Matteo Renzi non può limitarsi a lanciare appelli. Il dire senza fare costituisce zavorra e provoca morte.Le parole sono zavorra e portano in fondo al mare, se non sono seguite dai fatti. Da almeno 3-4 anni la natura dei flussi migratori nel Mediterraneo è mutata. Si è ridotta sensibilmente la percentuale di migranti per ragioni economiche; è enormemente cresciuta la quantità di persone in fuga da persecuzioni dirette o da guerre. Quando si menziona il Mediterraneo non si fa riferimento soltanto al mare, ma pure alle zone dell’entroterra; chi immagina che la tragedia dei profughi interessi solo l’Italia e l’Europa faccia un tour in Giordana – un terzo della nostra superficie e un decimo della nostra popolazione –: oggi ospita un milione e mezzo di profughi (in proporzione, è come se da noi ce ne fossero 15 milioni). O in Libano. O in Turchia.
Da un tempo più recente fra le organizzazioni criminali che gestiscono i traffici dei migranti sono comparsi gruppi che si richiamano esplicitamente allo Stato islamico; costoro operano una selezione del massacro: i cristiani individuati come tali – si pensi ai 28 etiopi di qualche giorno fa – vengono trucidati sotto le telecamere per incrementare la propaganda del terrore, gli altri sono ammassati sui barconi per incrementare le difficoltà dell’Italia e dell’Europa.
Di fronte a questo l’Europa mostra unità solo in una cosa: nell’essere indifferente. Di fronte a questo le parole pronunciate dopo che mille persone a 60 miglia dalla Libia muoiono in mare – neanche le ultime in ordine di tempo: poche ore e altre 200 annegano nelle vicinanze di Rodi – hanno il suono della beffa: «Facciamo appello all’Europa e alla Comunità internazionale…». Ma l’Europa e la Comunità internazionale sono qualcosa di estraneo a noi, o ne siamo parte a pieno titolo?
Dell’Europa l’Italia è stata presidente di turno nel trascorso semestre: non risulta che abbia posto la questione delle migrazioni come priorità ineludibile. E se dall’Europa continuano ad arrivare segnali di disinteresse, ciò non vieta all’Italia di assumere iniziative in proprio: quando, meno di quindici anni fa – in altro contesto e con altri numeri, ma comunque in un quadro drammatico – il flusso di migranti riguardava il Canale d’Otranto, il contributo dell’Unione Europea era come oggi pari a zero, ma l’Italia non si limitò a lanciare appelli. Strinse accordi con l’Albania, in più di una notte accadde che non pochi gommoni fossero distrutti a terra, catturò un buon numero di scafisti e li tenne in carcere. Che cosa impedisce oggi all’Italia non un intervento di terra in proprio in Libia, che richiede risorse di cui non disponiamo, ma rapide incursioni protette, che distruggano le imbarcazioni di fortuna adoperate per lanciare in mare migliaia di persone? Che cosa le preclude di punire gli scafisti con pene nuovamente elevate? Il premier Renzi ha parlato di oltre 900 arresti: quanti di costoro sono stati condannati e si trovano ancora nelle carceri italiane? E – passaggio ulteriore – che cosa le impedisce di abbandonare i tavoli Ue più significativi, assicurando che non vi tornerà fino a quando l’Unione non si impegnerà realmente su questo fronte con tutti e 28 i propri Stati membri?
Impegnarsi realmente vuol dire realizzare sul suolo libico – garantendone la sicurezza – centri di raccolta di profughi muniti di standard europei, vagliare lì le domande di asilo e permettere il trasferimento in Europa solo a coloro cui la protezione viene riconosciuta, eliminando i viaggi della morte. Vuol dire investire denaro, mezzi e uomini (qualche decina di migliaia). Tutti dicono che è questa la via obbligata. Appunto, “dicono”. È quel dire senza fare che costituisce zavorra e provoca morte. Alfredo Mantovano (Tempi.it)
Foto Ansa/Ap
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