I manifesti erano stati stampati per celebrare i 34 anni della crisi degli ostaggi all’ambasciata Usa. La municipalità di Teheran nega qualsiasi coinvolgimento: a staccare i poster sarebbero state le stesse agenzie di pubblicità. In Parlamento continua la battaglia fra Rouhani e i conservatori sulla nomina dei ministri. Bocciato Reza Salehi Amiri, protagonista delle manifestazioni dell’onda verde.Teheran – Dalle strade di Teheran scompaiono i poster anti-americani, per dimostrare all’occidente la volontà di collaborare dopo la distensione dei rapporti fra il presidente riformista Rouhani e il suo omologo statunitense Barack Obama. La mossa giunge a pochi giorni dal 34mo anniversario della crisi degli ostaggi americani a Teheran, avvenuta durante la rivoluzione di Khomeini. Tuttavia, le autorità locali prendono le distanze e respingono ogni responsabilità sulla vicenda.
Hadi Ayyazi, portavoce dell’amministrazione della capitale, sottolinea che “i poster erano stati affissi senza alcuna autorizzazione ufficiale”. A prendere l’iniziativa sono state le stesse agenzie pubblicitarie autrici dei manifesti. Tuttavia, non tutte le società impegnate nell’affissione di volantini e cartelloni pubblicitari hanno aderito all’indicazione. Alcuni poster restano ancora per le strade. Uno in particolare riporta la scritta “L’onestà americana” e ritrae negoziatori iraniani e statunitensi al tavolo delle trattative. I delegati Usa indossano giacca e cravatta, ma calzano stivali e pantaloni militari, Ehsan Mohammad – Hassani, responsabile della Oj, agenzia pubblicitaria produttrice del poster, si giustifica dicendo che “quella rappresentazione non è un’obiezione contro i negoziati fra Iran e Stati Uniti”. La parziale rimozione dei manifesti anti-Usa ha aperto anche un dibattito sugli slogan cantati durante le cerimonie ufficiali. A tutt’oggi il coro più gettonato è “Morte all’America”, ma molti iraniani stanno pensando di accantonarlo, per non inficiare la ripresa delle relazioni fra due Paesi.
A soli tre mesi dal suo insediamento come presidente, l’ayatollah Hassan Rouhani ha dato una svolta riformista alle relazioni fra l’Iran e i suoi detrattori, in particolare gli Stati Uniti. Dopo 34 anni di chiusura totale, lo scorso 27 settembre il capo di Stato iraniano e Barack Obama, presidente Usa, hanno parlato al telefono, rompendo un gelo che durava dal 1979. La chiamata diretta fra i due leader ha portato nuove speranze nel Paese e per una riduzione delle sanzioni economiche e per un cambiamento significativo nei negoziati sul nucleare. Rouhani e il suo entourage devono però fare i conti con una forte opposizione interna, che tenta in tutti i modi di ostacolare le sue aperture.
Lo scorso 15 agosto il Parlamento ha respinto la nomina di 3 (su 18) ministri, considerati troppo riformisti. Nelle scorse settimane, Rouhani ha presentato una nuova lista. Ieri il Parlamento iraniano, dominato dai conservatori, ha approvato due nuovi membri del governo moderato: Ali Asghar Fani, ministro dell’Istruzione e Reza Faraji Dana, al ministero della Ricerca. Tuttavia, la Camera ha respinto Reza Salehi Amiri, uno dei politici più vicini all’ala riformista che sarebbe dovuto diventare ministro dello Sport e dei giovani. A pesare sul curriculum di Amiri è il suo ruolo di primo piano nelle manifestazioni dell’onda verde avvenute nel 2009 dopo la rielezione di Mahmoud Ahmadinejad.
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