Parlando delle prove e delle difficoltà degli ultimi tempi, la Bibbia tratteggia un quadro fosco. Essa dice – in pratica – che negli ultimi tempi la carità dei più si raffredderà a causa del moltiplicarsi dell’iniquità (Matteo 24: 12).
Ma poiché la Bibbia ci parla non al fine di farci scoraggiare e deprimere, ma al fine di suscitare ed accrescere in noi la fede (Giovanni 20: 31), è chiaro che, mentre non ci nasconde la reale drammaticità della situazione degli ultimi tempi, ci porge dei consigli per affrontare con lo Spirito della Grazia le difficoltà di questi ultimi (ed attuali) tempi.
Ora con quale termine potremmo descrivere l’attuale condizione di difficoltà di questi nostri difficili tempi (sapendo che – appunto la Bibbia dice che “Negli ultimi tempi verranno tempi difficili)? Probabilmente la parola più idonea a descrivere questi tempi è quella di crisi!
Ho letto ieri in un articolo cristiano che la parola crisi è sinonimo si di difficoltà, ma anche di svolta!
Bene, ma ciò che può significare? Non dovrebbe forse significare che in questi tempi di crisi e difficoltà occorre una svolta?
Ma in che senso va indirizzata questa svolta, visto che più si va avanti e più le cose sembrano peggiorare? Cosa possiamo aspettarci dal futuro, che si avvicina sempre di più agli ultimi difficili giorni?! Chi pensa che le cose miglioreranno sicuramente è un ottimista, ma anche un illuso.
Beh, ma se andando avanti le cose si faranno sempre più difficili, allora verso cosa dovremmo protenderci?
Quando si vuole fare una svolta, di solito questa non va fatta in avanti, ma all’indietro. Io penso che la svolta utile per questi nostri ultimi tempi, quindi, vada fatta all’indietro, ossia verso il modello della prima comunità cristiana e non verso i moderni modelli cristiani, che hanno lasciato indietro quello che ci era stato detto e dato sin dal principio.
Per poter andare avanti in questi ultimi difficili tempi penso che ci conviene riguardare al passato, ossia al modo di vivere della prima comunità cristiana.
E qui vorrei parlare soltanto di un particolare di quella comunità “primitiva” (ossia originaria, ma non per nulla antiquata, visto che nessun altro modello successivo della storia l’ha saputa o potuta eguagliare). Vorrei soffermarmi su una delle caratteristiche che di essa la Bibbia ci ha voluto trasmettere e riportare, ossia sul fatto che lo stile di vita della prima comunità cristiana (ed in quanto prima, anche la più vicina al Signore, la più prossima a Lui e dunque al praticare i suoi divini insegnamenti) era determinato dalla seguente attitudine:
“Il gran numero di coloro che avevano creduto era di un sol cuore e di una sola anima; e nessuno diceva essere suo quello che aveva, ma tutte le cose erano in comune fra di loro” (Atti 4: 32).
Si possono equivocare parole così inequivocabili?
Eppure c’è qualcuno che lo fa! E perché? Perché sono parole scomode! Già, così come quando qualcuno disse a Gesù: “Maestro il tuo parlare è duro, chi può ascoltarlo?” (Giovanni 6: 60).
E’ un parlare duro quello di dire che “anche” noi di oggi abbiamo bisogno di tornare allo stile di vita dei primi credenti? Allo stile di vita dei veri credenti?!
Se la prima comunità cristiana ha vissuto in quel modo, possiamo noi vivere in modo diverso? Cosa diremo un giorno al giudizio dinanzi agli apostoli: che noi essendoci ammodernati ed emancipati da certi modi antiquati di fare, abbiamo pensato bene di non mettere più le nostre cose in comune, ma di fare come si fa oggi nei paesi civilizzati, in cui ognuno si tiene quello che ha solo per sé? E noi saremmo gli emancipati? E gli apostoli e quelli della prima comunità cristiana i retrogra-di? Eppure una volta, purtroppo, ho udito da un pastore il tentativo di far passare un ragionamento simile a questo (con parole non proprio così dirette, ma equivalenti). Costui ha provato a sostenere in qualche modo che (scusate il gioco di parole) il modo di fare degli apostoli era frutto di uno sbaglio! Già, secondo questo pastore, gli apostoli avrebbero accondisceso a che la chiesa si comportasse in quel modo (cioè nel mettere tutte le cose in comune) solo perché pensavano di essere alla fine dei tempi. E, quindi, secondo questo pastore, poiché erano gli ultimi tempi allora pensarono di dare via tutto, tanto tutto stava per finire! Ma, sempre secondo questo pastore, poiché poi la fine non venne, si sbagliarono. Dunque il ragionamento di questo pastore proseguì dicendo: “Noi non dobbiamo fare lo stesso sbaglio. Noi non abbiamo bisogno di mettere le cose in comune, perché non sappiamo quando verrà la fine”.
Scusate, ma faccio troppa fatica a digerire un tale modo di pensare, che a me più che una corretta interpretazione della Scrittura sembra una forzatura escogitata per sostenere l’idea che ognuno possa tenersi quello che ha, soprattutto se questo qualcuno ha tanto (materialmente parlando) e dovrebbe, quindi, mettere tanto a disposizione degli “altri” (i fratelli) se si ritornasse a ragionare come faceva la “primitiva” comunità cristiana!
Sto andando contro un pastore? Si, probabilmente si. Ma io credo che il ragionamento del pastore in questione, in questo caso, ha molto di carnale e poco di spirituale.
Perché? Perché io non penso che gli apostoli fecero quello che fecero per sbaglio, ossia per un’errata considerazione dei tempi (come se noi oggi avessimo più discernimento di loro o fossimo più distanti di loro dagli ultimi tempi)! Io sono persuaso che gli apostoli e tutti i membri della prima comunità cristiana agirono come agirono perché sospinti dallo Spirito di Cristo, ossia dalla Carità.
Non giustifichiamoci e non giustifichiamo con sofisticati ragionamenti peseudo-spirituali quello che di sbagliato stiamo vivendo in questi nostri giorni di crisi. Noi, purtroppo, non siamo come i primitivi cristiani. Ed i risultati si vedono in termini di crisi spirituale rispetto a loro. Noi, moderni e civilizzati, siamo in crisi. Loro, i “primitivi” prosperavano, pur dando tutto!
Perciò nella nostra crisi attuale cosa ci conviene fare? Verso dove dovremmo svoltare?
Torniamo indietro, sui sentieri antichi, come consiglia anche il profeta Geremia (Geremia 6: 16).
L’antitodo al diffondersi, ossia alla pestilenza della malvagità, non può che essere la carità. Non fingiamo di essere più moderni e più saggi degli apostoli.
Penso proprio che la Bibbia possa ispirarci per trovare una forma di aiuto e sostegno per questi tempi difficili in cui molti stanno perdendo il lavoro. La ricetta degli atti degli apostoli è tutt’ora la migliore soluzione, anche per questi nostri ultimi tempi. Pensiamoci e torniamo a praticare il “primo amore” (Apocalisse 2: 4), senza parzialità, ovvero non pensando solo ai pastori che chiedono le decime, mentre altri membri della chiesa, pur essendo in crisi economica non vengono considerati, in base ad un tale sistema!
Enzo Maniaci | notiziecristiane.com
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