Lo scorso novembre Marlise era crollata sul pavimento della cucina per un embolo ai polmoni. Madre, padre e marito erano pronti a dirle addio nell’unità di rianimazione del John Peter Hospital di Fort Worth, quando hanno appreso che l’ospedale non avrebbe permesso di staccare la spina. Marlise era incinta di 14 settimane e il Texas proibisce al personale sanitario di interrompere la vita di una donna in gravidanza. Da allora sono passati quasi due mesi e Marlise è rimasta attaccata alle macchine salva-vita, mentre i medici continuano a sorvegliare il battito cardiaco del feto giunto alla ventesima settimana. Per Lynne Machado, madre di Marlise, è in gioco “la volontà di nostra figlia che lo Stato del Texas non intende rispettare”. Negli Stati Uniti sono 31 gli Stati che limitano il potere di staccare la spina a donne incinte malate terminali.
La vicenda ricorda quella dell’italiana Carolina Sepe, che ha partorito dopo quattro mesi di coma vegetativo, dopo uno sparo alla testa, e che è morta il 4 gennaio all’ospedale Cardarelli di Napoli. E in America è di qualche giorno fa la polemica su Jahi McMath, la tredicenne dichiarata cerebralmente morta dopo un intervento alle tonsille: il suo cuore batte ancora e i genitori l’hanno fatta trasportare in una struttura dove possa continuare ad essere accudita.