Dopo aver introdotto la volta precedente il concetto, la definizione e lo scopo del counseling [1], vorrei occuparmi ora di una delle dimensioni fondamentali della relazione d’aiuto, ovvero della dimensione del sé, della visione di sé (stessi). Ora, tale visione coincide con ciò che il soggetto pensa di sé. Tale visione influenza il modo in cui la persona vede ed affronta i problemi che nella vita gli si possono presentare. Abbiamo anche detto (nell’articolo precedente) che il counseling si presenta come un intervento che più che mettere al centro della relazione d’aiuto l’esplorazione del problema si prefigge di favorire l’esplorazione della persona stessa, ovvero la sua conoscenza di sé, appunto. Spesso infatti le persone che chiedono aiuto hanno la tendenza a volersi occupare più del problema che portano che di sé stesse. Generalmente le persone che vivono una certa difficoltà tendono ad attribuire le cause del disagio che stanno vivendo alle circostanze esterne (che sembrano causarlo) piuttosto che a qualcosa che fa parte del proprio sé. Ma la ricerca di una ‘soluzione’ ai problemi portati dalle persone non sempre può consistere nella possibilità di cambiare le circostanze esterne legate alle difficoltà descritte dalle persone. Eppure, anche se a volte non si possono cambiare le circostanze esterne legate ad un determinato problema vissuto da una certa persona, la relazione d’aiuto si prefigge di favorire nella persona un cambiamento interiore, che la porterà ad affrontare in modo diverso il problema. E spesso è proprio il cambiamento interiore della persona, ossia il cambiamento dei suoi atteggiamenti rispetto alla visione di sé stessa e di conseguenza del problema che sta portando, a determinare quella soluzione che il counseling si propone di favorire e ricercare. Dunque uno degli obiettivi fondamentali del counseling, verso coloro che chiedono di essere aiutati a risolvere un determinato problema, è quello di promuovere e facilitare l’acquisizione di una nuova visione di sé in coloro che chiedono aiuto. Ed in tale nuova visione è ricompresa una nuova visione non solo rispetto a se stessi, ma in generale anche rispetto alla vita ed agli altri. Infatti un cambiamento personale può essere il fattore che, poi, potrà favorire un cambiamento positivo anche nelle relazioni con gli altri. In sintesi l’idea di fondo di questo articolo vuole stimolare la seguente riflessione: una nuova visione di sé stessi e della vita può favorire una nuova visione dei problemi che nella vita siamo chiamati ad affrontare.
Ed ora vorrei illustrare il principio sopra esposto con due storie accadute rispettivamente a due persone diverse, che si rivolsero ad un counselor per essere aiutate a risolvere rispettivamente uno stesso tipo di problema, che stava loro creando disagio e difficoltà. Ovviamente le storie accaddero in momenti diversi e riguardarono persone diverse. Entrambi queste persone si rivolsero al counselor per via di un problema nelle relazioni personali con i membri delle loro rispettive famiglia, ovvero con le loro mogli ed i loro figli.
Il primo uomo espose il proprio problema in termini di frequenti conflitti con i membri della propria famiglia. Ovviamente il counselor chiese a quest’uomo di raccontare tutta la sua storia, tutti i particolari delle sue relazioni con sua moglie e i suoi figli. Dopo il racconto ben dettagliato dell’uomo, il counselor riuscì ad avere chiaro il quadro del problema, ma quando lo riformulò al cliente in modo sintetico e preciso questi si rifiutò di ammettere la “sentenza” espostagli dal counselor. Sentirsi dire che i problemi di relazione nella sua famiglia dipendevano proprio dalla sua ira non andava giù a quell’uomo, che cercò di ribattere dicendo che erano i suoi familiari a non rispettarlo. Inoltre il cliente sosteneva di non essere affatto un uomo iracondo. Allora il counselor decise di proporre al cliente lo svolgimento di un compito. Costui avrebbe dovuto compilare un diario personale nelle due settimane successive prima del prossimo incontro col counselor. La consegna era quella di registrare nel diario tutte le relazioni che sarebbero occorse all’uomo durante le interazioni coi membri della sua famiglia. Passate le due settimane l’uomo si ripresentò dal counselor portando con sé il diario. A quel punto il counselor chiese all’uomo di dargli due giorni di tempo per esaminare il diario e rinviò il cliente all’appuntamento successivo. Passati i due giorni i due si rividero ed il counselor riconsegnò il diario al cliente facendogli notare che si era permesso di sottolineare in rosso tutti quegli atteggiamenti dell’uomo che erano evidenti segni di ira e manifestazioni di collera. Quindi chiese al cliente di rivedere lui stesso il diario. Quando l’uomo prese il diario in mano e riguardò quegli episodi e le molte sottolineature si rivolse al counselor dicendo queste testuali parole: “Questo è il diario di un uomo molto iracondo”! Quello fu il momento a partire dal quale quell’uomo acquisì la consapevolezza di quale fosse la vera radice dei suoi problemi di relazione in famiglia. La consapevolezza dei suoi reali problemi coincise con l’acquisizione di una nuova visione di sé. Prima del rapporto e del confronto col counselor quell’uomo era convinto di non essere un uomo iracondo. Dopo le sedute di counseling l’uomo cambiò questa percezione di sé, prendendo atto che, invece, proprio l’ira era uno dei suoi tratti caratteriali distintivi e tipici della sua personalità. Da quel momento in poi il counselor ed il cliente lavorarono per determinare degli obiettivi che andassero verso la soluzione del caso. La soluzione ovviamente ormai era vista con gli stessi occhi da entrambi (dal counselor e dal cliente): occorreva un cambiamento negli atteggiamenti dell’uomo. Questi doveva trovare modalità di relazione diverse verso i suoi familiari, non più improntate e determinate dall’ira. Il riconoscimento di questo fatto fu il trampolino di partenza per il lavoro successivo.
L’altra storia che vorrei qui riportare riguarda il caso di un uomo che aveva anch’egli dei problemi di relazione con i suoi familiari. L’uomo si presentò al counselor esponendo il proprio problema con le seguenti parole: “Io sono un uomo rispettato e ascoltato ovunque, tranne che a casa. Al lavoro tutti mi rispettano, mentre a casa mia moglie e i miei figli non considerano affatto le cose che dico loro. Anche questa volta il counselor, per cercare di avere chiaro il quadro della situazione, chiese al cliente di descrivere la sua storia personale e familiare. Tra i dettagli del racconto uscirono fuori particolari come quello per cui l’uomo chiedeva (pretendeva) che sua moglie e i suoi figli sistemassero gli abiti nei propri armadi come diceva lui, poiché questo – a suo dire – avrebbe reso le cose di casa più ordinate. Anche in questo caso quando il quadro fu chiaro il counselor restituì al cliente quello che si stava rivelando essere il nocciolo della questione. Per cercare di aiutare il soggetto a prendere consapevolezza della propria situazione, il counselor decise di servirsi di una metafora che poteva fungere bene da chiave di lettura del problema oltre che da strumento per risolvere il ‘dilemma’ del “non essere ascoltato! Vede – disse il counselor al cliente – i suoi familiari non sono come i computer; il problema sta tutto qui. Cosa voleva dire il counselor? Poiché l’uomo nel corso del proprio racconto aveva detto di essere un dirigente di un reparto di una ditta di informatica, abituato a programmare i suoi computer e a dirigere il personale a lui sottoposto secondo schemi e procedure ben collaudate, il counselor colse in questo aspetto il collegamento che rappresentava la chiave di lettura del problema. L’uomo pensava di trattare i suoi familiari come faceva con le sue macchine ed i suoi dipendenti al lavoro. E quando restituì la sintesi del problema al cliente, per mezzo della metafora che contrapponeva i computer agli esseri umani, il soggetto cominciò ad avere chiara la vera natura del suo problema, intuendo come la soluzione del problema delle sue “difficili relazioni familiari” dipendeva da una nuova immagine di sé e degli altri (dei suoi familiari), che egli avrebbe dovuto acquisire, per modificare le proprie relazioni familiari. Il cambiamento che occorreva per risolvere questo caso era quello di imparare a distinguere i computer dalle persone, prendendo atto del fatto che se i primi sono programmabili a nostro piacimento i secondi invece “pretendono” un accordo prima di disporsi a fare quello che gli si chiede e sempre che ciò che gli si chiede corrisponda a qualcosa di veramente giusto. Infatti un altro cambiamento che l’uomo dovette raggiungere fu quello di prendere atto, sempre nel corso delle sedute di counseling, del fatto che a creare il problema delle “difficili relazioni familiari” e della “mancanza di rispetto nei suoi confronti” non erano i suoi familiari ma lui stesso con quel genere di richieste (forse sarebbe meglio chiamarle pretese) che rivolgeva ai suoi familiari. Il cambiamento arrivò quando l’uomo ebbe chiaro il fatto che per andare d’accordo con i propri familiari doveva riconoscere che questi avevano diritto a sistemare gli abiti nei propri armadi così come piaceva loro e che questo rispetto all’ “ordine delle cose” faceva parte della libertà delle persone. Quando l’uomo, insomma, comprese che rispettare le persone era un principio diverso e “persino” prioritario nell’ambito delle relazioni umane rispetto all’abitudine di programmare le macchine allora ebbe luogo quel cambiamento di visione e di atteggiamenti che portò finalmente il giusto ordine ed il conseguente giusto rispetto nella casa di quell’uomo.
Spero di essere riuscito ad illustrare più chiaramente, per mezzo di queste storie, quanto volevo trasmettere in questo articolo riguardo ad una delle funzioni fondamentali del counseling; la soluzione di molti problemi vissuti dalle persone dipende da un loro cambiamento interiore, che a sua volta passa da un cambiamento della visione di sé e della relativa visione del mondo.
Enzo Maniaci – notiziecristiane.com
[1] Il counseling è la relazione di aiuto che si prefigge di prendersi cura delle persone che stanno vivendo un “momento” di difficoltà e disagio al fine di dar loro modo di esplorarsi per riconoscere quelle cause (ovvero quegli schemi mentali e d’azione, nonché quelle motivazioni segrete (provenienti dai desideri del cuore)) che spesso sono all’origine dei loro problemi.
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