Il governo di Skopje ha deciso di schierare la polizia per bloccare il passaggio dei rifugiati dalla Grecia alla Macedonia nel tentativo di raggiungere l’Unione europea attraverso la Serbia.
(Marco Magnano) Giovedì 20 agosto la Macedonia ha preso una decisione che crea nei fatti un nuovo muro nel cuore d’Europa. Il piccolo stato nei Balcani meridionali ha infatti deciso di proclamare lo stato d’emergenza a seguito del netto aumento del numero di migranti che dalla Grecia cercano di raggiungere l’Unione europea passando attraverso la penisola, in particolare lungo la rotta che attraversa la Macedonia, poi la Serbia e infine si divide in numerosi rami rivolti a nord.
Il nodo di Gevgelija
Negli ultimi giorni il flusso di persone è andato via via crescendo, fino a raggiungere quote vicine ai 2.000 passaggi al giorno attraverso la frontiera e la città di confine di Gevgelija, e il comunicato del governo parla della necessità di “un controllo più forte ed efficace nella regione frontaliera, dove si registrano passaggi illegali e massicci in provenienza dalla Grecia”. Nei fatti questa decisione si traduce in una frase, asciutta e perentoria, riferita da un giornalista dell’agenzia Reuters che ha assistito in diretta al dispiegamento delle forze di polizia e dell’esercito sul confine: “Niente più Macedonia”.
Nella notte del 20 agosto una colonna di agenti in tenuta antisommossa ha chiuso il passaggio alla frontiera, bloccando completamente il flusso di persone in fuga dalla guerra in Siria e ammassate in condizioni sempre peggiori sul confine.
Una scelta obbligata
Secondo il governo, il giro di vite è una scelta obbligata, in seguito a giornate caratterizzate da “scene di caos” nei pressi della stazione ferroviaria locale, dove “migliaia di persone hanno cercato di salire sui treni per la Serbia, con bambini piccoli passati attraverso i finestrini dei vagoni”. Quasi in contemporanea, ad Atene un cargo greco sbarcava 2.400 rifugiati siriani arrivati dall’isola di Kos, a pochi passi dal confine turco e al centro dell’attenzione nelle ultime settimane per via di una situazione quasi impossibile da gestire. Si stima che i rifugiati mediorientali, africani e asiatici in Grecia in questo momento siano circa 50.000, ma che la gran parte di loro voglia lasciare il paese per raggiungere l’area Schengen e la libertà di muoversi liberamente tra i paesi europei. Questa decisione del governo di Skopje rende tutto ancora più difficile.
Tensione nei Balcani
I rapporti tra Macedonia e Grecia sono storicamente complicati, per via di dispute sul nome della piccola repubblica e anche a causa di alcune rivendicazioni di confine mai del tutto risolte, e la gestione dei migranti non contribuisce a un miglioramento delle relazioni. Secondo il ministero dell’Interno macedone, “non c’è stata collaborazione da parte della polizia greca”, un’accusa alla quale Atene ha deciso di non rispondere, concentrata forse sul cambiamento politico in corso nel paese.
“Non possiamo chiudere ermeticamente i confini – ha dichiarato all’agenzia stampa Reuters il portavoce del ministero dell’Interno macedone, Ivo Kotevski – ma cercheremo di ridurre al minimo il transito illegale attraverso i nostri confini”. L’uso del plurale da parte di Kotevski non è casuale, perché anche la frontiera a nord, quella con la Serbia, è stata temporaneamente chiusa, forse per evitare un’ondata di ritorno dei migranti che tra pochi giorni si troveranno di fronte al nuovo muro, questa volta fisico e permanente, che divide la frontiera con l’Ungheria del conservatore ed euroscettico Viktor Orbán.
Nella terra di nessuno
La decisione di decretare lo stato d’emergenza sembrerebbe essere stata presa anche come risposta all’indifferenza dei paesi vicini, ciechi e sordi rispetto a quella che il governo macedone ritiene una vera e propria emergenza. Skopje aveva chiesto mercoledì che i paesi vicini prestassero alla Macedonia treni e vagoni ferroviari per gestire lo straordinario afflusso di persone, senza ricevere però alcuna risposta. “È la nostra unica possibilità, anche economica, di sostenere questa crisi”, ha concluso Kotevski, forse consapevole del rischio di creare un’area segregata in grado di bloccare decine di migliaia di persone in un limbo, in una “no man’s land”, come definita dal quotidiano greco Ekathimerini, nella quale soltanto 165 persone possono passare la notte nell’unica struttura che l’Unhcr ha potuto allestire, situata dentro la stazione di polizia locale.
Il ritorno dei trafficanti
Il rischio per la Macedonia è che in seguito a questa decisione la situazioni peggiori ancora, non soltanto perché il trasferimento dei rifugiati dalle isole del Dodecaneso alla Grecia continentale porterà a Gevgelija decine di migliaia di persone. Come racconta l’Osservatorio Balcani e Caucaso citando l’associazione macedone Legis, che fornisce ai migranti cibo, vestiario e assistenza medica, questa decisione del governo di Skopje “riporterà sulla scena contrabbandieri e trafficanti. I migranti saranno forzati verso vie alternative, controllate dalla mafia, lontani da polizia e volontari. La Macedonia non ci guadagnerà nulla, perché sino ad ora nessun migrante era rimasto nel paese più delle cinque ore necessarie ad attraversarlo”.
L’estate che volge al termine porta con sé il freddo e il rumore dei tuoni, ma sono forse il pessimo clima continentale e il silenzio delle istituzioni europee a preoccupare di più. Niente più Macedonia, certo, ma anche sempre meno Europa nei Balcani. (da riforma.it)
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