Una coppia di lesbiche unite civilmente si reca in Danimarca e lì una di esse si sottopone a fecondazione eterologa. Rimane incinta e partorisce a Mestre un bambino il quale viene registrato all’anagrafe come figlio solo della madre biologica e non della compagna. Segue come al solito una vertenza giudiziaria perché anche quest’ultima venga registrata come seconda madre. Il Tribunale di Venezia sospende il procedimento e fa ricorso alla Corte costituzionale perché ritiene che la legge Cirinnà discrimini le coppie omosessuali rispetto a quelle eterosessuali.
Il Tribunale afferma che la legge sulle unioni civili “non realizza il diritto fondamentale di genitorialità dell’individuo” tutelato dall’articolo 2 della Costituzione, “inteso come aspirazione giuridicamente qualificata a mettere al mondo e crescere dei figli, avendo costituito un legame di coppia formalizzato. Il matrimonio non costituisce più il discrimine nei rapporti tra genitori e figli i quali devono godere della medesima tutela indipendentemente dalla forma del legame tra coloro che ne assumono la genitorialità.”. In breve: perché le persone sposate possono essere considerate entrambe genitori dei loro figli e chi si è unito civilmente no?
Inoltre il Tribunale aggiunge che “l‘acquisto dello status di figlio di entrambe le parti dell’unione civile, va dunque riguardato come ineludibile presupposto per l’ accesso del minore alla massima tutela che gli spetta”. In altre parole è nel miglior interesse del bambino avere due genitori, poco importa il loro orienta
Infine la legge Cirinnà precludendo ad un membro della coppia gay di essere riconosciuto genitore “pregiudica i diritti inviolabili della persona, quali quello alla genitorialità e alla procreazione, discrimina i cittadini per il loro orientamento sessuale e in considerazione delle condizioni patrimoniali della coppia”.
E’ la prima volta che la legge Cirinnà viene investita da un sospetto di incostituzionalità. Ma prima o poi doveva accadere. Infatti questa norma equipara in tutto le unioni civili al matrimonio, fuorché nel dovere di fedeltà e nel rapporto di filiazione che viene lasciato all’arbitrio dei giudici. E proprio questi hanno messo in evidenza l’incongruenza di questa parificazione non perfetta.
Un’altra prova che di fronte a leggi ingiuste che devono essere approvate non si può scendere a compromessi, ma occorre contrastarle in radice, perché accettate le premesse le conclusioni arrivano prima o poi da sole.
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