Volevano fargliela togliere e invece ora dilagano. O almeno è ciò che si propone la campagna di solidarietà che in invita i cittadini ad indossare la kippah in solidarietà con gli ebrei francesi, dopo l’attacco subito da un insegnante di Marsiglia, aggredito lunedì scorso da un ragazzo armato di machete. L’hashtag#TousAvecUneKippa, che ha inondato Twitter è stato riproposto anche in Italia e Il Foglio ha proposto di indossare il copricapo ebraico in occasione del giorno della Memoria, il prossimo 27 gennaio.
Un rapido sguardo in Europa fa riemergere la realtà di Malmö, in Svezia, città a governo socialdemocratico e una delle prime a convertirsi al luteranesimo nel 1527, ed eppure bersaglio di continui attacchi antisemiti, tanto che la comunità ebraica negli anni è passata dai duemila membri degli anni ’70 ai cinquecento attuali. Dal 2010 la sinagoga ha perso un terzo dei suoi fedeli e le scuole ebraiche contano sempre meno iscritti.
Altro che girare per le strade con la kippah: qui il rabbino Shneur Kesselman è costantemente oggetto di attacchi: quasi duecento gli episodi di antisemitismo che ha subito in dieci anni. Il suo tradizionale abbigliamento chassidico – vestiti neri, cappello e barba lunga – lo rende un facile bersaglio per gli intolleranti. La situazione pare così grave che il Centro Simon Wiesenthal si è sentito in dovere di avvertire tutti gli ebrei che si recano in visita a Malmö di togliere i segni religiosi in pubblico e non parlare ebraico. Non è un caso, allora, che fra gli ebrei americani e in Israele il nome di Malmö sia associato alla città al mondo più pericolosa per gli ebrei dopo le capitali del mondo arabo-islamico.
Per gli ebrei tira una brutta aria anche in Italia: a Venezia, per esempio, un ebreo è stato insultato proprio a causa della kippah che indossava. Il clima sta cambiando, commentano nella comunità ebraica, dove c’è chi comincia a temere per la propria incolumità e a ritenere più prudente togliere la kippah in strada. Il rabbino capo Scialom Bahbout, invece, non ha dubbi: «Non solo gli ebrei devono andare con la kippah, ma tutti dovebbero indossarla seguendo anche l’esempio di papa Francesco». Bahbout ricorda la figura del re di Danimarca, che al tempo delle leggi razziali insieme a tutto il suo popolo ebbe il coraggio di mettere una stella gialla sul cappotto, come gesto di rifiuto di ogni discriminazione. «So che è una provocazione – ha detto il rabbino – ma alle provocazioni si risponde con un tono altrettanto provocatorio. Togliere la kippah sarebbe un segno di resa».
Tutti con la kippah, dunque, purché non diventi un altro strumento di manipolazione politica: perché se è vero che ognuno deve poter manifestare la propria fede anche con segni esteriori, solidarizzare con questo diritto non deve diventare occasione per opprimere altri. Detto altrimenti: sì alla kippah, ma non in funzione antislamica.
Foto “Megan Bat Mitzvah” by Tausha Barbery – Personal files. Licensed under Public Domain via Wikimedia Commons.
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