L’attività missionaria cristiana nel Tibet geo-culturale, comprendente territori attualmente amministrati da Cina, India, Nepal e Pakistan, è nota in Italia soprattutto per la presenza di missionari cattolici nel XVIII sec., mentre quella protestante è pressoché sconosciuta: l’ultimo articolo sull’argomento pubblicato su questo settimanale fu probabilmente la seconda parte di La Mission morave dans l’Himalaya («Echo des Vallées», n. 31, 30. 07. 1915) di E. De Perrot.
Nei primi decenni del XVIII secolo missionari italiani gesuiti e cappuccini tentarono invano di convertire i tibetani al cattolicesimo. Mentre alcuni dei loro scritti mirano a confutare la dottrina buddhista su basi teologiche, altri contengono informazioni preziose sulla vita nel Tibet contemporaneo. Nulla è rimasto in Tibet della loro presenza, salvo una campana in bronzo un tempo appesa nel Giokhàn, il tempio buddhista più venerato nel paese, a Lhasa, capitale del Tibet. L’opera di altri missionari, cattolici e protestanti, nel Tibet orientale durante i secoli successivi non ebbe esito più duraturo; due di essi furono assassinati da banditi nel XX sec.
L’attività missionaria in Tibet successivamente all’occupazione militare cinese è ripresa – sia clandestinamente sia ufficialmente – a partire dal 1985 grazie alla presenza di predicatori, soprattutto statunitensi, sia nel Tibet orientale sia a Lhasa. Le autorità comuniste hanno reso il Tibet più accessibile ai missionari di quanto esso non sia mai stato prima, forse vedendo in essi uno strumento per arginare l’influenza del clero buddhista; ma i tibetani continuano a mostrarsi generalmente refrattari alla conversione. Le strategie utilizzate dai missionari sono diverse e sono oggetto di controversia fra le stesse missioni in Tibet: alcune, soprattutto quelle evangeliche integraliste statunitensi, distribuiscono materiale religioso anche in strada e sostengono, per esempio, che i tibetani che abbiano udito la parola di Dio saranno dannati soltanto qualora non l’accettino; altre, legate alle chiese protestante e cattolica, sono sensibili alla cultura locale, di cui riconoscono il valore morale.
Per una curiosa rivincita del destino, i primi cristiani che riuscirono a fare breccia in maniera permanente nel mondo buddhista tibetano furono i missionari tedeschi della Chiesa morava, discendente dal riformatore bohemo Giovanni Huss, arso vivo dalle autorità cattoliche nel 1415 in quanto giudicato eretico. Essi sono furono attivi nel XIX e XX sec. in Ladak e nelle regioni adiacenti, corrispondenti all’attuale Tibet indiano, dove la loro attività è stata continuata da missionari e pastori locali. Le cose sarebbero forse andate diversamente se il dotto gesuita pistoiese Ippolito Desideri e il suo superiore avessero approfittato della buona accoglienza ricevuta dal re e dal primo ministro del Ladak nel XVIII sec.; ma il suo superiore volle proseguire il viaggio verso Lhasa.
A rammentarmi il ruolo svolto dai missionari protestanti nel Tibet geo-culturale furono – nel luglio del 1978 – le note, familiari quanto inaspettate, di un inno intonato da un gruppo di ladaki in una sala dell’allora unico ristorante di Leh, capitale culturale del Tibet indiano e capoluogo del Ladak, a 3517 metri di altezza, dove mi ero recato per rifocillarmi dopo un viaggio in corriera iniziato due giorni prima a Shrinagar, capoluogo del Kashmir. Pur essendo al corrente dell’attività dei missionari moravi nel Tibet indiano per il loro importante contributo alla tibetologia, ne rimasi sorpreso e quasi infastidito: avendo ricevuto una borsa di studio del Central Research Funddell’Università di Londra e percorso 434 chilometri su una perigliosa strada di montagna con un valico di 4108 m. per documentare il lavoro dei migliori pittori e scultori buddhisti viventi del Ladak, mi sarebbe parso più consono essere accolto da un canto tradizionale ladako. Apparentemente divertito dal mio stupore, un membro del gruppo mi spiegò la sua appartenenza alla Chiesa morava; ma allora ciò non mi indusse ad approfondire l’argomento.
I missionari tedeschi della Chiesa morava attivi nel Tibet indiano durante il XIX sec. studiarono e appresero sia la parlata locale sia il tibetano classico. Fra essi si annoverano non soltanto i primi traduttori del Nuovo Testamento in tibetano, ma anche il primo studioso occidentale della storia del Ladak, A. Francke, e l’autore del primo dizionario tibetano-inglese, tuttora adottato nelle università occidentali: H. Jäschke. L’opera della Missione morava fu continuata da missionari e pastori locali sia nella traduzione della Bibbia sia nel campo delle ricerche sulla storia locale, non senza difficoltà: uno di essi scampò a due tentativi di avvelenamento da parte dei familiari buddhisti della sposa, convertita al cristianesimo.
Nel 1983 e 1989 acquisii due edizioni della Bibbia tradotta e pubblicata in tibetano a Lahore (1948, 1968 e 1983), il Pentateuco in tibetano, stampato a Leh nel 1987 a cura del Ladakh Christian Committee for Tibetan Bible Translation/Revision, e poi alcuni opuscoli in tibetano pubblicati per la comunità morava del Ladak. Da un punto di vista interreligioso il Ladak rappresenta un caso interessante, poiché vi convivono cinque religioni: buddhismo, islam, induismo, cristianesimo e sikhismo. Il 9 settembre 2001 fui invitato a un importante ricevimento offerto dalla comunità islamica ladaka al rappresentante della scuola buddhista tibetana Kàrmapà dei «Cappelli Neri», riconosciuto sia dal XIV Dalai Lama sia dalle autorità cinesi, fuggito dal Tibet e giunto in India all’inizio dell’anno precedente, nel suo primo incontro di quel genere. L’anno successivo estesi le mie ricerche alla numerosa comunità musulmana del Ladak visitandone le moschee più importanti e incontrando a più riprese l’imam sunnita di Leh (2002, 2003 e 2005), e infine alla piccola comunità morava.
L’11 agosto 2002 – lo stesso anno in cui vi fu inaugurata una chiesa cattolica – mi recai alla chiesa morava di Leh, dove incontrai il figlio del pastore – allora assente negli Stati Uniti – e assistetti al culto, condotto in ladako e hindi da due predicatori alla presenza di settantacinque fedeli, circa metà della comunità morava locale. A questi bisogna aggiungere un numero imprecisato di convertiti nepalesi, per lo più lavoratori stagionali di ambo i sessi che migrano in Ladak per lavorare soprattutto in cantieri stradali estivi di importanza strategica, e anche di militari cristiani dell’esercito indiano, massicciamente presente in Ladak a causa della vicinanza del confine pakistano e di quello cinese, quest’ultimo avvicinatosi dopo l’occupazione cinese del Tibet, conclusa nel 1959, e soprattutto dopo la sconfitta subita dall’India nella guerra contro la Cina, che dal 1962 occupa un terzo del territorio ladako. Nel 2005 scoprii anche una piccola chiesa morava a Khalatse, nel basso Ladak, lungo la strada che collega Leh a Shrinagar.
La Missione morava continua a svolgere nel Tibet indiano un importante ruolo sociale e culturale anche nel campo dell’istruzione. Nel 1979 fu inaugurata a Leh la sua scuola, frequentata da oltre 600 studenti, alcuni dei quali appartenenti a famiglie bisognose e provenienti talora da villaggi remoti, anche buddhisti, cui vengono offerte borse di studio; l’insegnamento nelle 35 classi in cui sono suddivisi avviene in lingua inglese a opera di otto insegnanti.
Nel Tibet geo-culturale, Gesù è percepito come un Bodhisattva, ovvero un essere illuminato che, mosso da compassione, rinuncia temporaneamente alla condizione di Buddha, facendo voto di rimanere nel mondo per aiutare l’umanità a raggiungere la liberazione dal ciclo delle rinascite secondo gli insegnamenti della scuola buddhista del «Grande Veicolo». Tuttavia il direttore della Scuola morava di Leh, Elijah Ghergan, rileva che la cultura tibetana tradizionale del Ladak, centrata sui monasteri, festival e rituali buddhisti, si oppone «fortemente» alla predicazione evangelica: «spesso chiunque sia associato al gruppo cristiano» è soggetto a «ostracismo sociale» e ciò «rende difficile trovare persone disposte ad aiutare la scuola», anche se essa si è affermata come la migliore del Ladak.
Fonte: http://www.riforma.it/
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