Sono circa una trentina le associazioni tunisine che hanno sottoscritto una severa condanna per il comportamento della polizia sull’isola di Jerba (Gerba, Djerba…) il 18 novembre.
Centinaia di abitanti della città di Zarzis si erano avviati in corteo per chiedere informazioni veritiere sulla tragedia che aveva colpito i loro familiari mentre cercavano di raggiungere le coste italiche attraversando il Mediterraneo.
Nel naufragio dell’imbarcazione erano morte una ventina di persone (18 le vittime accertate).
La folla, tra cui numerose madri dei giovani scomparsi in mare, era stata fermata dalle barriere erette dalle forze dell’ordine ai bordi della zona turistica.
Veniva quindi dispersa con un fitto lancio di lacrimogeni (a cui alcuni manifestanti avevano risposto lanciando pietre ed erigendo qualche barricata simbolica) e diverse persone erano state arrestate. Gli scontri si sono poi estesi lungo tutta la strada, l’unica, che porta a Gerba mentre, a causa dei gas lacrimogeni, molte abitazioni e alcune scuole sono state evacuate.
La protesta nasceva dallo scarso interesse mostrato dalle istituzioni nell’indagare su quanto fosse accaduto al momento del naufragio nella notte tra il 20 e il 21 settembre.
Gerba era stata scelta perché nei due giorni successivi (il 19 e il 20 novembre) l’isola si sarebbe trovata sotto i riflettori dei media.
Qui infatti si svolgeva il diciottesimo summit della Francofonia con la partecipazione di una novantina di delegazioni degli Stati membri dell’OIF (Organisation internationale de la Francophonie), oltre a un gran numero di altre organizzazioni internazionali.
E’ da quando – il 21 settembre – l’imbarcazione non aveva più dato segni fai vita che i familiari dei migranti scomparsi attendono di conoscere la verità sulle cause e su come si siano svolti i fatti. Finora invano.
Gianni Sartori
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