Un piede in Europa 
e il cuore a Gaza

Tra il 5 e il 9 febbraio sono giunte in Italia 109 persone  evacuate dalla Striscia di Gaza. 4 famiglie sono seguite dalla Diaconia valdese

Da alcuni mesi la Diaconia valdese, su richiesta della Tavola valdese, sta accompagnando quattro famiglie palestinesi scappate dal conflitto nella striscia di Gaza.

Tra il 5 e il 9 febbraio sono giunte in Italia, attraverso un’operazione umanitaria voluta dal Governo italiano e gestita dai ministeri degli Esteri, degli Interni e della Salute: 109 persone provenienti dall’Egitto e precedentemente evacuate dalla Striscia di Gaza attraverso il valico di Rafah. Grazie a questo intervento 18 bambini che necessitavano urgentemente di cure mediche sono stati accolti e presi in carico dagli ospedali pediatrici di Bologna, Firenze, Milano e Genova. 

I bambini, insieme ad alcuni dei loro famigliari, sono giunti in Italia in parte con la nave Vulcano della marina militare italiana salpata dal porto egiziano di Al -Arish e approdata al porto di La Spezia e in parte con dei voli aerei dell’Aeronautica militare. Il Governo ha richiesto di accogliere queste famiglie e la Tavola valdese ha manifestato la propria disponibilità chiedendo alla Diaconia valdese –Servizi Inclusione di farsi carico dell’accoglienza. Così sono arrivate a Genova e Firenze 4 famiglie: di cui 8 bambini e 6 adulti, che sono state da subito accolte, oltre che dagli operatori della diaconia, dall’intera comunità con un forte senso di solidarietà e di sostegno, in un’importante rete di supporto e aiuto.

Sono state avviate le procedure legali per la richiesta di asilo, anche se le famiglie non vedono la richiesta di asilo come una soluzione alla loro condizione. A tutt’oggi la loro intenzione è quella di poter ritornare in tempi brevi se non a Gaza, almeno in Egitto o in altri paesi arabi limitrofi, per potersi ricongiungere con i propri famigliari. A differenza del conflitto in Ucraina, per le persone fuggite ed evacuate dalla Striscia di Gaza il Governo italiano e la Comunità europea non hanno previsto una forma di protezione temporanea, costringendo così le persone a scegliere la via della richiesta di asilo come unica soluzione praticabile: questa strada, seppur molto tutelante, non consente alle persone di poter rientrare nel proprio paese di origine.

L’incertezza sull’esito e i tempi di risoluzione del conflitto aumenta il senso di precarietà e disorientamento, di fronte al quale la richiesta di asilo (che non prevede la possibilità di rientro) è un ulteriore elemento di sofferenza. Il lavoro degli operatori si è indirizzato verso l’attivazione di forme di sostegno, anche di tipo psicologico, per permettere alle persone di gestire nel migliore dei modi il trauma e la condizione che stanno vivendo; dall’altra parte le comunità, viste le sofferenze emerse nel corso di questi mesi, si sono strette intorno alle famiglie cercando di creare degli spazi di svago e, seppur per pochi momenti, di “sollievo” da questo stato di smarrimento.

Un primo nucleo, una famiglia composta dalla mamma, due bimbi di 3 e 6 anni e dal cognato della signora, fratello del marito rimasto a Gaza, è arrivato in Italia per le cure mediche di uno dei due bimbi affetto da una grave patologia cardiaca per la quale è stato da poco sottoposto a un intervento chirurgico molto delicato e purtroppo non risolutivo. Il bambino, tutt’ora seguito dall’equipe medica dell’Ospedale che lo ha in cura e il fratello hanno iniziato a frequentare la scuola dell’infanzia. La famiglia ha subito iniziato a interagire con una rete di volontari che li sta aiutando a integrarsi e orientarsi sul territorio.

Più drammatica è la vicenda di un padre che è in Italia, assieme alla figlia di 8 anni, mentre la moglie e un’altra figlia, da dicembre si trovano negli Emirati Arabi dove la minore è in attesa di essere sottoposta a un delicato intervento chirurgico. Presentata la richiesta di ricongiungimento negli Emirati Arabi per raggiungere la figlia e la moglie, i tempi della procedura e l’ottenimento dei documenti si prospettano molto lunghi. Il nucleo più numeroso è composto da padre e madre e i loro tre figli di 4, 7 e 10 anni. Il più piccolo è in carico presso il reparto di Neurologia pediatrica della città in cui vivono. I genitori hanno iniziato un corso d’italiano presso un’associazione di volontariato. I due figli più grandi sono stati iscritti in una squadra di calcio locale.

Dobbiamo riconoscere il costruttivo rapporto con le Prefetture competenti che hanno il mandato, come da accordi con il governo, di individuare un progetto istituzionale di accoglienza in cui inserire le famiglie, ma la scarsità dei posti disponibili per le famiglie all’interno della rete rende impossibile prevedere tempistiche certe da poter comunicare alle famiglie che restano così “appese” a un possibile trasferimento, aggiungendo un ulteriore elemento di precarietà alle loro travagliate esistenze. Il disorientamento di queste famiglie è determinato dal riaffiorare dei ricordi di scenari di guerra, dall’angoscia per la sorte dei famigliari lontani, dalla presenza di figli malati, da un futuro assolutamente imprevedibile che tiene le persone in una sorta di limbo, con un piede in Europa e il cuore a Gaza. 

L’impegno delle comunità, degli operatori, della Diaconia e della Tavola valdese, non è solo un segno di solidarietà, ma anche un percorso che porta, a contatto con le sofferenze delle persone, a superare le polarizzazioni e a desiderare la rapida fine del conflitto e l’apertura di un percorso che possa dare a queste famiglie la possibilità di vivere insieme nella loro terra in pace e dignità

https://riforma.it/2024/07/16/un-piede-in-europa-e-il-cuore-a-gaza/


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