Sono terroristi, fanatici sanguinari e tagliagola. Ma quando si tratta del Califfo e dei suoi più fidati collaboratori, non badano a spese e non gli fanno mancar nulla. Del resto, pure Maometto promette ai martiri dell’islam un paradiso con 72 vergini, all inclusive di confort e prelibatezze, come Corano comanda. Con una grande cerimonia di inaugurazione, venerdì 1 maggio l’Isis ha riaperto il Nineveh Oberoi, il più elegante albergo di Mosul nonché di tutto l’Iraq. L’hotel era chiuso da più di dieci mesi, causa guerra, massacri e caccia ai cristiani che hanno tenuto impegnate le milizie del Califfo in questi mesi.
Riconquistata la città e sistemati i conti in sospeso con yazidi,nazareni e altre minoranze fastidiose, i jihadisti si sono dati all’edilizia di lusso, hanno ristrutturato l’hotel cambiando anche il nome in “Waritheen”, che in arabo significa “I successori” (del profeta Maometto, e di chi se no?). I lavori sono terminati in tempo per il 1 maggio: per festeggiare l’evento della riapertura ha invitato le famiglie di Mosul mostrando poi sui social network vicini all’organizzazione alcune fotografie di bambini che giocano attorno alle fontane e nei giardini. Pure i guerriglieri neri del Califfo hanno avuto il loro mini Expo da inaugurare, anche se non in mondovisione, ma con tutti i fiocchi e cotillons del caso.
La notizia, sfuggita alla grande stampa internazionale, è stata rilanciata dal quotidino londinese al-Quds al-Arabi. Oltre alle decine di abitanti di Mosul, alla cerimonia hanno partecipato soldati e leader dell’Isis: dopo le raffiche di mitra (sparate non a salve), un mega party a bordo piscina ha ufficialmente salutato l’apertura del grand hotel a cinque stelle. Qualcuno ha commentato (sottovoce) che forse non era stata una grande idea decapitare e fare a pezzi le antiche statue del museo di Ninive, che avrebbero potuto invece fare la loro bella figura nei giardini o adornare i floor dell’hotel, ma nessuno ha avuto il coraggio di andare a protestare con i maître e gli chef di sala.
Il Nineveh Oberoi fu costruito nel 1986 ed è un edificio di 11 piani. Nel 2003, durante la guerraamericana in Iraq, fu saccheggiato e danneggiato, poi le forze americane vi stabilirono la loro sede temporanea, prima di essere ripristinato al suo utilizzo originario. Dopo l’occupazione di Mosul da parte delle milizie di Abu Bakr al Baghdadi, il 10 giugno scorso, la struttura è stata chiusa fino alla nuova inaugurazione. Sui social network vicini all’organizzazione terroristica sono state diffuse diverse foto della serata in cui si potevano vedere i bambini che giocavano nell’ampio giardino che circonda la struttura. Difficile credere, comunque, che l’hotel a cinque stelle sia riservato a ricchi turisti americani o europei. Almeno per il momento, lo Stato islamico non pare intenzionato a incaricare qualche tour operator del Golfo di promuovere soggiorni nel Califfato. Ma ci stanno lavorando con i ragazzi convertiti venuti dall’estero: un pacchetto di 10 giorni a Mosul, con visita ai siti archeologici devastati e alle prime linee di guerra per una vacanza col brivido. Per il momento, il Waritheen Hotel è riservato al Califfo, alla sua corte e ai combattenti più valorosi. La suite più ambita, inutile dirlo, è la “al Bagdhadi”, riservata però esclusivamente ai dignitari di Stato; i combattenti in licenza premio, gli shaihd (aspiranti martiri e kamikaze) e i foreign fighters vanno matti per la stanza 56, dedicata a “Jihadi John”. Il numero non è casuale: è quello supercitato della Sura che promette le mitiche 72 fanciulle. Del resto, il Corano non vieta il lusso e gli jihadisti sono soliti concedersi qualche ora di relax nelle ville con piscina sequestrate ai ricconi siriani e agli iracheni. “Jihad, la bella vita”, è il titolo emblematico di una sorta di pubblicità turistica del Califfato apparsa su Twitter (nella foto sopra).
Pure le donne dell’Isis, come racconta il sito americano Daily Beast, amano la bella vita. Una vedovajihadista australiana, Zehra Duman, ha postato su Facebook una serie di foto per propagandare lo stile di vita a cinque stelle nel Califfato. Negli scatti, lei e altre donne appaiono coperte e armate da capo a piedi, sventolano la bandiera del Califfato e posano su di una Bmw M5 bianca. In un “tweet” la Duman scrive: «America e Australia, come vi sentite ora che cinque di noi, nate e cresciute nelle vostre terre, sono assetate del vostro sangue?». Sul suo account ci sono anche le foto del suo “bel marito” Mahmoud Abdullatif, soprannominato “il playboy jihadista”, morto da qualche tempo. Alla notizia del decesso la Duman si congratulò con il suo ”uccellino verde”, sinonimo di martire. La Duman ha lasciato l’Australia nel 2014, la sua famiglia dice che le è stato fatto il lavaggio del cervello. La dolce vita in terra: una sorta di risarcimento femminile per il fatto che alle soldatesse Maometto non garantisce proprio nulla. Il Corano non parla delle lady shaihd, eppure l’esercito del Califfo le arruola, le addestra e le manda a farsi esplodere. Il sacro testo dice solo che la donna avrà come ricompensa l’amore eterno del marito, e di uno solo, mica di 72. Forse, nel Waritheen Hotel pentastellato di Mosul le migliori camera con vista sono proprie riservate a queste coppie di ferro, come anticipo sull’aldilà. Forse (e che Allah ci perdoni).
di Luigi Santambrogio
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