L’Alta corte dell’Andhra Pradesh stabilisce un risarcimento di oltre 25mila euro. I due uomini migravano dall’Orissa in cerca di un futuro migliore. La natura “informale” del lavoro migrante aumenta le forme di sfruttamento e diminuisce la possibilità di punire i colpevoli.
New Delhi (AsiaNews) – Quasi 178 euro: tanto valeva la mano destra di due lavoratori indiani, pagati in anticipo per tutta la stagione dal loro reclutatore. Una volta scoperto che erano stati ingannati e che il datore di lavoro voleva sfruttarli in una fabbrica di mattoni diversa da quella concordata, si sono rifiutati. Innervosito per il loro affronto, l’intermediario ha amputato l’arto. È la storia di Nilambara Dhangda Majhi e Pialu Dhangada Majhi. La racconta ad AsiaNews Lenin Raghuvanshi, attivista per il dalit e direttore esecutivo del Peoples’ Vigilance Committee on Human Rights (Pvchr) di Varanasi. Il caso dei due uomini risale al dicembre 2013. Ieri, riporta l’attivista con soddisfazione, “l’Alta corte dell’Andhra Pradesh ha stabilito che essi hanno diritto a un risarcimento. Verranno ricompensati con due milioni di rupie (25.300 euro), una somma enorme per due poveri lavoratori”.
Secondo l’attivista, la vicenda dei due lavoratori “è una grave e atroce violazione dei diritti umani delle persone più emarginate e dei lavoratori migranti”. All’epoca della violenza, Nilambara e Pialu avevano 35 e 30 anni. Entrambi originari del distretto di Kalahandi in Orissa, avevano accettato un lavoro in una fabbrica di mattoni in Andhra Pradesh per migliorare le proprie condizioni di vita. Parbesh Parmedundi, il reclutatore, invece di condurli a Hyderabad, come promesso, li voleva portare a Raipur, in Chhattisgarh. Saputo del cambio di rotta, altri 10 compagni di viaggio sono fuggiti. I due uomini invece sono rimasti. Nel viaggio di ritorno a casa per farsi restituire la paga versata in anticipo per tutta la stagione, Parbesh e i suoi complici si sono ubriacati, hanno perso il controllo, e hanno tagliato la mano destra ai migranti per punirli.
Subito dopo la violenza, il dott. Raghuvanshi ha sporto denuncia alla Commissione nazionale per i diritti umani. Questa ha chiuso il caso nel 2016 e ordinato la prosecuzione delle indagini all’Alta corte dell’Andhra Pradesh. Nel frattempo i giudici di quest’ultimo tribunale avevano arrestato l’intermediario e i complici, rilasciandoli poi su cauzione. Il processo è ancora in corso. “Ora chiediamo – afferma l’attivista – che vengano applicate la legge contro il lavoro forzato e la norma inter-statale sui migranti. Vogliamo un’indagine veloce e che il governo si costituisca come parte lesa davanti al tribunale a nome delle vittime”.
Il medico indiano spiega che in India “la schiavitù esiste fin dall’antichità. È stata abolita dalla Compagnia delle Indie orientali nel 1843, con l’Indian Slavery Act”. Al momento però “esistono forme moderne di schiavitù che prendono diversi nomi e non sono definite per legge. Si tratta di forme di sfruttamento che una persona non può rifiutare o non riesce ad abbandonare a causa di minaccia, violenza, coercizione, inganno o abuso di potere. Queste forme includono il risanamento di un debito, per il quale la persona è costretta a lavorare in maniera gratuita, il lavoro minorile, il matrimonio forzato, la servitù domestica e il lavoro schiavo, nel quale le vittime sono impiegate con la violenza e l’intimidazione”.
Nel Paese, l’agricoltura impiega il 62,7% della popolazione rurale. Tuttavia, prosegue, “in Orissa il cambiamento climatico ha provocato piogge irregolari, frequenti siccità e deforestazione, che hanno distrutto i mezzi di sopravvivenza tradizionali. La mancanza di opportunità lavorative e il bisogno di trovare fonti di guadagno alternative, hanno costretto le persone a migrare in altri Stati dell’India. La ricerca di lavoro nelle fabbriche di mattoni è diventato un fenomeno comune. Alcune fabbriche accettano il pagamento anticipato, che viene pagato dal procacciatore al manovale, in una sorta di passo necessario per l’accettazione del lavoro. A quel punto il lavoratore è obbligato a rimanere per tutta la durata”.
La natura “informale” di questo tipo di lavoro, conclude Raghuvanshi, “basato su debiti, abusi fisici e psichici, aumenta la vulnerabilità dei dipendenti. Senza nessun tipo di contratto o registro, è impossibile accusare i datori di lavoro di sfruttamento. Questo rende i lavoratori stagionali che cambiano spesso regione e Stato, ancora meno in grado di ottenere risarcimenti”. (A.C.F.)
(AsiaNews)
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