Il Mediterraneo si è trasformato in una tomba per centinaia, migliaia di migranti che cercano di raggiungere le coste italiane.
(Paolo Naso) Un mare di morti, Mare mortum in cattivo latino e nel linguaggio ad effetto dei media. Il dato è dell’ACNUR che indica in 4.176 il numero dei migranti deceduti negli ultimi dodici mesi nel corso di traversate irregolari nel Mediterraneo, morti in barconi gestiti da trafficanti senza scrupoli collusi con centrali criminali.
A un anno dalla morte del piccolo Aylan Kurdi, la cui foto sulla spiaggia turca di Bodrum scosse l’opinione pubblica mondiale, il bilancio del traffico di migranti nel Mediterraneo raggiunge il picco di 281.740 unità, mentre resta più o meno stabile a 116.000 il numero di migranti e richiedenti asilo che approdano in Italia.
Minori non accompagnati
Infine, se la “buona notizia” è che il numero delle migrazioni lungo la rotta balcanica è crollato da 67.000 e circa 3.500 unità, la cattiva è che aumenta costantemente il numero dei migranti minori non accompagnati, pronti a rischiare la vita per raggiungere le coste europee. Giunti in Italia, devono essere accolti in centri specificatamente dedicati a loro ma non di rado – anche a causa della saturazione dei posti disponibili – questo accade solo dopo qualche mese dall’arrivo. L’altra notizia è che dopo poco un numero crescente di ragazzi lascia l’Italia e abbandona il percorso di integrazione avviato per cercare di raggiungere fortunosamente i paesi europei giudicati più attrattivi per un richiedente asilo: in primo luogo la Svezia e la Germania.
I flussi cambiano
I dati sono molto eloquenti e indicano almeno tre tendenze di cui i decisori politici europei dovrebbero prendere atto. La prima è che le politiche di chiusura delle frontiere – pensiamo agli accordi con la Turchia o alla barriera di filo spinato alzata in Ungheria – non hanno alcuna efficacia dissuasiva ma semplicemente reindirizzano i flussi in altre direzioni, prima tra tutte lungo la rotta mediterranea che ha come principale punto di approdo l’Italia. È la vecchia regola dei vasi comunicanti per cui abbassando la pressione da una parte la si alza dall’altra.
La seconda considerazione facilmente desumibile dai dati è che le migrazioni sono sempre più “disperate” e prive di logica geografica. Si parte da dove si può e si arriva dove capita perché l’importante è partire. Lo scenario invisibile che sta dietro questa nuova dinamica è che la fase che precede la traversata è ancora più lunga, pericolosa e drammatica. Noi non lo vediamo ma non è difficile immaginare che cosa debba vivere una giovane donna o un minore costretto a vagare per mesi o anni tra Somalia, Sudan, Etiopia, Libia prima di trovare un passaggio verso il Nord del Mediterraneo.
La terza considerazione riguarda il fatto che un numero crescente di migranti arriva in Italia e poi “scappa” in condizioni di irregolarità verso altri paesi europei: se gli va bene vivono da clandestini, se gli va male vengono rimandati in Italia pronti a restarci sino alla prossima occasione di fuga. È la “legge di Dublino”, un elemento di rigidità europea che penalizza i paesi di primo arrivo come l’Italia e protegge i paesi di seconda immigrazione.
Politica dei corridoi umanitari
Complessivamente ne deriva un bilancio pesantemente negativo sotto il profilo politico, economico e umano. È il default dei principi di solidarietà europea e della sua tradizione di accoglienza e tutela dei diritti umani, il crack di ogni logica razionale di gestione degli effetti di una crisi geopolitica della quale anche il vecchio Continente porta una quota importante di responsabilità.
È in questo quadro che si rafforza la proposta italiana dei “corridoi umanitari” ovvero di uno strumento flessibile, sicuro e legale di gestione dei flussi migratori o, almeno, delle loro quote più vulnerabili ed esposte a persecuzioni e violenze. Ipotizzando una quota europea di 250.000 visti umanitari all’anno rilasciato da dieci – soltanto dieci paesi europei – sarebbe possibile assorbire la pressione migratoria di questi anni con una quota di 25.000 unità circa a paese. Certo, c’è il rischio di scatenare un potente fattore di attrazione, e per questo i corridoi umanitari devono accompagnarsi ad altre misure di contenimento e di intervento umanitario nei paesi di emigrazione. Non esistono soluzioni magiche e indolori ma i “corridoi umanitari” offrono un’alternativa alle migrazioni disperate e criminogene. L’Italia li sta sperimentando proprio grazie alla collaborazione ecumenica tra la Federazione delle chiese evangeliche in Italia, la Tavola valdese e la Comunità di Sant’Egidio. L’Europa ne prenda atto e si faccia un esame di coscienza. (nev-notizie evangeliche, Paolo Naso, coordinatore del Progetto Mediterranean Hope della FCEI)
Sostieni la redazione di Notizie Cristiane con una donazione, clicca qui