LIBERI DALLO SPERGIURO (4^ANTITESI)
MATTEO 5:33-37
Il giuramento di Ippocrate è un codice deontologico che viene solennemente prestato dai medici prima di esercitare la loro professione. Prende il nome da Ippocrate, medico greco vissuto a cavallo tra la seconda metà del V secolo a.C. e il primo trentennio del IV secolo a.C. a cui il giuramento è attribuito, risalendo al IV secolo a.C. La versione moderna ha sostanzialmente modificata la versione antica, espungendo tutto quello che aveva a che fare con le credenze religiose. La versione moderna si presenta in questa veste: “ Consapevole dell’importanza e della solennità che compio e dell’impegno che assumo, giuro: di esercitare la medicina in libertà e indipendenza di giudizio e di comportamento; di perseguire come scopi esclusivi la difesa della vita, la tutela della salute fisica e psichica dell’uomo e il sollievo della sofferenza, cui ispirerà con responsabilità e costante impegno scientifico, culturale e sociale, ogni mio atto professionale; di non compiere mai atti idonei a provocare deliberatamente la morte di un paziente; di attenermi alla mia attività ai principi etici della solidarietà umana; di prestare la mia opera con diligenza, perizia e prudenza secondo scienza e coscienza ed osservando le norme deontologiche che regolano l’esercizio della medicina e quelle giuridiche che non risultino in contrasto con gli scopi della mia professione; di affidare la mia reputazione esclusivamente alla mia capacità professionale ed alle mie doti morali; di evitare, anche a di fuori dell’esercizio professionale, ogni atto e comportamento che possano ledere il prestigio e la dignità della professione. … di curare tutti i miei pazienti con eguale scrupolo e impegno indipendentemente dai sentimenti che essi mi ispirano e prescindendo da ogni differenza di razza, religione, nazionalità condizione sociale e ideologia politica; di prestare assistenza d’urgenza a qualsiasi infermo che ne abbisogni e di mettermi in caso di pubblica calamità a disposizione dell’Autorità competente… di astenermi dall’accanimento diagnostico e terapeutico.
Tale giuramento implica un solenne impegno che il medico contrae innanzitutto con la sua coscienza oltre che con l’ordine dei medici: egli non deve disattendere quelle norme etiche contemplate nel moderno giuramento di Ippocrate. Ciò cosa significa? E’ probabile che il medico possa sostenere valori diversi da quelle sottoscritte con il solenne impegno, per il quale deve evitare di farli valere.
Di fatto il giuramento è un atto formale ed esterno all’uomo che lo impegna contro la possibilità di sostenere qualcos’altro.
La quarta antitesi del sermone sul monte ha qualcosa di simile con il Giuramento di Ippocrate. Un giuramento è una solenne affermazione, senza che sia necessariamente una promessa o un voto, che è considerata vera davanti a Dio. Quando qualcuno invoca la divinità, la verità deve essere detta.
Continuando Gesù a rivendicare un’etica del cuore contro il formale impegno etico dei Farisei, egli considera falsa e disonesta la pratica del giuramento: “Avete udito che fu detto agli antichi: non giurare il falso (o non spergiurare); dà al Signore quello che gli hai promesso con giuramento.
Ma io vi dico: non giurate affatto, né per il cielo, perché è il trono di Dio; né per la terra perché è lo sgabello dei suoi piedi, né per Gerusalemme, perché è la città del gran Re. Non giurare neppure per il tuo capo, poiché tu non puoi far diventare un solo capello bianco o nero; ma il vostro parlare sia “si, si; no, no; poiché il di più viene dal maligno”.
Con tali parole Gesù afferma che il giuramento è la dimostrazione della presenza della bugia nella vita dell’uomo. Se l’uomo non potesse mentire, sarebbe vano il giuramento. Il giuramento appare come una difesa dalla menzogna. Tuttavia, la menzogna ha trovato un suo spazio nel giuramento. Gesù deve stanare la menzogna, e lo fa vanificando il giuramento, che è divenuto il rifugio della menzogna.
Qualcuno può obiettare dicendo che l’Antico Testamento contiene promesse solenni e giuramenti (cfr. Num.5:19). Infatti, l’insegnamento farisaico contro lo spergiuro si basava sull’insegnamento complessivo di passi veterotestamentari che di vere citazioni bibliche. L’espressione “non giurare il falso” richiama Levitico 19:12 (cfr. Esodo 20:7), mentre quella seguente “dà al Signore quello che gli hai promesso con giuramento” ci suggerisce l’insegnamento dato in Numeri 30:2 (cfr. Deut.23:22; Salmo 50:14; Ecclesiaste 5:5). Dall’insegnamento complessivo del Vecchio Testamento si arguisce che erano proibiti i voti mendaci e si richiedeva l’adempimento dei voti solennemente espressi. Tuttavia, le promesse solenni e i voti erano permesse dalla legge, ma non erano comandate (cfr. Deut. 23:22). Al tempo di Gesù i Farisei avevano elaborato una articolata casistica intorno alla validità delle forme dei giuramenti, che occuparono parecchie sezioni della Mishnah, che era l’insegnamento ebraico della tradizione orale. Essi affermarono che la legge proibiva l’uso del nome di Dio invano. Il falso giuramento, dunque, era individuato nell’essere stato profanato il nome di Dio. Il voto e il giuramento erano vincolanti quando essi includevano il nome di Dio, anche se tutte le formule di giuramento erano accettabili. Gesù espresse il suo disprezzo per tali sofisticherie dei Farisei. Ci aiuta a comprendere meglio la quarta antitesi, l’invettiva di Gesù contro i Farisei coi suoi “guai” al Cap. 23 di Matteo. In questo testo Gesù si scaglia contro la loro ipocrisia, riportando espressamente che il loro insegnamento sul giuramento era cavilloso e sporco: “Guai a voi ciechi e guide cieche, che dite: se uno giura per il tempio, non importa; ma se giura per l’oro del tempio, resta obbligato. Stolti ciechi! Che cosa è più grande: l’oro o il tempio che santifica l’oro? E se uno, voi dite, giura per l’altare, non importa, ma se giura per l’offerta che c’è sopra, resta obbligato. Ciechi! Che cosa è più grande: l’offerta o l’altare che santifica l’offerta? Chi dunque giura per l’altare giura per esso e per tutto quello che c’è sopra. E chi giura per il tempio, giura per il tempio e per Colui che lo abita… (Mt23:16-22)
L’antitesi di Gesù sul giuramento fa risaltare l’irrilevanza della formula usata nei giuramenti, affermando che la distinzione dei Farisei tra la formula che menziona il nome di Dio e quella che lo omette è pericolosamente artificioso. Il nome di Dio non può essere eliminato dal gioco perfido del giuramento, perché Dio è padrone del mondo. Di conseguenza, se uno giura per il Cielo, esso è il suo trono, se si giura per la terra essa è il suo sgabello, se il giuramento si estende a Gerusalemme essa è “la città del gran Re”. Neppure se si giura sulla propria testa, che equivale al nostro giuramento “ti giuro sulla mia vita” o “sulla vita dei miei figli”, l’uomo si può sottrarre dalla signoria di Dio, perché l’uomo è parte preziosa della sua creazione. Con tale autorevole ragionamento Gesù smaschera l’ipocrisia dei Farisei, e rende inutile l’intera casistica che disciplina la materia del giuramento. Il credente è chiamato a parlare onestamente, ossia il suo pensiero deve coincidere con le parole con cui esso è espresso. Ovvero, la parola del credente esprime la veracità della sua vita interiore.
Allora Gesù comanda ai suoi di non giurare affatto, contrassegnando il proprio parlare con un semplice sì o con un semplice no. Tale comando sarà poi sottolineato dalla Chiesa primitiva (cfr. Giac.5:12). Il perderci in chiacchiere per nascondere la nostra falsità è conseguenza del cuore perfido che caratterizza l’uomo, la cui perfidia è in balia del padre di ogni bugia (cfr. Giov.8:44). Se il divorzio è dovuto alla durezza del cuore umano, il giuramento è dovuto alla mendacia umana. Entrambi erano permessi per legge, e non erano necessari.
Una duplice questione a questo punto è doveroso avanzare.
La prima è quella riguardante il giuramento che Dio fa di se stesso. Perché Dio dice ad Abramo: “Per me stesso io ho giurato… io ti benedirò…? (cfr. Gen. 22:16). Bisogna dire che il Signore non ha bisogno di avallare la sua credibilità con un giuramento, perché Egli non è un uomo. Egli non è un mentitore. Egli usa il giuramento per suscitare e confermare la nostra fede.
La seconda questione riguarda la proibizione del giuramento se essa è assoluta o relativa. I Cristiani possono declinare dal giurare davanti a una corte giudiziaria? Gli Anabattisti del XVI secolo adottarono la linea rigorista secondo la quale il cristiano non deve giurare affatto né a livello puramente privato nelle sue relazioni interpersonali, né solennemente nelle celebrazioni di processi nelle aule dei tribunali. La Riforma classica escluse quest’ultima rivendicazione degli Anabattisti, perché Gesù stesso depose davanti ad un tribunale nel processo a suo carico. (cfr. Matteo 26:63-64). Anche i primi Battisti con Thomas Helwys (1550-1616) affermarono la liceità del giuramento pubblico.
Ciò che Gesù enfatizzava nel suo insegnamento era la proibizione del giuramento nelle relazioni interpersonali, ma se essi erano coinvolti in processi pubblici avevano il dovere civico di giurare. La proibizione del giuramento da parte di Gesù non è circoscritta al suo tempo, ma investe tutte le generazioni di cristiani. Essi si devono astenersi da ogni solenne giuramento per avallare la loro parola che è vera. Il giuramento è stato accettato perché gli uomini sono bugiardi. Quando i Cristiani dicono semplicemente sì o no, questa semplice dichiarazione è sufficiente ad indurre i loro interlocutori a credere positivamente o negativamente alle loro affermazioni. E come dire “parola d’onore”! Se il Cristiano disattende a questa semplice ma solenne dichiarazione, cioè afferma qualcosa ma pensa e fa qualcos’altro non fa altro che dichiarare il falso e rendere la sua testimonianza anemica e non più credibile.
Il nostro caro Bonhoeffer afferma nel suo “Sequela”: La veracità assoluta è possibile solo in seguito alla manifestazione del peccato, che è perdonato da Gesù. Solo chi, confessando il suo peccato, sta davanti a Cristo nella verità, non si vergogna della verità, dovunque debba essere confessata. La veracità che Gesù pretende dai suoi discepoli, consiste nel rinnegamento di sé, che non cerca di nascondere il peccato. Tutto è manifesto e chiaro. Poiché la veracità in ultimo e in primo luogo richiede che l’uomo sia nudo in tutto il suo essere, nella sua malvagità, davanti a Dio, la veracità suscita l’opposizione dei peccatori, perciò viene perseguitata e crocifissa. La veracità del discepolo trova la sua unica ragione nel fatto che egli segue Gesù che ci manifesta sulla croce il nostro peccato. Solo la croce, che è la verità di Dio su di noi, ci rende veritieri. Chi conosce la croce non teme più alcun’altra verità. Chi vive sotto la croce non si occupa più del giuramento come legge per ristabilire la verità; infatti, egli è nella perfetta verità di Dio. Non c’è verità al cospetto di Gesù senza verità davanti agli uomini. La menzogna distrugge la comunità. La verità, invece, divide le false comunità e crea una vera fraternità. Non si può seguire Gesù senza vivere nella verità scoperta davanti a Dio e agli uomini” (1)
- Dietrich Bonhoeffer – Sequela- Queriniana ed. , Brescia 1975, pag. 118-119
Paolo Brancè | Notiziecristiane.com
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