Desiderare un figlio è quanto di più umano possa nascere nel cuore. Ma se il figlio non arriva? A quale pratica che la tecnica oggi consente è meglio ricorrere?
Desideri un figlio. Scopri di non poterne avere. Sei tentato di ricorrere a pratiche tecniche. Dall’altro lato del mondo, o magari accanto a te c’è chi ha tanto bisogno di genitori che lo amino. La storia di Maria e Giovanni è davvero appassionante.
Una bellissima famiglia nata da tante sofferenze. Maria, Giovanni, Albert e Alia.
La ferita diventa feritoia
Maria e Giovanni ci raccontate un po’ della vostra storia? Cosa vi ha condotto alla scelta dell’adozione?
«La nostra storia nasce un po’ come le altre storie, innamoramento, fidanzamento e matrimonio. Già durante il fidanzamento avevamo parlato dell’adozione anche qualora non avessimo avuto dei figli biologici. Quindi, dopo un piccolo problema di salute di Maria, la scelta dell’adozione è stata una conferma di quanto pensato in precedenza. Non abbiamo cercato vie alternative per avere figli “di pancia”, puntando sulla scelta dei figli “di cuore”».
È stato complesso l’iter?
«L’iter dell’adozione, nel nostro caso internazionale, è stato lungo e faticoso… Ci avevano detto ai primi incontri che l’adozione non era né facile, né immediata e purtroppo è stato così. Per adottare il primo figlio, Albert, abbiamo impiegato cinque anni e mezzo mentre per Alia, adottata sempre in Burkina Faso, ci sono voluti quattro anni.
I vari operatori del settore, giudici minorili, assistenti sociali, psicologi, psichiatri ed altre figure, a causa dell’iter complesso che, invece, andrebbe snellito per favorire le coppie nella scelta dell’adozione, guardano e giudicano il cuore, la mente e, purtroppo, anche il “portafoglio” perché l’adozione internazionale è molto costosa».
Una nuova dura prova
Continuano il loro racconto.
«Nonostante il lungo iter della prima adozione, abbiamo sempre pensato ad un secondo figlio, spinti anche da Albert che voleva un fratellino ed una sorellina. Non farlo ci sembrava di essere come “il servo malvagio e pigro” del Vangelo di Matteo, il quale aveva sotterrato il talento che il Signore gli aveva consegnato e noi, invece, volevamo moltiplicarli come avevano fatto “i due servi buoni e fedeli”.
Così abbiamo deciso di avviare l’iter per la seconda adozione. Nel frattempo è sopraggiunta la malattia di Maria, viva davvero per miracolo, e dopo aver pensato a lungo il da farsi, abbiamo deciso di mettere in stand-by la procedura, ma nel nostro cuore avevamo il timore di non poterla più riavviare, viste le condizioni di salute.
Il Signore, invece, che scrive sulle righe storte ci ha preceduto; il paese straniero, nonostante il nostro stop temporaneo, ci aveva pre-abbinato ad una bimba di tre anni di nome Alia. Una volta contattati, considerando la malattia, ci hanno dato la possibilità di rinunciare, ma a noi sembrava quasi di “praticare un aborto” dicendo no.
Ed allora abbiamo detto sì, sapendo che la provvidenza ci avrebbe sostenuti! È stata la seconda scelta migliore, dopo Albert, che potessimo fare. Alia ci è sembrata la risposta del Signore al fatto che Maria era sopravvissuta miracolosamente alla malattia».
La difficoltà maggiore?
«La difficoltà maggiore è stato il tempo di attesa tra l’abbinamento, cioè il momento in cui ci hanno fatto vedere la foto dei bambini e il momento in cui siamo partiti per l’Africa. Ci ripetevamo che era una gravidanza più lunga di quella naturale, ma il pensiero di avere un figlio a chilometri di distanza senza poterlo vedere ed abbracciare è stato il periodo più difficile. Ma la gioia che abbiamo provato nel conoscere e nell’abbracciare prima l’uno e poi l’altra ci ha ripagato della lunga ed estenuante attesa».
Un consiglio a chi scopre di non poter avere figli
mpiono il cuore di gioia dei papà e delle mamme adottive. Bisogna scegliere la strada dell’adozione con convinzione, senza tentennamenti e senza farsi scoraggiare dalle difficoltà che si incontrano, nell’intento di dare e ricevere amore vicendevolmente».
La gioia più grande che vi donano Albert e Alia?
«Con loro le giornate sembrano durare il doppio per come ci tengono impegnati, ma ogni cosa fatta per loro e con loro è una gioia incredibile! Se è vero che si è già famiglia in due, in tre o anche in quattro è decisamente meglio! Gli assistenti sociali ci avevano sempre detto negli incontri precedenti l’adozione, che i bambini dopo pochi mesi dall’ingresso in famiglia avrebbero cambiato l’espressione triste negli occhi. Noi non credevamo a questa cosa ma è stato davvero così… Ed oggi vedere questi occhioni felici è la nostra gioia più grande».
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