Ricco e crudele, John Newton non credeva in Dio.
Possedeva una casa lussuosa nella Carolina del nord, oltre che a molti schiavi e a diverse proprietà. La casa era arredata con tappeti e mobili pregiati, con costosi arazzi e candelabri d’argento. In un angolo del salotto c’era un magnifico pianoforte e, oltre la grande vetrata, si estendevano vastissimi campi di cotone.
John era spesso fuori casa; con una nave negriera andava spesso in Africa dove praticava il commercio degli schiavi. La nave partiva vuota dagli Stati Uniti e vi ritornava carica
di schiavi incatenati. La fortuna di Newton era basata sul commercio di carne umana. Quando tornava a casa da suoi viaggi, era sempre carico di doni: gioielli per la moglie e giocattoli per i suoi bambini. La grande casa diventava sempre più lussuosa, le proprietà sempre più estese e il cuore di John sempre più duro, vuoto e arido. Un giorno, durante uno dei suoi numerosi viaggi in mare che, con un carico di schiavi, lo portavano dalle coste dell’Africa a quelle degli Stati Uniti, improvvisamente Newton si ammalò con febbre alta e delirio: aveva la febbre tifoidea! Gli uomini dell’equipaggio si consultarono febbrilmente: dovevano prendere una decisione immediata perché un caso di tifo a bordo significava, nel giro di pochi giorni o forse di poche ore, una grave epidemia e la conseguente perdita del carico della nave. La decisione fu presa. Avrebbero messo Newton su una scialuppa per abbandonarlo nell’oceano insieme a un’altra persona malata come lui. Si trattava di un’anziana donna di colore che, durante i numerosi viaggi, era stata la cuoca della nave. Sia lei che Newton vennero abbandonati su quella scialuppa in balìa delle onde, mentre la nave si allontanava lentamente. Newton delirava e anche la donna stava male, ma fortunatamente la corrente del mare spinse la scialuppa verso un’isola.
Arrivati sulla terra ferma, i due malati cominciarono a parlare. Da una parte l’uomo delirante e dall’altra la donna che, se pur molto malata, manteneva salda la sua fede nel Signore. Fin da bambina aveva accettato Gesù nel suo cuore come personale Salvatore. Non odiava quell’uomo crudele per il quale aveva lavorato sulla nave, anzi lì su quell’isola, cominciò a parlargli del Signore. Gli disse che Gesù era venuto dal cielo per vivere con gli uomini come loro, per insegnare ad amare e per distruggere l’odio. Gli disse anche che Gesù era venuto per dare libertà agli schiavi, non solo quelli incatenati nelle stive delle navi o quelli che lavoravano nei campi di cotone, ma anche per tutte quelle persone che, come Newton, erano schiave del peccato. Per l’uomo malato queste parole erano del tutto nuove, ma ancor di più, per la prima
volta sentìla voce del Signore che gli parlava al cuore. «Ahimé, disse, è ormai troppo tardi. Ho peccato troppo nella mia vita…è troppo tardi per pentirmi!». Ma la vecchia donna gli disse: «Non è mai troppo tardi per il Signore. Lui può guarirti perché sulla croce del Golgota ha portato i nostri peccati e tutte le nostre malattie. Lì ha pagato per le tue e le mie colpe e oggi ti può salvare, se glielo chiedi ». Là, su quella spiaggia deserta, per un miracoloso intervento divino, Newton fu guarito. L’anziana donna di colore, invece, dopo aver fatto il suo dovere di testimone fino alla fine, andò col Signore. Col passare dei giorni Newton riprese le forze nutrendosi di frutta ed erbe selvatiche. Un giorno vide in lontananza una nave che, forse spinta miracolosamente dai venti vicino all’isola, fu abbastanza vicino perché dei membri del suo equipaggio potessero notare le segnalazioni dell’uomo. Fu lanciata una scialuppa e Newton fu issato a bordo. Alcune settimane dopo fu di nuovo a casa, ma come gli sembrava vuota!
All’interno nulla era cambiato: gli oggetti lussuosi, sua moglie e i suoi bambini… ma mancava l’amore del Signore. Cominciò a parlare di Dio e della sua opera prima alla famiglia e poi alla grande comunità di schiavi che lavoravano nei suoi campi di cotone. Aveva deciso di liberarli, uno dopo l’altro. Intanto la sera, quando il lavoro era finito, li riuniva insieme alla sua famiglia per cantare e pregare. Dopo aver liberato i suo schiavi, Newton vendette tutti preziosi che aveva per poter pagare per la liberazione anche degli schiavi dei possidenti suoi vicini. Tappeti oggetti di valore, arazzi, tutto quello che aveva guadagnato con la tratta degli schiavi, a poco a poco scomparve per dare la libertà ad altri schiavi. In casa rimasero pochi mobili, un tavolo, delle sedie e un pianoforte. «Tra poco venderò anche quello, pensò John, ma prima voglio comporre un canto». Così un giorno, mentre con la moglie, i figli e gli ex schiavi stava seduto in casa, si sedette al piano e chiese al Signore che, nell’ultimo giorno in cui possedeva quello strumento, gli desse l’ispirazione di una melodia con delle parole di riconoscenza e di lode.
Quel canto avrebbe dovuto ricordargli per sempre la testimonianza dell’anziana donna di colore in quella spiaggia deserta. Le parole gli vennero spontanee:
Amazing Grace
Stupenda Grazia del Signore
Che dolce questo don
Un cieco ero io, ma Cristo mi sanò
Perduto or salvo son.
La grazia Sua mi insegnò
Di Lui ad aver timor
E d’ogni paura mi liberò
Ed ho fiducia ognor.
Per molti perigli e guai e duol
Quaggiù passo io ognor
La grazia mi guida e mi guiderà
Acasa del mio Signor!
Le lodi della grazia Sua
In cielo canterem,
Un canto eterno e bello al Signor
Che mai non finirem!
[notiziecristiane.com – Francesco La Manna]
http://storiedifedevissute.blogspot.it/
Tratto da «TRAGUARDO» maggio 2001
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