In Italia, come nel resto del mondo, la minaccia terroristica incombe. Ma il governo si occupa di imporre il gender a scuola.
Love wins. Il 26 giugno Obama mette in rete questo hashtag per festeggiare la decisione della Corte suprema di imporre a tutti gli States la possibilità del matrimonio same-sex. “L’amore vince”: nel medesimo giorno in cui a Charleston, South Carolina, si celebrano i funerali delle vittime del massacro di qualche giorno prima, a Lione un dirigente di impresa è decapitato da un dipendente inneggiante al jihad, che ne infilza la testa sul cancello dell’azienda, a Sousse (Tunisia) 37 turisti occidentali cadono sotto il fuoco di un giovane reclutato dalla rete salafita, a Kuwait City 25 persone vengono falciate da un attentatore suicida in una moschea sciita, in Somalia la base di Leego è attaccata da un’autobomba che provoca 30 morti, e a Kobane (città contesa fra Isis e curdi, al confine fra Siria e Turchia) i miliziani del Califfato arretrano lasciando però sul terreno oltre 150 civili uccisi.
L’inquilino della Casa Bianca, circondato da un establishment come lui festante e dal tripudio dei media, da un lato concentra la sua attenzione sull’atto di arbitrio operato dalla Corte suprema, dall’altro è fermo di fronte al terrorismo organizzato, né cerca quella indispensabile alleanza multilaterale che permetterebbe in breve tempo di bloccare la ferocia dell’aggressore.
#LoveWins: ma quale amore? Quello che ignora il rischio globale dell’ultrafondamentalismo islamico (non è bastato l’11 settembre? Quante Boston devono ripetersi?), nello stesso istante in cui esalta l’unione senza figli e la pone sul medesimo piano del matrimonio. Quello che prima del 2001 aveva collezionato ritirate e rinunce; Norman Podhoretz, già esponente dell’intellighentsia liberal, poi diventato neocon, elencava puntigliosamente, in un memorabile saggio comparso sulla rivista Commentary nel 2004, la serie di attentati che a partire dal 1979 (Teheran, presa in ostaggio di 52 diplomatici nell’ambasciata Usa) erano rimasti senza reazione da parte di Washington, e documentava come proprio questa mancata risposta aveva consolidato la convinzione di Osama Bin Laden di aggredire il territorio americano.
Bisogna però mettere da parte quell’hashtag e riprendere le equazioni più elementari: alla salute della famiglia corrisponde la salute della nazione; fare male alla famiglia equivale a farlo alla nazione; prediligere alla famiglia forme di unione prive di apertura alla vita significa rinunciare a costruire un futuro e mettere da parte la speranza che aiuta ad affrontare le difficoltà; parificare l’assunzione tendenzialmente definitiva di doveri reciproci fra un uomo e una donna, orientati ai figli, ad altri tipi di unione, privi di analoghe responsabilità, corrisponde a scegliere un ordinamento che dissuade dai sacrifici necessari, a cominciare da quelli di rilievo sociale; proseguire nella follia di una politica ostile alle nuove nascite incrementa la stanchezza della nazione, e priva della forza essenziali per reagire; e una nazione stanca è incapace di contrastare il nemico che vuole distruggerla.
Da Washington a Roma
Non vale solo per Washington: a Roma la scena è il Parlamento invece dell’aula giudiziaria, ma il copione è identico. La minaccia terroristica incombe: ci si attenderebbe, insieme a una iniziativa forte sul piano internazionale, uno sforzo concreto per recuperare la sicurezza sul piano interno. Di che si occupano invece Governo, Camera e Senato? Di confermare l’imposizione del gender a scuola, con una norma contenuta nella legge sulla “buona scuola” su cui viene posta la fiducia, e di ipotizzare sedute notturne per approvare il ddl Cirinnà. Chi, da posizioni di Governo, aveva espresso apprezzamento per piazza San Giovanni, non va oltre le dichiarazioni roboanti, noiose perché sempre eguali, sia sul fronte della sicurezza che su quello della famiglia. #LoveWins anche a Roma: per il popolo delle famiglie è bene convincersi che il 20 giugno è solo l’inizio.
Alfredo Mantovano
da: Tempi.it/
Foto Ansa
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