin Cochran.

Nato nel 1960 in Lousiana, abbandonato dal padre, Kelvin cresce con la mamma e cinque fratelli a Shreveport. In una casa spesso illuminata solo con le candele dove l’unico pasto era sovente pane e maionese coltiva il suo american dream: diventare un vigile del fuoco a servizio degli Stati Uniti. Un sogno nato una domenica, quando viene sorpreso dal suono delle sirene. Apre la porta e vede il mezzo antincendio fermarsi alla casa di fronte. I pompieri corrono senza esitazione verso le fiamme, ne escono poco dopo portando in salvo la vicina, miss Kate. «Da quel momento – racconta Cochran – non ho pensato ad altro che a crescere per diventare un vigile del fuoco: volevo scappare dalla povertà e costruirmi una famiglia perché solo vedendo quella scena ho realizzato quanto fosse terribile non avere un papà in casa». A 21 anni Kelvin Cochran diventa il primo afro-americano del Dipartimento antincendio di Shreveport. Promosso capitano dopo quattro anni di servizio, diventa assistente e poi capo dipartimento a meno di quarant’anni.

Per i risultati ottenuti, anche nel 2005 durante le operazioni di soccorso a New Orleands quando la città era devastata dall’uragano Katrina, viene chiamato dal sindaco di Atlanta per guidare il Dipartimento antincendio della città. Eccelle al punto da venir notato a Washington: nel 2008, agli inizi della presidenza Obama, viene nominato capo del United States Fire Administration, diramazione diretta del Dipartimento di sicurezza nazionale.

In meno di 25 anni, il bimbo povero della Louisiana, non solo corona il suo sogno di diventare pompiere, ma si occupa di strategie nazionali per la prevenzione e la gestione dei disastri naturali. Nel frattempo si sposa e diventa padre tre volte. Dopo meno di due anni, tuttavia, di nuovo il sindaco di Atlanta elemosina (espressione utilizzata dallo stesso primo cittadino) il suo ritorno alla guida del Dipartimento antincendio della città. Cochran non si tira indietro e presto Atlanta raggiunge il massimo punteggio nella classifica della protezione pubblica diventando modello nazionale.

Ma nel 2014 Kelvin Cochran è costretto a fare i conti, anche lui, con quanto denunciato da Erickson e Blankschaen. Viene convocato da tre membri dell’amministrazione cittadina e che gli comunicano la sospensione dal lavoro per un mese e l’apertura di un’indagine. Perché? Si era rifiutato di salvare qualcuno? Aveva mancato un obbligo? Omesso di dare un allarme? Commesso qualche reato? No, aveva scritto un libro in cui non nascondeva il suo credo.

Il volume, uscito nel 2013, si intitola Who told you that you were naked? (Chi ti ha detto che eri nudo?). L’idea parte dal passaggio della Genesi in cui Adamo, di fronte a Dio che gli chiede conto del frutto mangiato, «si rende conto di essere nudo», ovvero sente il peso della colpa. La tesi di Chochran è che molti cristiani si comportano come fossero nudi, ossia condannati, invece che vivere da redenti. Il volume pubblicato da 3G Publishing, 162 pagine, è arrivato tra le mani di alcuni attivisti gay che hanno fatto scattare l’allarme perché nel testo si legge che l’unione sessuale secondo Dio è «solo all’interno del matrimonio tra un uomo e una donna», ne consegue che i rapporti fuori dal matrimonio, con persone del sesso opposto e dello stesso sesso, «sono contrari al volere di Dio». Tra le accuse c’è poi quella di aver inserito tra gli atti impuri le pratiche «della sodomia, dell’omosessualità». Quando queste frasi iniziano a circolare il sindaco di Atlanta prende le distanze: «Mi trovo profondamente in disaccordo e molto disturbato dal libro» scrive su Facebook. Sebbene l’indagine interna dell’amministrazione comunale non abbia rilevato «alcun evidenza di comportamenti ingiusti o discriminatori», Cochran non solo non viene riammesso al lavoro, ma rifiutandosi di ritrattare, viene licenziato. Il suo caso è nelle mani dell’Alliance Defending Freedom che ha fatto causa al Comune, ma per ora il vigile del fuoco numero uno d’America è senza lavoro ed etichettato pubblicamente come «omofobo».

Potrebbe succedere a tutti. A me che scrivo, a te che leggi. «Sarai costretto a occupartene – mettono in guardia Erik Erickson e Bill Blankschaen – una volta che la mafia omosessualista ha stabilito che chi non è d’accordo va silenziato, chi ancora pensa di non compromettersi sappia che sarà costretto a decidere da che parte stare».

Gli autori, cristiani evangelici, intitolano un capitolo: Come vincere la guerra, una sorta di manuale di istruzioni per «resistere». C’è bisogno di una resurgent community, di una comunità che rinasce, scrivono, di amici che si incontrano e fanno rete. «Di fronte al mondo che ci propina menzogne dobbiamo circondarci di credenti che non solo ci ricordino che non siamo soli, ma che là fuori è pieno di gente che la pensa come noi e soprattutto che i bambini hanno bisogno di sentir dire la verità». Ci vogliono poi credenti che rinascono, persone che «vivono quello in cui credono, che mettono le cose importanti al primo posto, che non abbiano paura di affermare pubblicamente la propria fede». Occorrono famiglie che rinascono, che lottino nelle difficoltà, che non considerino il divorzio una soluzione, che facciano bambini, famiglie con padri responsabili ovvero guide salde. C’è bisogno di una Chiesa che rinasce, che predichi il Vangelo, insegni la Verità e ci prepari per le persecuzioni. L’errore più grosso che si può fare oggi – scrivono – è non dire a un peccatore che sta sbagliando: abbiamo bisogno di pastori coraggiosi che prendano posizione pubblicamente.

Infine, per vincere la guerra abbiamo bisogno di un cittadino che rinasce: «La rinascita ha bisogno di essere difesa dal basso, non dall’alto. Abbiamo la responsabilità di entrare nei processi politici e influenzarli per il bene lì dove è possibile. Ma l’unico modo per essere incisivi è farlo con la prospettiva della vita eterna». Come cristiani spesso combattiamo battaglie a breve termine – scrivono ancora Erickson e Blankschaen – con la prospettiva di una scadenza elettorale o di far cadere un governo, aspettandoci risultati immediati, ma la battaglia politica può e deve andare oltre: «Noi stiamo lottando per il destino di ciascuno», «ricordiamoci che abbiamo di fronte delle anime immortali quindi non possiamo avere una prospettiva meno che eterna»; «ciascuno trovi la sua via, la politica che più a noi più piace è quella porta a porta, perché è a portata di tutti, ma è importante che ognuno parta da dove si trova, non serve fare una lista di cose che possono essere politicamente utili, bisogna iniziare da quello che si può fare ora»; «siamo nel mezzo di una battaglia per il cuore e l’anima della nostra cultura. Ma è molto di più di questo. È una guerra tra il bene e il male, tra libertà e tirannia, e abbiamo solo due opzioni davanti: seguire il flusso e piegarci allo spirito del  tempo, o alzarci in piedi e rifiutarci di venire zittiti».

di Raffaella Frullone | Lanuovabq.it

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