“Noi siamo ciò che mangiamo” non è una massima dell’amico nutrizionista o di qualche guru del fitness, ma è piuttosto un concetto di Sant’Agostino, espresso 1600 anni fa in almeno uno dei suoi sermoni. E aveva a che vedere con la salute dell’anima oltre che del corpo, per la precisione con l’unione con Dio e l’unione tra noi. Era un invito a “mangiare” il corpo di Cristo spezzato per noi, un pasto (o cena del Signore, si usa dire – 1 Co 11:23-29) utile a ricordarci la nostra identità e come questa identità si inserisca appunto in un corpo, la Chiesa (1 Co 12:12-31), composto di gente d’ogni tribù e nazione. Gesù si incarna, si fa pane per riconciliare ogni cosa col Padre, per unirci al nostro Creatore. Afferma parole misteriose e potenti come: “Non prego soltanto per questi, ma anche per quelli che credono in me per mezzo della loro parola: che siano tutti uno; e come tu, o Padre, sei in me e io sono in te, anch’essi siano in noi: affinché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17:20-21). E il nostro Signore non si ferma lì, ma usa la metafora delle nozze per descrivere ciò che Dio sta facendo per e in noi, ossia prepararci e attirarci verso una più profonda intimità, appartenenza e unione. Presi dal nostro marcato individualismo (qui in Italia, ma in tutto l’occidente), potremmo perdere il senso e la visione di corpo, chiudendoci nel nostro “casetta e chiesetta”.
Dunque, Gesù è venuto anche per darci il coraggio di fidarci di Dio e degli altri, permettendo così la nostra intrinseca unione col Padre e gli altri Suoi figlioli, e quella stessa unione l’ha modellata per noi in questo mondo.
Perciò, l’unione non è semplicemente un luogo in cui per grazia si va dopo. L’unione è un luogo che per grazia si frequenta anche oggi, in questa vita. Una delle espressioni più usate dall’apostolo Paolo è “en Christos“, suggerendo una visione di corpo e una unione profonda tra i cristiani. Per quante macchie possa vedere in me e nel vestito della sposa di Cristo, per quanto vi sia una nostra implacabile resistenza e negazione del corpo (figlie di quella ribellione originale che ci rese soli), alla fine la nostra unione con Dio e tra noi sarà sperimentata e goduta, perché quando Dio vince, Dio vince!
E su quella croce ha vinto. Punto.
Rumori di guerra e oppressione sferzano i cristiani in molti paesi. Come puoi vedere dalla nuova mappa della persecuzione di Porte Aperte1, salgono a 365 milioni coloro che sperimentano almeno un livello alto di persecuzione anticristiana. Ma ti invito a ricordare due cose indispensabili…
La prima: a soffrire sono fratelli e sorelle, sono la nostra famiglia, sono il nostro corpo in Cristo!
La seconda: il nostro destino non è l’Armageddon, il nostro sguardo è oltre, là, alle nozze dell’Agnello (Apocalisse 19:7-9), al grande banchetto che ci attende.
Là il pane non mancherà. E l’unione sarà completa.
Intanto gustiamola e viviamola qui.
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