I problemi relazionari e scolastici legati allo smartphone e gli allarmi sulla compulsione da iPhone hanno portato il Liceo San Benedetto di Piacenza ad installare un sistema per impedirne l’uso, anche perché la proposta del Ministero dell’Istruzione, di utilizzarli per la didattica non convince i docenti.
«Seppur consapevoli della grande utilità dei cellulari, crediamo che il loro utilizzo diventi sempre più una fonte di distrazione, di comportamenti asociali e di conflitto sia a scuola che a casa…..Ricerche hanno dimostrato che la semplice presenza di cellulari nelle aule può avere un’influenza negativa sulla performance degli studenti».
Nei mesi scorsi, la dirigenza del Liceo San Benedetto di Piacenza (Liceo scientifico paritario a indirizzo sportivo e scienze applicate) aveva scritto così in una lettera ai genitori dei propri studenti che, da lunedì 17 settembre, primo giorno di scuola, hanno dovuto iniziare a fare i conti con una grande novità: la speciale tasca ‘Yondr’, un sistema per impedire l’uso del cellulare a scuola, ricreazione compresa. Si tratta di una “semplice” custodia che scherma i dispositivi: una volta chiusa dall’insegnante alla prima ora, può essere sbloccata solo dagli stessi docenti al termine dell’ultima lezione, tramite un’apposita base. Gli studenti possono tenere con sé lo smartphone, che tuttavia così è reso inefficace.
Sono andato a far visita all’istituto San Benedetto per vedere di persona il dispositivo e capire “che aria tira”. I ragazzi sapevano già dallo scorso anno che la scuola stava ragionando su come far fronte al problema, ma non si aspettavano che si sarebbe arrivati ad una simile conclusione. «L’avete fatto davvero!!» è stato il loro commento. Masticando un po’ amaro nei primissimi giorni, hanno dovuto accettare quanto deciso dalla dirigenza –anche se qualcuno ha provato a forzare il sistema – ma dopo un po’ si sono abituati e la vita scolastica già scorre serena.
Le famiglie da parte loro sono contentissime. Del resto, qualsiasi genitore vede quanto sia diventato difficile separare i giovani dai telefonini, che assorbono la loro attenzione pressoché senza soluzione di continuità giorno e notte. Sono i figli della “look down generation”, definizione coniata nei paesi anglosassoni per indicare quelli che camminano sempre guardando in basso il monitor del proprio smartphone, in perenne connessione e con auricolari che isolano dal mondo. E il dialogo in famiglia, già in crisi per tanti motivi epocali, ne risente pesantemente…
La vicenda, subito metabolizzata dalla comunità scolastica, è invece ancora oggetto di attenzione (non senza qualche polemica strumentale…) da parte della stampa e della televisione, tanto che è approdata nei giorni scorsi a Uno Mattina di RAI 1(puntata del 30 settembre), che ha invitato la vicepreside della scuola, prof.ssa Ilaria Tiberio, a raccontare quanto sta accadendo.
Il caso ha avuto così tanto rilievo perché in effetti il problema esiste ed è controverso. Le analisi in questi anni si sono moltiplicate e le ipotesi di soluzione pure; quella proposta dal Ministero dell’Istruzione, di utilizzare gli smartphone per la didattica, convince davvero poco la maggior parte dei docenti, e non senza fondate motivazioni di facile comprensione. Il sequestro dei dispositivi è vietato dalla legge, e oggi purtroppo molte leggi non si preoccupano delle conseguenze educative di quanto sancito…; l’uso in classe per fini non didattici non è consentito, ma gli studenti, che lo tengono sempre a portata di mano, lo utilizzano per copiare, chattare, fotografare, realizzare video, registrare, navigare su internet, fino talvolta a usarlo per fini illeciti e violenti, come nei casi sempre più frequenti di Cyber-bullismo.
E’ vero quanto affermato dal prof. Federico Tonioni (Psichiatra e Psicoterapeuta che ha fondato e dirige dal 2009 il primo Ambulatorio in Italia sulla Dipendenza da Internet), presente alla trasmissione di Uno Mattina per fare da contraltare alla prof.ssa Tiberio, che la vera sfida (titanica per la scuola italiana di oggi….) non è impedire l’uso ma rendere la lezione tanto appassionante da far dimenticare lo smartphone; tuttavia, in questo momento dobbiamo fare i conti con un diffuso (non solo fra i giovani, ma anche massicciamente fra gli adulti) disturbo ossessivo-compulsivo, per cui non si riesce a stare senza controllare continuamente quanto arriva attraverso i molteplici canali di comunicazione del telefonino.
In una società in cui dire di NO pare diventato difficilissimo, la decisione adottata dalla Scuola San Benedetto di Piacenza è una ventata di aria nuova. E se a qualcuno ha fatto storcere il naso, perché pare in controtendenza o addirittura “reazionaria”, non mancherà sicuramente di dare buoni frutti.
Come il preside della scuola, prof. Bertamoni, ha ripetuto a me e in occasione delle numerose interviste “piovute” in questi giorni: «Lo scienziato Stephen Hawking diceva di non smettere mai di guardare alle stelle. Il senso più profondo di questa novità è proprio aiutare gli studenti a togliere gli occhi dal display per alzarli al cielo, ad andare metaforicamente oltre, verso qualcosa di più elevato. Siamo convinti che sia un’opportunità per i nostri studenti di poter andare oltre. Certo, non li lasceremo soli in questa situazione, ma li aiuteremo nel tempo a capire questa scelta, e a guardare appunto alle stelle». E’ una sfida, questa, di cui ha bisogno più che mai tutta la società, non solo i nostri giovani.
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