La testimonianza di una presenza, imponente non solo per numero ma per qualità e per ispirazione, che l’ordine costituito sia civile e politico che ecclesiastico del nostro Paese non può più ignorare: questo è a mio avviso l’esito fondamentale del grande incontro avvenuto ieri a Roma al Circo Massimo e dintorni. Non solo infatti nel “catino” erboso del Circo Massimo, tra l’altro in parte transennato e non accessibile ai convenuti a causa di lavori in corso (che ci sono sembrati, ma non ne siamo certi, degli scavi archeologici). Non solo nel Circo Massimo, gremito dove possibile fino all’orlo. Erano infatti migliaia le persone che, non potendo scendere nel Circo Massimo, sono rimaste nelle vie adiacenti o anche nei giardini e nelle aree di parcheggio della vicina sede della Fao.
Senza soffermarmi oltre sul numero, di cui comunque la documentazione fotografica anche aerea rende giustizia, vorrei appunto fermarmi qui in particolare sulla qualità e sull’ispirazione di tale presenza. E’ stato un evento molto nuovo anche rispetto a quelli analoghi che l’hanno preceduto. Né la presenza annunciata di un grande leader carismatico, né la speranza di qualche grossa novità politica, né la promessa di un evento spettacolare in cui identificarsi aveva richiamato sotto un cielo nuvoloso, che prometteva pioggia, centinaia di migliaia di persone di ogni parte d’Italia e di ogni ambiente, gruppi parrocchiali accanto a gente di movimenti ecclesiali, famiglie con bambini, anziani e invalidi in carrozzella, gente di fabbrica e di quartiere e professori universitari, sconosciuti e volti noti di politici per una volta davvero dispersi tra la folla assiepata per lo più in piedi. Con i loro discorsi e i loro interventi i membri del comitato promotore hanno fatto del loro meglio per richiamare l’attenzione dei presenti verso il palco che, per scarsità di schermi ripetitori, era così remoto da risultare imperscrutabile alla maggior parte degli astanti. Quella vastissima platea non era sostanzialmente venuta lì per vederli e per ascoltarsi. Era venuta lì, e lì è pazientemente rimasta per diverse ore, semplicemente appunto pe testimoniare con la sua presenza la forza stabile e pacifica della realtà familiare. E per affermarne così la specificità e l’importanza per la vita civile del Paese.
Molto più dei discorsi dal palco, talvolta densi e importanti ma talvolta anche un po’ troppo ingenuamente orientati alla ricerca dell’applauso, il “discorso” sulla famiglia ha consistito non di parole ma di persone, di volti, di sguardi, di richiami, di bandiere e cartelli che lo spazio e la folla rendevano comunque minuscoli. Venuta meno insomma quasi ogni traccia della manifestazione politica così come eravamo abituati a vederla, più che dagli oratori il messaggio è venuto dalla gente. O meglio, il messaggio era la gente.
E’ difficile adesso dire se questo evento avrà un impatto immediato e concreto sulla battaglia che, con un’urgenza incomprensibile (a meno che sia l’esito di pressioni esterne tanto inconfessabili quanto insostenibili), il governo Renzi sta conducendo per introdurre in Italia un cosiddetto matrimonio omosessuale mascherato da unione civile. Per di più all’ombra della falsa notizia secondo la quale il nostro sarebbe l’unico dei 28 Paesi dell’Unione a non averlo. In realtà oltre all’Italia sono invece 12 gli Stati membri che non ce l’hanno compreso uno, la Slovenia, dove l’anno scorso un referendum popolare lo ha abrogato a pochi mesi dalla sua entrata in vigore.
Al di là di tale augurabile esito la novità definitiva emersa dall’incontro di ieri a Roma è ad ogni modo l’imponente presenza umana di cui si diceva, magari qua e là grezza, ma saldamente radicata in un’esperienza – prevalentemente di matrice cristiana – che merita di venire aiutata a crescere e ad affacciarsi alla ribalta della società italiana. E’ una novità che interpella chiunque abbia nel nostro Paese responsabilità nella vita pubblica: sia nella Chiesa in ogni suo ambito che nel mondo della politica come in quello della cultura.
da: Lanuovabq.it
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