(ve) La decisione del Sudafrica di ricorrere alla Corte internazionale di Giustizia per verificare se Israele non abbia violato, con la sua guerra nella Striscia di Gaza, la “Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio” del 1948, e per chiedere delle misure cautelari tese alla prevenzione di un genocidio, è stata criticata da alcune organizzazioni del paese africano – tra cui il South African Christian Leaders Forum, il Christian View Network, Bridges for Peace, e l’International Christian Embassy in Jerusalem, espressione di quella corrente cristiana che si rifà all’evangelismo sionista – e che hanno preso le distanze dall’azione voluta dal governo di Pretoria. “Israele non cerca di cancellare Gaza o i palestinesi dalla faccia della terra. Cerca di difendersi. Questo è un caso di colpevolizzazione delle vittime da parte del nostro governo”, hanno fatto sapere, affermando che la decisione andrebbe contro gli interessi del Sudafrica e potrebbe avere significative conseguenze politiche ed economiche, dato che i principali partner commerciali del paese hanno affermato di vedere il caso come un appoggio al terrorismo di Hamas.
Di diverso tenore la posizione del Consiglio ecumenico delle chiese (CEC), organismo mondiale con sede a Ginevra, che alla vigilia delle udienze svoltesi l’11 e il 12 gennaio all’Aia, ha detto di vedere l’apertura delle indagini per genocidio come un momento significativo per l’affermazione dello stato di diritto. In un comunicato stampa il segretario generale del CEC, pastore Jerry Pillay, esponente della chiesa presbiteriana sudafricana, vede il procedimento presso la Corte internazionale di Giustizia come “un potente resoconto dell’impatto catastrofico dell’azione militare israeliana in corso a Gaza sull’intera popolazione civile palestinese del territorio e richiede giustamente un giudizio urgente da parte della Corte internazionale di Giustizia”. Pillay ha ricordato i numerosi appelli ad un cessate il fuoco e al rispetto del diritto internazionale lanciati dal CEC: “Sottolineiamo l’imperativo della responsabilità per le atrocità e i crimini perpetrati contro i civili”, ha affermato. “È il momento di deporre le armi e impegnarsi in risoluzioni significative e negoziate per l’annosa questione palestinese, che è rimasta irrisolta per oltre 75 anni”, ha concluso.
Intanto, il pastore luterano di Betlemme, Isaac Munther, ha fatto notare come l’avvocata irlandese Blinne Ní Ghrálaigh KC, consulente per il team legale del Sudafrica, nella sua arringa davanti alla Corte internazionale dell’Aia l’11 gennaio, abbia citato un passaggio del sermone di Natale, in cui aveva detto: “Non accetteremo le vostre scuse dopo il genocidio. Quel che è fatto, è stato fatto. Ma vorrei che ognuno di voi si guardasse allo specchio e si chiedesse: dov’ero quando Gaza stava subendo un genocidio?”.
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