«Le riviste scientifiche ospitano pluralità di opinioni?»: questo interrogativo inquieta da tempo gli studiosi e i ricercatori.
Da ultimo Michael Cook, su BioEdge, è stato colpito da una presa di posizione smaccatamente anti vita del famoso e prestigioso Jama, Journal of the American Medical Association, con la sua rete di riviste associate.
Un paio di anni fa, spiega Cook, era stato nominato un nuovo direttore, la dottoressa Kirsten Bibbins-Domingo che ha scritto un editoriale intitolato “L’urgenza di adesso e la responsabilità di fare di più”. «Ella aspirava a garantire che JAMA avesse “i più alti standard di integrità e qualità editoriale indipendentemente da eventuali interessi particolari”. Ha messo in guardia contro “l’insularità e il campanilismo”; ha affermato che “è fondamentale che le voci nella stanza in cui vengono prese le decisioni rappresentino la diversità di pensiero, competenza e background”».
Ma due articoli apparsi nel numero del 4 marzo scorso di JAMA Internal Medicine promuovono un approccio fazioso e ideologico in tema di inizio e fine vita.
Il primo contiene un attacco feroce alla sanità cattolica negli Stati Uniti da parte del redattore associato e del vicedirettore della rivista . Come “ndr”, inchioda la sua bandiera all’albero dei “diritti riproduttivi”. Scrive: «Gli ospedali cattolici sono un’importante fonte di assistenza sanitaria negli Stati Uniti per persone di tutte le confessioni. Le persone incinte [non “donne, si badi bene] potrebbero non avere sempre scelta su dove andare se necessitano di un trasporto di emergenza all’ospedale più vicino»: bisogna garantire loro le “cure” che desiderano, indipendentemente dall’ospedale in cui si recano. Ergo, gli ospedali cattolici dovrebbero essere costretti a fornire aborto, sterilizzazione e contraccezione, nonostante le loro obiezioni morali.
Il secondo è un appello ricco di pathos per estendere il suicidio assistito in tutti gli Stati Uniti. Gli autori sono entrambi medici: moglie e figlia di un illustre medico dello stato di Washington, J. Randall Curtis, morto di sclerosi laterale amiotrofica (SLA) l’anno scorso. Ma le loro argomentazioni a favore dell’estensione della legge di Washington che consente il suicidio assistito sono tendenziose. Sì, i medici dovrebbero essere compassionevoli. Sì, i pazienti dovrebbero avere autonomia. E gli autori affermano allegramente che la scienza compassionevole proteggerà il benessere sociale, anche se la cosa è del tutto dubbia: basta guardare dall’altra parte del confine, nella Columbia Britannica, dove le persone scelgono di morire perché non possono accedere alle cure palliative o ai servizi sociali di supporto.
Questi articoli, dunque, rappresentano “i più alti standard di integrità e qualità editoriale indipendenti da eventuali interessi particolari”. No, dice Cook. «Direi che rappresentano un interesse speciale: una campagna per negare la sacralità di tutta la vita umana dal concepimento alla morte naturale».
Quando i lettori di JAMA Internal Medicine leggeranno una difesa della sanità cattolica? Quando leggeranno il resoconto personale di un medico che si è preso cura del suo paziente terminale fino alla fine?
Non molto presto. “L’insularità e il campanilismo” hanno trionfato al JAMA. «Sembra sempre più che le principali riviste mediche del mondo siano state catturate dalla cultura della morte».
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