Sud Sudan, un Paese senza orizzonte

Il governo sudsudanese ha dichiarato lo stato di carestia in due contee. Sono 100.000 le persone che rischiano di morire di fame.

Lunedì 20 febbraio il governo del Sud Sudan e le Nazioni Unite hanno comunicato che in due contee del paese, nello stato petrolifero di Unity, è stata proclamata ufficialmente una carestia, e si ritiene che siano circa 100.000 le persone che rischiano di morire di fame. Nel Paese, che è il più giovane del mondo, avendo ottenuto l’indipendenza nel luglio del 2011, sono quasi 5 milioni le persone che hanno bisogno di aiuti umanitari urgenti.

A poco meno di 6 anni dall’indipendenza, il Paese sembra non riuscire a risolvere la crisi politica e militare che dalla metà di dicembre del 2013 vede opposte due fazioni, una fedele al presidente Salva Kiir e una che fa riferimento all’ex vicepresidente Riek Machar. La guerra civile ha provocato il collasso dell’economia nazionale e ha reso estremamente difficile accedere a cibo e cure, spingendo milioni di persone ad abbandonare le loro case. Soltanto nel mese di febbraio sono oltre 52.000 i sudsudanesi fuggiti in Uganda.

Secondo le Nazioni Unite, che ritengono questa crisi alimentare come la peggiore dall’inizio della guerra, il conflitto ha danneggiato l’agricoltura del Sud Sudan, che in molte parti del paese è l’occupazione principale, indebolendo l’economia e rendendo impossibile la produzione di cibo per i cittadini.

«Da anni – racconta François Dumont, direttore della comunicazione di Medici Senza Frontiere – quello in Sud Sudan è il nostro intervento più importante al mondo, perché l’emergenza medica e la malnutrizione sono sempre state alte a causa della violenza e dei movimenti forzati della popolazione».

Il 20 febbraio il governo del Sud Sudan ha dichiarato ufficialmente lo stato di carestia in varie zone del Paese. È effettivamente cambiato qualcosa o si tratta semplicemente di una presa d’atto di una condizione che già preesisteva?

«La situazione era già molto difficile prima. È vero che nelle zone del centro-nord, che sono zone contese, come Ler e Mayandit, i nostri team hanno riscontrato tassi di malnutrizione estremamente elevati, e queste sono le zone che sono state dichiarate dal governo come in stato di carestia. Nelle indagini che abbiamo compiuto in queste zone abbiamo riscontrato che un quarto dei bambini soffre di malnutrizione generale o globale e uno su dieci è invece in condizioni molto gravi di malnutrizione acuta e severa, che corrisponde a uno stato di rischio di morte. Confermiamo quindi che i tassi di malnutrizione sono estremamente elevati, anche se però non abbiamo visto un aumento così drammatico dei casi di malnutrizione negli ultimi tempi».

La causa di queste condizioni di vita va ricercata nella guerra civile?

«Sì. È un Paese estremamente dipendente dall’assistenza internazionale, anche perché il Sud Sudan esiste da meno di 6 anni e sono anni fatti di conflitto, insicurezza, attacchi e morte: in questi cinque anni la condizione della popolazione non è mai migliorata. Parliamo di territori con uno scarsissimo accesso a cibo e acqua, così come alla cure mediche di base. Tutto questo è connesso agli spostamenti continui, che a loro volta sono causati ai conflitti che sin dalla nascita segnano il Paese».

Nella giornata del 21 febbraio il presidente sudsudanese Salva Kiir ha dichiarato di fronte al Parlamento che tutte le organizzazione umanitarie e di sviluppo avranno libero accesso alle popolazioni colpite. Questo è vero anche nei fatti, oltre che a parole?

«Noi parliamo con il governo del Sud Sudan e con tutte le altre parti, quindi anche con i gruppi armati delle varie zone del Paese, per cui abbiamo un accesso che negoziamo ogni giorno. Il problema però è che ci sono stati tanti casi di attacchi alle strutture sanitarie e al personale sanitario; si parla spesso di bombardamenti di ospedali in altri Paesi, come la Siria, lo Yemen o l’Afghanistan, ma è vero che in Sud Sudan, anche se non si tratta di bombardamenti veri e propri, ci sono stati tanti attacchi, tante violazioni del libero accesso ai soccorsi umanitari. Apprezziamo molto questa dichiarazione da parte di Kiir, ma allo stesso tempo sappiamo che si deve tradurre in gesto concreto. Per farvi un esempio, nella contea di Mayandit e Ler, dove abbiamo incontrato casi di malnutrizione molto elevati, abbiamo dovuto sviluppare un nuovo modo di operare, perché la popolazione non può attraversare le linee di fronte, è troppo pericoloso. Allo stesso modo anche noi come personale sanitario ogni tanto non possiamo attraversare queste linee di fronte, quindi abbiamo dovuto rafforzare le nostre cliniche formando personale all’interno delle comunità distribuendo materiale e medicine a queste persone. Quando le comunità devono scappare, e questo avviene continuamente, il personale sanitario scappa anche con la popolazione ed è in grado di fornire cure mediche contro malattie di base come la malaria, la diarrea o le malattie della pelle, anche in caso di isolamento in zone molto remote per diversi giorni. Così riusciamo a mantenere una fornitura di cure mediche continua. Il fatto però è che è molto difficile, se dobbiamo sviluppare tale intervento vuol dire che c’è un chiaro problema di accesso ai diritti di base».

Quindi quali sono le priorità?

«C’è bisogno di rafforzare l’assistenza umanitaria di emergenza in Sud Sudan. Nonostante le difficili condizioni di sicurezza, si deve dare sempre più forza all’intervento medico nelle zone più colpite da questa crisi nutrizionale. Oltre a questo, dobbiamo continuare a chiedere al governo e a tutti i gruppi armati l’accesso sicuro per fornire soccorsi umanitari alle varie fasce della popolazioni che cercano delle cure. Infine è fondamentale dare voce a questa crisi dimenticata».

Immagine: By Oxfam East AfricaWater points at UN House, Juba, CC BY 2.0, Link

di Marco Magnano | Riforma.it

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