Dalla Francia, all’Austria, all’Afghanistan in pochi giorni attentatori che si ispirano all’ISIS sono tornati a colpire
(Gaëlle Courtens) Lo spettro del terrorismo di matrice islamica è riapparso. Nel mirino la libertà di espressione, la libertà religiosa, lo spirito critico e lo stile di vita delle democrazie occidentali. Dura la condanna degli esponenti di numerose comunità di fede, compresa quella musulmana.
Oltre le vignette
Lo scorso 16 ottobre, vicino Parigi, il professore liceale Samuel Paty è stato sgozzato da un giovane ceceno, dopo aver mostrato in classe le vignette del giornale satirico Charlie Hebdo. Pochi giorni dopo, l’attacco di un giovane tunisino nella cattedrale di Nizza ha fatto tre vittime. La notte del 2 novembre, il centro storico di Vienna è stato preso d’assalto: cinque vittime, e molti feriti. E solo poche ore prima, a migliaia di chilometri da lì, un attacco rivendicato dallo Stato islamico ha fatto oltre venti morti nell’università di Kabul, in Afghanistan.
Questi attacchi possono essere ricondotti esclusivamente alle vignette – senza dubbio offensive per i musulmani – di Charlie Hebdo? O c’è dell’altro? Ne abbiamo parlato con Valentine Zuber, docente presso l’École Pratique des Hautes Études di Parigi, titolare della cattedra per “Religioni e relazioni internazionali”, nonché membro del Consiglio di amministrazione del settimanale Réforme.
Valentine Zuber, c’è un filo rosso che lega Kabul a Vienna, passando per Nizza per giungere fino a Parigi, al liceo di Samuel Paty?
Sì, il filo rosso senza dubbio c’è, e non da oggi, anzi, già da diversi anni, e attraversa tutta l’Europa, il Vicino e il Medio Oriente.
Ma può il movente di questi attacchi terroristici essere ricondotto esclusivamente alle vignette, senza dubbio offensive per i musulmani, del settimanale satirico Charlie Hebdo?
Bisogna fare una distinzione tra le cause più immediate, come per esempio la ripubblicazione delle vignette di Charlie Hebdo in concomitanza con il processo per l’uccisione dei membri della redazione, e le cause invece più profonde che sono da ricercare nel contrasto alle libertà individuali e di espressione caratteristiche della cultura occidentale. Certamente ci sono degli elementi che scatenano la furia terroristica, e la ripubblicazione delle caricature del profeta può essere una di queste, ma alla base c’è una retorica antioccidentale di cui i terroristi si servono in chiave politica per mezzo di questi attentati.
Ogni volta che si ripresentano atti terroristici di matrice islamista si sente dire che i perpetratori non sono veri musulmani. Che l’islam è un’altra cosa. Secondo lei c’è un legame tra l’islam e l’islamismo?
Va detto che tutte le religioni hanno un versante più pacifico e riconciliante, e uno più violento, intollerante nei confronti di altre espressioni religiose. Non c’è solo l’islam che in sé ha questo paradosso. Tutte le religioni sono portatrici di diversi modi di intendere la propria fede, con i rispettivi pericoli. Per quanto riguarda invece il tema islam-islamismo, è vero che in alcuni casi ha assunto delle forme politiche particolarmente estreme, al punto da permettere l’uccisione di esseri umani sotto il pretesto che non la pensano come i loro carnefici.
L’islamismo è una malattia dell’islam, così come tutti i fondamentalismi sono delle malattie delle religioni. Quello che abbiamo potuto constatare, è che il discorso teologico avanzato dai terroristi non è completamente in opposizione a quello dell’islam tout-court, solo che invece di limitarsi a leggere alcuni passaggi dei testi sacri, la versione più radicale dell’islam li mette in pratica, passando all’azione. Le Scritture di tutte le religioni fanno appello alla violenza, e questo vale anche per la Bibbia e il Corano. I musulmani, quando leggono il Corano, devono fare la differenza tra messaggio universale, e appello all’intolleranza nei confronti di altre convinzioni religiose. Ciò detto, non dobbiamo cadere nella trappola interpretativa dello scontro di civiltà, che genera solo solchi all’interno dell’umanità e che non hanno ragione di esistere. Anzi, si tratta di una chiave di lettura che è estremamente nociva per la pace nel mondo.
C’è una retorica antioccidentale di cui i terroristi si servono in chiave politica per mezzo di questi attentati
Il presidente francese Emmanuel Macron, presentando ai primi di ottobre il disegno di legge per la lotta al separatismo islamico, ha parlato di crisi dell’islam. Lei come interpreta questa affermazione?
Quando il presidente parla di crisi dell’islam pensa a due fattispecie. La prima riguarda l’islam francese, che è molto diviso e che in alcuni casi fa fatica ad istituzionalizzarsi e a vivere le proprie pratiche religiose in un quadro di pluralismo religioso. Ci vuole un atto di volontà sia da parte delle istituzioni, sia da parte delle comunità islamiche, per giungere ad una maggiore integrazione dell’islam nella società. Si tratta di un traguardo raggiungibile, tant’è che già esistono numerose esperienze positive, di cui si parla troppo poco.
La seconda riguarda la crisi dei paesi a maggioranza musulmana, che ormai da decenni sono invischiati in conflitti interni ed esterni. C’è un problema importante di integrazione di questi paesi in un sistema mondiale. Sono paesi che presentano difficoltà a livello di governance, anzi, spesso si tratta di governi autoritari, minati da conflitti tribali, che non hanno nulla di religioso; semmai, la dimensione religiosa non fa altro che peggiorare questi conflitti.
Lei è studiosa della laicità e della tolleranza religiosa attraverso i secoli. Se da una parte c’è una crisi dell’islam, possiamo anche parlare di una crisi della laicità alla francese? È un modello di società ancora valido?
Non credo che ci sia una crisi della laicità. E mi trovo in disaccordo con l’attuale dibattito che parla di una laicità in pericolo. La laicità è un quadro normativo all’interno del quale diverse comunità di fede possono opporsi pacificamente. Siamo in una società multiculturale e pluralista, ed è normale che diverse convinzioni si muovano all’interno dello stesso spazio pubblico.
Non è la laicità che è in crisi, ma la capacità di integrazione e la volontà di prendere sul serio queste diverse convinzioni. Sempre, naturalmente, che non vengano superati certi limiti, come l’incitamento alla violenza o l’uccisione. E aggiungo: è esattamente la coesistenza pacifica tra diverse religioni all’interno della stessa società che viene presa di mira dal terrorismo islamico.