UK. Negli ultimi 5 anni almeno 39mila donne curate per complicanze legate all’aborto

Negli ultimi cinque anni in Inghilterra e Galles, almeno 39.000 donne sono state curate negli ospedali del servizio sanitario nazionale per complicazioni derivanti da aborti medici fai da te falliti o incompleti fatti a casa. Complicanze che, in passato, invece, venivano tratte presso le strutture sanitarie abortiste.

Fino a cinque anni fa, infatti, l’aborto veniva praticato solo in strutture abortive approvate dal SSN. Le cose sono cambiate il 27 dicembre 2018, quando il Segretario di Stato per la sanità e l’assistenza sociale ha consentito alle donne di autosomministrarsi la seconda parte di un aborto medico, ovvero il farmaco del misoprostolo, a casa. Alla fine di marzo 2020, poi, a causa del lockdown per il Covid-19, sempre il Segretario di Stato ha ampliato questo permesso per consentire alle donne di autogestire entrambe le parti di un aborto medico, mifepristone e misoprostolo, a casa.

Ora sono arrivati i dati più recenti da parte dell’Office for Health Improvement & Disparities (OHID), parte del Dipartimento di sanità e assistenza sociale (DHSC), che si riferiscono ai primi sei mesi del 2022. Queste statistiche mostrano che nella prima metà del 2022, l’88% di tutti gli aborti sono stati eseguiti a un’età gestazionale inferiore a 10 settimane. Nel 2018, ciascuno di questi aborti fu completato in una struttura abortiva, mentre nella prima metà del 2022 – dopo le liberalizzazioni – l’85% fu autogestito dalle donne nelle proprie case.

In tutto ciò bisogna segnalare un dato apparentemente piccolo ma in realtà estremamente importante ed eloquente. Il Royal College of Obstetricians and Gynecologists (RCOG), infatti, ha evidenziato che oltre l’1% di tutti i casi di aborto medico falliscono, il che significa che quelle donne sono ancora incinte dopo aver assunto sia il mifepristone che il misoprostolo. Il RCOG ha inoltre affermato che l’aborto farmacologico può essere incompleto fino al 6% dei casi, lasciando parti della placenta e/o dell’embrione nell’utero, una complicanza denominata “prodotti del concepimento trattenuti”, che richiede alla donna di cercare ulteriori informazioni e soprattutto cure mediche. Il tasso di complicazioni dichiarato del 6%, 1 su 17 delle donne che utilizzano l’aborto farmacologico, è coerente con i dati pubblicati dai produttori di mifepristone, come dettagliato qui .

I fornitori di aborti e il Dipartimento di sanità e assistenza sociale hanno però sottostimato queste complicazioni: all’inizio di quest’anno, Stewart Jackson, membro della Camera dei Lord, ha presentato diverse domande scritte al Dipartimento al riguardo. In risposta , Nick Markham, sottosegretario parlamentare del Dipartimento per la sanità e l’assistenza sociale, ha riconosciuto le lacune nella segnalazione da parte dei fornitori nell’ambito del sistema di notifica dell’aborto e ha osservato che le complicazioni vengono registrate in un sistema diverso, l’Hospital Episode Statistics, quando una donna si presenta per il trattamento di RPOC (ovvero quando si presentano “prodotti del concepimento trattenuti”) presso un ospedale del servizio sanitario nazionale. Markham ha però continuato a difendersi affermando che «per migliorare la qualità dei dati disponibili sulle complicazioni dell’aborto, il Dipartimento sta portando avanti un progetto per migliorare la nostra comprensione dei dati».

Un progetto culminato in un rapporto pubblicato dall’OHID il 23 novembre 2023, che ha fornito statistiche sul numero di donne ricoverate per cure ospedaliere per complicanze dell’aborto. Quando una donna si presenta al pronto soccorso con “prodotti del concepimento trattenuti” a seguito di un aborto incompleto, viene fornito uno dei tre diversi trattamenti. I primi due di questi sono trattamenti ambulatoriali, uno in cui viene somministrato più misoprostolo e l’altro che adotta un approccio di attesa, denominato gestione dell’attesa. Il trattamento ospedaliero, che consiste in un’evacuazione chirurgica dei “prodotti del concepimento trattenuti” (ERPC), è quello riportato dall’OHID. La nostra analisi (di Christian Concern ndr) di questo rapporto e dei suoi dati ha mostrato che il 2,8% delle donne che autogestiscono i propri aborti medici a casa sono state successivamente ammesse come pazienti ospedaliere per ERPC, il che significa che il 3,2% (per un totale del 6%) sarebbe stato trattato come pazienti ambulatoriali.

Tornando sempre alle statistiche ufficiali sull’aborto, quelli inerenti la prima metà del 2022 mostrano un aumento del 17% del numero totale di aborti rispetto allo stesso periodo del 2021. Sia BPAS che MSI Reproductive Choices hanno indicato che questo forte aumento è proseguito per tutta la seconda metà del 2022 e nel 2023. MSI-RC ha recentemente presentato prove scritte al Parlamento in cui ha segnalato un aumento del 32% nel primo periodo del 2023 rispetto allo stesso periodo del 2022. Si tratta di aumenti senza precedenti ma non ancora riportati nei dati ufficiali.

Utilizzando queste proiezioni prudenti e i tassi di complicazioni pubblicati da RCOG e OHID, troviamo i seguenti dati nei cinque anni da gennaio 2019 a dicembre 2023:

  • Un totale di 1.092.000 aborti in Inghilterra e Galles
  • 654.000 autogestiti da donne a domicilio (sia con mifepristone che misoprostolo o solo misoprostolo)
  • 39.000 donne hanno avuto bisogno di cure mediche per complicanze (6%)
  • 18.000 ricoveri in un ospedale del Servizio Sanitario Nazionale (2,8%).

Nella prima metà del 2022:

  • Ogni giorno (in media), 505 donne hanno autogestito il proprio aborto a casa
  • Ogni giorno, 30 donne hanno sofferto di complicazioni derivanti dal fallimento di un aborto medico o da un aborto incompleto
  • Ogni giorno, 14 donne sono state ricoverate in un ospedale del servizio sanitario nazionale per il trattamento di queste complicazioni.

Queste proiezioni sono scioccanti e sono solo proiezioni. Quanto ancora di più lo saranno i numeri effettivi? Il sistema sanitario, dunque, non riesce a sostenere e a prendersi cura adeguatamente delle donne che lottano con una gravidanza critica; più di un quarto di tutte le gravidanze oggi terminano con un aborto perché le donne sono preoccupate per difficoltà finanziarie o problemi relazionali o sono sopraffatte da sentimenti di insicurezza riguardo al loro benessere futuro. L’aborto (come afferma correttamente il Christian Concern ndr) non è mai la risposta giusta, ma purtroppo è molto spesso l’unica “risposta” presentata a queste donne. La nostra società deve fare meglio di così; dobbiamo fare meglio.

Per alcune donne il rimpianto dell’aborto è reale; hanno raccontato di come lottano per venire a patti con la decisione che hanno preso, di come a volte sono sopraffatte da ricordi tristi e sentimenti di colpa e dolore. Molte di queste donne raccontano inoltre di come si sentono “incitate” a ricorrere all’aborto. In passato, avrebbero potuto evitare di passare davanti alla struttura per l’aborto, evitando quella strada o quella parte della città, ma non ora, non quando la “struttura” per l’aborto è casa loro, praticamente nel loro bagno.

I fornitori indipendenti di aborti, BPAS, MSI-RC e altri, celebrano questo nuovo modo di fare l’aborto (telemedicina e pillola per posta) come un passo avanti nell’assistenza sanitaria alle donne, ma in pratica stanno abbandonando le donne. Sono complici della bancarotta morale di un passaggio strategico, deliberato, dall’aborto di persona, in strutture, fornito fino alla fine del 2018, di per sé una risposta moralmente imperfetta, all’attuale default dell’aborto medico fai-da-te; le donne lasciate a gestire l’aborto da sole a casa e quando va male, come accade per 1 su 17, lasciate sole e poi costrette a chiedere assistenza e il ricovero per danni e traumi. Questa non è assistenza sanitaria.

https://www.provitaefamiglia.it/blog/uk-negli-ultimi-5-anni-almeno-39mila-donne-curate-per-complicanze-legate-allaborto


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