Strage di Suviana. Gestire l’errore oltre l’ipocrisia del sistema

Roma (NEV), 12 aprile 2024 – 7 morti, 5 feriti gravi. Questo il bilancio del grave incidente di martedì scorso presso la centrale idroelettrica di Suviana.

Le domande che ci dovremmo porre, in uno dei modelli di debriefing, sono: cosa è successo? Come è successo? Perché è successo? Cosa possiamo fare per evitare che accada di nuovo?

Si parla di allarmi inascoltati, sicurezza mancata, appalti e subappalti, apertura di un’indagine per disastro e omicidio colposo.

Quali azioni mancano per la prevenzione? È sufficiente il Testo unico sulla sicurezza? Forse no. Serve un cambiamento di cultura e di paradigma sui temi della sicurezza e della protezione, due concetti profondamente distinti (in inglese il binomio è noto come safety and security).

Ci sono già strumenti che potrebbero cambiare radicalmente il numero di vittime sul lavoro. Pensiamo ad esempio alle procedure sviluppate nell’ambito delle cosiddette “Organizzazioni ad alta affidabilità” (High Reliability Organization – HRO). Si tratta di ambiti lavorativi che per loro natura hanno fattori di rischio elevati e, in caso di incidente, possono portare a un numero importante di danni in termini di vite umane, disastri naturali o ecologici e impatti economici.

Se in tutti i settori lavorativi si portasse l’attenzione alla cultura della sicurezza come avviene in questo tipo di imprese, monitorando le criticità, agendo sulle procedure e sui processi, probabilmente non piangeremmo così tante vittime.

È una questione politica e di atteggiamento. Pensiamo all’approccio di gestione delle minacce e degli errori (Threat and Error Management – TEM) o al concetto “NUTA” (notice, understand and think ahead, in italiano traducibile come accorgersi, capire, anticipare). Sono modelli e strumenti già esistenti in altre realtà che porterebbero un significativo cambiamento e che mettono al centro il fattore umano. Qui si tratta non tanto di investire, per fare un esempio, sull’elmetto, ma di convincere le singole persone a indossarlo, anche in assenza di controllo. Quanto costa? Ce lo possiamo permettere? Vogliamo farlo? Chi dovrebbe governare questa trasformazione? Il cambiamento deve essere culturale e sistemico.

Francesco Sciotto (Diaconia valdese): sulla cultura della sicurezza “manca la decisione di applicare certi principi, di farli propri nelle procedure e renderli effettivi”

Abbiamo interpellato su questo tema e sulla strage di Suviana il presidente della Diaconia valdese, pastore Francesco Sciotto. La Diaconia valdese, braccio operativo e sociale che afferisce alle chiese metodiste e valdesi, è infatti presente sui territori con progetti di inclusione, rigenerazione urbana, assistenza sanitaria.

“Siamo molto turbati. Effettivamente manca una cultura della sicurezza. Il problema è dei decisori. Manca la decisione di applicare certi principi, di farli propri nelle procedure e renderli effettivi. In Italia non ci sono controlli, e appena c’è la possibilità che circoli del denaro, che apra un cantiere, la prima idea è quella di produrre e guadagnare, senza che a questo corrisponda un impegno di tutela del lavoro e delle persone. Certo, c’è situazione e situazione, ma sta di fatto che assistiamo a un incancrenimento dell’assenza di procedure e di prevenzione” afferma Francesco Sciotto.

Oggi è stato trovato l’ultimo disperso di Suviana, un uomo di 68 anni. Ieri a Messina è morto un operaio di 72 anni.

“Da un lato hanno dopato il mercato dell’edilizia con gli incentivi – prosegue Sciotto – e dall’altro hanno diminuito l’attenzione. Com’è possibile che una persona di 72 anni si trovi, ancora, a dover lavorare in un contesto dove presumibilmente è richiesta una iperspecializzazione? Non c’è programmazione, nel campo della sicurezza, e se si fa qualcosa lo si fa in modo episodico, senza una prospettiva, e lasciando tutto in mano a una sorta di libero mercato ottocentesco, senza nessuna tutela e nessun controllo”.

È una politica al ribasso, non solo italiana. Pensiamo all’approvazione da parte del Parlamento europeo del nuovo patto su migrazioni e diritto di asilo (accordo criticato dalle chiese europee e dalla società civile). Anche Emergency ha parlato di “terribile concetto di quantificazione del valore della dignità di una vita: 20.000 euro, la somma necessaria per girarsi dall’altra parte e rinunciare alla responsabilità di accogliere”.

Conclude Sciotto:

“La fragilità è nel caporalato, nell’agricoltura, nell’edilizia, e ormai anche nei servizi, nei trasporti, ovunque. Tutti valiamo di meno, i salari sono bassissimi. L’assurdità di questa storia è che ci si immagina che certe infrastrutture, nella fase di costruzione e manutenzione, siano gestite da aziende che abbiano contezza di tutto, invece no. Sappiamo che può succedere qualcosa in qualsiasi momento e ci sentiamo dire che ‘purtroppo c’è stato un incidente’. Come se fosse normale che una struttura non ci abbia pensato a monte, come se non lo sapessimo che potrebbe sfociare in una tragedia. E quando cade un tetto, la colpa viene data a chi ci lavorava in nero. C’è molta confusione. E inoltre, come cittadinanza, dovremmo chiederci: come vanno a finire i processi? In genere, si colpevolizza la povera gente, che ormai è accomunata dall’assenza di diritti”.

https://www.nev.it/nev/2024/04/12/strage-di-suviana-gestire-lerrore-oltre-lipocrisia-del-sistema/


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