Storie di cristiani perseguitati. Alì, ustionato con l’acqua bollente per aver “tradito” Allah…

…Una vicenda accaduta, qualche tempo fa, a Hå in Norvegia. – “Alì”, nome che cela la vera identità di un cristiano afghano convertitosi dall’islam, venne assalito da musulmani somali all’interno del centro di accoglienza per rifugiati di Hå (Norvegia, distretto di Jæren). Gli aggressori, anch’essi rifugiati e residenti nel centro, lo percuoterono, lo ustionarono con acqua bollente e lo minacciarono di morte se non fosse tornato alla fede islamica.

Il profumo del mare riempie di sapore la notte dell’estate norvegese ma Harsan sente solo il battito impazzito del suo cuore che pare voglia scoppiare. Corre verso le luci di Nærbø che illuminano l’orizzonte; corre senza sapere dove andare.

Percorso il primo chilometro il ritmo della falcata diviene più regolare, più simile a quello naturale che ha sviluppato da bambino sugli altopiani dell’Afghanistan; rallentano anche le pulsazioni e la mente si sgombra. «Signore Gesù Cristo – ripete ad ogni inspirazione – abbi pietà di me».

Dopo un’ora di corsa raggiunge la periferia della città. Si dirige verso il centro, fino a una panchina del parco pubblico dove si siede. Rimane così, con le gambe allungate, le braccia allargate e il capo rivolto all’indietro in attesa che l’affanno lo abbandoni.

Inizia però a piovere e a fare freddo e Harsan si scuote da quello stato di semi incoscienza e prende consapevolezza della sua infinita solitudine. Si sente come un pagliuzza insignificante costretta dal vento a vagare nel mondo senza scopo e senza pace. Ha la sensazione che nella sua vita ci siano solo punti di fuga e mai d’arrivo. La cisterna infuocata dentro la quale ha passato il confine con l’Iran, il doppio fondo del Tir turco, le settimane da clandestino nella stiva della nave, il centro di accoglienza di Hå e ora quella panchina del parco, tutti luoghi da cui scappare, tutti luoghi da cui il vento della vita l’ha soffiato via per farlo posare in un altro posto dal quale, ancora una volta, sarà spazzato via.

Si sente tradito, Harsan, ingannato dal nuovo Dio che ripaga la sua fede con il centuplo di angoscia, smarrimento e paura. Stringe i pugni per la rabbia e sta per bestemmiare quando nella sua mente ritorna l’immagine del poster che si trova nell’atrio del centro per rifugiati: la fuga in Egitto di Giotto. Gesù è scappato come lui. Si vergogna allora, Harsan, dei suoi pensieri e piange.

La camiciola leggera è ormai zuppa d’acqua e si è incollata al torace. Bisogna trovare riparo per la notte. L’unico nome amico che gli riesce di ricordare è quello di Grethe Lindborg, una volontaria che tiene il laboratorio di pittura al centro. La donna, una volta, aveva detto di abitare nella piazza con il parco e Harsan comincia a cercare il suo nome su tutti i campanelli dei palazzi attorno.

Finalmente lo trova e suona. La donna, svegliata nel cuore del sonno, arriva ad aprire in ritardo, scarmigliata e in camicia da notte; lo riconosce subito e lo fa entrare, preoccupata e premurosa; si dedica alla ricerca di asciugamani e vestiti asciutti poi passa alla preparazione del te.

Quando entrambi ritrovano un po’ di calma Harsan le racconta gli eventi di quella notte:
«Alì ed io siamo entrati nella cucina comune del centro per farci un caffè. C’erano già tre rifugiati somali che si stavano preparando da mangiare. Uno di loro si è avvicinato e ci ha chiesto perché non stessimo osservando il ramadan. Noi siamo rimasti zitti, con gli occhi bassi, per non provocarlo. Quello però insisteva e si è messo a sbraitare che eravamo dei porci convertiti, degli apostati. Allora anche gli altri due hanno cominciato a insultarci, a dire che avremmo dovuto pagare il nostro tradimento con la morte. Uno di loro ha detto che avrebbe parlato con l’imam e avrebbe ottenuto da lui una fatwa che li avrebbe autorizzati a ucciderci. Noi volevamo andarcene ma loro hanno cominciato a spintonarci, poi a colpirci con schiaffi e pugni; sembravano invasati. Ad un certo punto il più aggressivo, quello che aveva cominciato la discussione, ha preso dal fornello la pentola di acqua bollente e l’ha gettata addosso ad Alì e poi lo ha colpito più volte con la pentola stessa. Alì gridava per le ustioni e anch’io gridavo per la paura.

Grazie a Dio, anche se con molto ritardo, sono arrivati i sorveglianti che hanno chiamato l’ambulanza e la polizia. Alì è stato subito portato in ospedale mentre i poliziotti ci interrogavano. Raccolte le deposizioni, gli agenti hanno detto ai somali e a me di tornare nelle nostre camere e se ne sono andati. Io però sono scappato. Quei tre, prima o poi, mi ammazzano. Io lì non ci rimango».

Da Tempi.it


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