La preghiera è una delle azioni preminenti della vita del cristiano. Il Cristiano non può agire liberamente se egli non alza la sua voce al Signore e risponde alle Sue parole. Se il Cristiano non prega, egli vivrà il suo discepolato in maniera anemica e asettica. Ma è vero anche che la pratica cristiana della preghiera può essere esperimentata con formale ed esteriore religiosità, persino esercitata da chi sostiene aberranti eresie.
Nella sua invettiva contro l’ipocrita attitudine del pio giudeo a esercitare la pietà religiosa dell’elemosina, Gesù si sofferma più a lungo nel dare chiare direttive su quella che potrebbe essere la colonna portante della pietà cristiana, ossia l’esercizio della preghiera.
Gesù mette in guardia i suoi discepoli dall’assumere una condotta ipocrita nell’esperienza della preghiera. “ … E quando tu preghi, non essere come gli ipocriti, i quali amano pregare stando nelle sinagoghe e agli angoli delle piazze per essere visti dagli uomini”.
Con tali parole Gesù ammonisce i suoi discepoli a non cadere nell’errore che i Farisei compiono nella pratica della preghiera, che è quello di ostentare la loro religiosità, invece di pregare il Signore che credono di ascoltare e cui formalmente tributano un culto di lode. I seguaci di Gesù hanno il dovere di non emulare i Farisei nello esibire teatralmente una preghiera pelosa, attraverso cui essi fanno sfoggio superbamente dell’amore di se stessi. Ciò non significa che i Cristiani devono rinunciare alla preghiera pubblica, anche se Gesù consiglia i suoi a una pietà più riservata, discreta, quasi anonima (“… Ma tu quando preghi, entra nella tua cameretta e, chiusa la porta, rivolgi la preghiera al Padre tuo che è nel segreto, e, il Padre tuo, che vede nel segreto, te ne darà la ricompensa”). Il Cristiano è chiamato a non fare della preghiera uno strumento di autocompiacimento e di autoesaltazione in relazione con la ricerca del consenso popolare (e questo è il senso della preghiera pelosa che non sarà mai ascoltata dal Signore). Tale pratica religiosa ha la sua retribuzione nel fatto che essi si compiacciono dell’applauso della gente, ma niente di più. Al contrario, la preghiera umile, quella che sgorga dalle viscere dell’essere rigenerato “dall’acqua e dallo spirito”, quella che rivela al Signore lo stato spirituale di un uomo che ha bisogno continuamente del perdono del Signore, essendo costantemente consapevole della sua condizione di estrema povertà spirituale (cfr. 18:9-14), quella che è proferita all’interno della cameretta del cuore, anche quando si prega in pubblico, è la preghiera santa prediletta dal nostro Signore Dio Padre, per la quale il seguace di Gesù avrà il suo premio, dono non legato in sé e per sé all’azione stessa della preghiera, ma alla fede nel Dio buono e misericordioso che fa splendere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Quella della preghiera pubblica peraltro era un precetto biblico (cfr.Dan.6:10-12). Tutti i pii giudei pregavano tre volte giorno. E non era sbagliato pregare anche agli angoli delle strade e nelle sinagoghe se tale pietà era finalizzata a non segregare la loro fede nella loro vita privata e a portarla nella vita di tutti i giorni. Quello che Gesù contestava era la loro ostentazione. Dietro la loro pietà si celava il loro amor proprio. Non nascondo con amarezza e profondo dispiacere che anche nelle nostre chiese si possono annidare neo-farisei che vanno in chiesa più per manifestare fieramente la loro pietà religiosa che per lodare sinceramente Dio. Il dare lode a Dio, come il dare l’elemosina all’uomo bisognoso, possono assumere deviazioni aberranti, quando la mente e l’azione del cristiano rimangono intrappolati nel gioco perverso dell’esibizionismo religioso.
L’essenza della preghiera cristiana è quella di cercare e cercare e ancora cercare instancabilmente il volto di Dio, ossia la sua presenza, ascoltare l’afflato caldo della Sua voce nel silenzio della nostra anima perché” Fecisti nos ad te et inquietum est cor nostrum donec requiescat in te. Ci hai fatti per te, o Signore, e il nostro cuore non ha posa finché non riposa in te. Agostino di Ippona, Confess. 1, 1, 1.)
La preghiera cristiana è una calda, affabile e dolce conversazione con il Signore, che è il nostro Pastore (cfr. Salmo23). Noi cerchiamo il Signore, per riconoscerlo come il Creatore, Il Redentore, Il Consolatore, il Giudice. In Gesù Cristo noi abbiamo accesso liberamente a tale piacevole conversazione con “L’Io Sono”, conversazione che è comunque vissuta con timore e tremore. E’ interessante quello che afferma John Stott, riportando le parole del Prof. R.V.G.Tasker, professore di esegesi del Nuovo Testamento all’Università di Londra, che la parola greca “tameion”, che è tradotta in italiano con “stanza” era usata per indicare la stanza dell’emporio dove venivano conservati oggetti preziosi presi all’occorrenza. Questo, vuole significare, secondo l’esegeta britannico, che dei tesori stanno aspettando i seguaci di Gesù quando essi pregano.(1)
Pregare, dunque, nel segreto della stanza significa pregare con un atteggiamento intimo e onesto, umile e sincero, fiducioso e pacifico, perché il cristiano riposa nelle promesse del Signore. E’ tale attitudine nel pregare vale sia quando si è chiusi letteralmente nella stanza di una casa, sia quando si è riuniti con altri discepoli di Gesù nella pubblica lode. In ambedue i casi vale sempre il cuore contrito, abbattuto e umiliato (cfr. salmo 51:17).
John Stott afferma: “Noi dobbiamo ricordare che lo scopo dell’enfasi di Gesù del pregare in segreto è di purificare le nostre motivazioni nella preghiera. Come noi dobbiamo dare un genuino amore alla gente, così noi dobbiamo pregare per un amore genuino per Dio. Non dobbiamo usare ambedue di questi esercizi come un pio mantello per nascondere il nostro amor proprio”. (2)
Una seconda categoria di persone che Gesù definisce ipocriti sono i gentili che amano sciorinare lunghe preghiere senza senso e meccanicamente. La preghiera che i Gentili offrono ai loro dei era verbosa, prolungata e prolissa. Essa era offerta nei loro templi sacri per evitare un possibile castigo a loro danno da parte delle loro divinità di cui non avevano fiducia e blateravano formule magiche attraverso cui li avrebbero piegati ai loro voleri. Contro questo decadimento spirituale della preghiera Gesù contrappone l’esortazione data ai suoi discepoli di nutrire un atteggiamento filiale e fiducioso nei confronti del Padre, che è amorevole e che sa le cose di cui il discepolo ha bisogno, ammonendoli dal degradare da una personale e reale natura della preghiera a una macchinosa, spersonalizzante, impersonale recitazione di parole.
Nel dire ciò, comunque, il Signore non voleva affermare che bisogna evitare le lunghe preghiere. Assolutamente no. Gesù stesso ha trascorso notti intere, immerso nella preghiera, esortando i suoi a pregare costantemente e fiduciosamente. Quello che Gesù proibisce è la preghiera meccanica artefatta, quasi che con la moltitudine di parole senza senso vi sia la presunzione dell’orante di impietosire la divinità costringendolo a intervenire. Affinché il discepolo non cada nella trappola della teatrale recitazione meccanica della pratica religiosa della preghiera, Gesù ci lascia quella che è definita la preghiera regale. Il Padrenostro si rivela come il modello in assoluto della preghiera filiale del discepolo nel suo incontro solenne con il Padre, con cui egli dichiara di riposare fiduciosamente nella bontà “paterna” di Dio. La preghiera del Padrenostro è una sintesi dell’Evangelo di Gesù, che consiste nella rivelazione della bontà salvifica del Padre inaugurando il Suo Regno di amore nel mondo. Strutturalmente, il Padrenostro è composto di due parti: la prima (9-10) è una vera e propria invocazione a Dio Padre composta di una triplice richiesta; la seconda (11-13) consta di quattro domande, riguardanti le necessità quotidiane del discepolo nel vissuto quotidiano. Tuttavia, in alcuni cenacoli religiosi tale preghiera è stata banalizzata e resa quasi simile al vuoto e meccanico blaterare della preghiera pagana. Ma essa può essere pregata dalla comunità orante se essa fa sua il profondo e dinamico significato della preghiera regale, se essa partecipa con intelligente devozione e fiduciosa partecipazione alle richieste del Padrenostro. Resta il fatto, che il Padrenostro è e rimane un modello per ogni preghiera personale, di modo che il discepolo non scivoli gradualmente da un’esperienza gratificante di preghiera a un’attività formale e religiosa della pratica della preghiera, la quale comunque occupa la parte più importante del trittico delle buone opere. Purtroppo, nelle chiese odierne molti credenti avvertono una forte inadeguatezza nel pregare, e spesso si affermano nell’esperienza comunitaria della pratica della preghiera formule stereotipate di preghiere, che sono profuse con la tecnica della memorizzazione meccanica (sembra che si affermi un ordine graduale d’invocazione che va dalla lode, al ringraziamento e infine alle richieste, anche se lo stato d’animo dell’orante è ben lontano dall’adorare Dio, perché è disturbato da vicissitudini dolorose e drammatiche e, a volte tragiche). Io credo che il credente debba essere se stesso quando prega, perché il Signore ci conosce e sa come ci sentiamo e cosa stiamo vivendo. Ci aiuterebbero anche nell’organizzare intelligentemente la nostra preghiera, il Libro dei Salmi. Esso è una fonte inesauribile di modello per ispirare in maniera creativa il nostro pregare che esprime di volta in volta la nostra spiritualità, attraverso cui sperimentiamo ora tutto il fulgore della poesia della lode verso il nostro Signore ora la struggente elegia di un canto doloroso dei nostri drammi quotidiani, ripiegandoci in noi stessi, ora l’esigenza impellente di fare specifiche richieste al Signore buono e misericordioso che è pronto ad asciugare le nostre lacrime e far sì che torni il sorriso sulle nostre labbra.
Il discepolo che vive la preghiera come l’aria che respira non può non considerare che è beato colui che non cammina secondo i modelli culturali del suo tempo evitando di appropriarsene, che non condivide i discorsi di chi denigra la creazione di Dio e Dio stesso, chi schernisce e beffeggia il Signore, ma pone tutta la sua affezione in Lui, che il Pastore, che si prende cura quotidianamente del suo discepolo, che lo fa abitare in verdeggianti pascoli, che lo guida su sentieri di giustizia e sebbene il discepolo percorresse le strade buie e tenebrose della morte, egli riposa nelle promesse del Signore con la consapevolezza gioiosa che abiterà nella casa del Signore per sempre.
(1) John R.Stott- The Message of the Sermon of the Mount- Inter-Varsity Press, Leicester, England, 1989, pag. 134
(2) John R. Stott- Op.Cit., pag. 134-135
Paolo Brance | Notiziecristiane.com
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