Pochi giorni fa un giudice federale di Los Angeles ha chiesto al colosso di comunicazione Apple di fornire assistenza tecnica per decrittare i dati contenuti nel telefono di uno dei due killer che a inizio dicembre uccisero 14 persone in un assalto a San Bernardino. La richiesta è stata giudicata “un eccesso” del governo che minaccia la sicurezza degli utenti dell’azienda. In generale, gli inquirenti sostengono che l’evoluzione della crittografia sia una reale minaccia alla sicurezza nazionale e alle indagini penali. «L’esigenza di sicurezza e la tutela della privacy hanno un equilibrio fragile – dice Marco Bassini, avvocato esperto di Diritto e policy dei nuovi media, tra i fondatori del portale MediaLaws – nel quale ci si espone alle costanti fluttuazioni che derivano dai fatti della realtà. È molto difficile trovare un punto di bilanciamento costante».
Quali sono gli elementi importanti di questa notizia?
«Sicuramente è un caso che ci dà l’occasione di riflettere su come al giorno d’oggi la tutela della privacy e dei dati personali si ritrovi affidata e nelle mani dei giganti del web e delle telecomunicazioni: troviamo lo spostamento di funzioni tipicamente pubbliche in capo a soggetti privati, un dato con cui dobbiamo fare i conti nell’impostare ogni ragionamento che si leghi a quest’ambito. Sul caso specifico, da un lato l’approccio di Apple può essere considerato coraggioso: sicuramente vuole garantire l’immagine di un’azienda che ha a cuore la tutela dei dati personali e la privacy degli utenti. Ma certamente dall’altro lato c’è un altro messaggio che traspare, molto forte nei confronti degli Stati; non potremmo definirla una vera e propria mancanza di collaborazione, ma certamente l’idea di rifiutare di dar corso all’ordine di un giudice con il quale si chiede l’accesso al telefono di un terrorista, è un atto che non può lasciare indifferenti. Siamo a uno scontro tra tutela della privacy e sicurezza: gli Usa sembravano tendenzialmente più sensibili alla sicurezza dopo i fatti dell’11 settembre 2001: l’ordinamento giuridico si è rivelato sbilanciato. Sembra però che negli ultimi anni sia stato fatto qualche passo in avanti dopo lo scandalo Nsa, dopo l’emergere delle notizie legate ai fatti di sorveglianza globale condotte da agenzie governative e soprattutto negli ultimi mesi, con l’abbandono di una norma del Patriot Act che attribuiva a queste agenzie dei poteri particolarmente invasivi senza un controllo di un giudice. Di fronte a questi passi di maggior tutela della privacy probabilmente gli operatori, che sono il fulcro di questo processo, non hanno ritenuto di essere di fronte a garanzie sufficienti anche di fronte ad un esigenza così forte, e hanno rifiutato in nome della tutela della privacy: c’è da chiedersi se siamo di fronte ad un nuovo equilibrio di distribuzione dei poteri».
Le aziende possono essere tentate dal collaborare con le forze di sicurezza?
«Qui ci troviamo di fronte a una strategia che dal punto di vista comunicativo non è nuova. Negli ultimi anni è emersa una possibile collaborazione da parte di soggetti privati rispetto alla raccolta massiva di dati effettuata dalle agenzie governative: molte aziende, Apple in primis, hanno da sempre cercato di enfatizzare che si sarebbero rifiutate di lasciare delle via di uscita, i cosiddetti backdoors, ovvero strumenti che consentissero di decriptare il contenuto delle comunicazioni contenute sui dispositivi. Ricordo Tim Cook alla Bocconi, lo scorso novembre, che ebbe modo di enfatizzare in modo particolarmente forte questa frase: “i dati contenuti sui dispositivi sono vostri e di nessun altro”. Queste parole erano profetiche rispetto ai fatti di questi giorni, evidentemente».
Ma allora che nuovo valore assume la privacy? Fino a che punto è tutelabile?
«Ci troviamo di fronte a due punti fondamentali: in primis il messaggio che riceviamo dall’azienda è soprattutto di tipo politico, qualora un giudice dovesse ritenere che l’ordine è legittimo dovremmo valutare successivamente la condotta di Apple. Non possiamo pretendere che questi soggetti si sottraggano definitivamente alla volontà degli organi giurisdizionali. Il secondo punto riguarda il bilanciamento tra i diritti diversi: pensiamo alla Francia, che ha sospeso la propria adesione alla Convenzione europea per i diritti dell’uomo, che tutela molti diritti fondamentali tra cui il diritto alla privacy e alla tutela dei dati personali. Questo episodio racconta che l’esigenza di sicurezza e la tutela della riservatezza hanno un equilibrio fragile, nel quale ci si espone alle costanti fluttuazioni che derivano dai fatti della realtà. Un punto definitivo di bilanciamento tra questi valori è difficile da trovare, credo però che dobbiamo tenere in considerazione sempre più spesso che la tutela della privacy colpisce soprattutto gli operatori privati. Nel caso specifico il messaggio veicolato dal comportamento dell’azienda andrà rivisto alla luce delle evoluzioni che i fatti potrebbero avere».
Questi dati sono affidati a giganti della comunicazione privati. Che ruolo dovremmo avere noi in questo rapporto?
«Anzitutto dovremmo essere noi stessi come cittadini a tutelare i nostri dati. L’avvento del web e delle nuove tecnologie non sempre ha visto accompagnare un atteggiamento di maggiore responsabilità nella fruizione di internet e delle tecnologie. Se ci fosse una sensibilità maggiore da parte degli utenti, forse buona parte delle criticità di cui oggi parliamo sarebbe ridotta. Il secondo punto è più importante: gli operatori hanno i dati personali tra le mani e di fronte ai quali si ha un opinione critica nel momento in cui i poteri pubblici pretendono di accedere a quei dati. Ma chi ha il compito di fare una mediazione tra gli interessi in gioco è l’autorità giudiziaria: se compie una valutazione di interessi necessaria, e bilancia l’interesse in gioco ritenendo che debba prevalere la sicurezza nazionale e la repressione dei reati, probabilmente è il caso di affidarsi a questo bilanciamento. È il giudice che deve ritenere se prevalga o meno la privacy, e a questo punto la condotta degli operatori diventa decisiva. Sono curioso di capire le conseguenze giuridiche del rifiuto di Apple. Ne parleremo ancora a lungo».
Guarda il documentario del Guardian sugli stessi temi
Foto By Kindly granted by Valery Marchive (LeMagIT) – Flickr, CC BY-SA 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=16228490
Matteo De Fazio | Lanuovabq.it
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