Il presidente Kiir e il vicepresidente Machar hanno trovato un accordo per fermare le violenze che in cinque mesi hanno fatto già 16 mila morti. Ma gli scontri sono subito ricominciati.
In Sud Sudan la guerra tra l’esercito regolare del presidente Salva Kiir e l’Armata bianca dei ribelli dell’ex vicepresidente deposto Riek Machar ha già fatto almeno 16 mila morti in cinque mesi. Per questo su pressione della comunità internazionale Machar e Kiir si sono incontrati venerdì scorso e hanno firmato un cessate il fuoco. Che però è stato infranto dopo appena due giorni.
ACCUSE RECIPROCHE. Ci sono stati scontri a fuoco nello Stato produttore di petrolio Alto Nilo e le due fazioni si sono reciprocamente accusate di non aver rispettato i patti. Il ministro della Difesa Kuol Manyang ha dichiarato di aver ordinato ai suoi di «non attaccare ma di rispondere al fuoco come forma di autodifesa». Ha poi accusato Machar «di non avere il controllo della situazione».
«ARMATA BIANCA FUORI CONTROLLO». Anche se non si può sapere chi abbia aperto il fuoco per primo, c’è del vero nelle parole del ministro Manyang. Come dichiarato a tempi.it da Daniele Moschetti, superiore provinciale dei Comboniani in Sud Sudan, «temo che i due leader abbiano perso il controllo della situazione e dei loro uomini. Penso all’Armata bianca dei Nuer di Machar: sono per lo più ragazzi giovanissimi, che difficilmente si potranno fermare con un semplice accordo di pace. Resteranno sempre ribelli».
«VICINI AL GENOCIDIO ETNICO». La speranza è che l’ultimo scontro a fuoco si riveli sporadico e non dia il via a nuove battaglie su vasta scala, visto che «la situazione in Sud Sudan è sconvolgente: siamo vicini al genocidio etnico, tutto potrebbe degenerare da un momento all’altro», come affermato a tempi.it da Alfredo Macchi, giornalista di Mediaste, che ha visitato il paese più giovane del mondo ad aprile per un reportage.
Leone Grotti
12 Maggi 2014
Tratto da: http://www.tempi.it/
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