MILANO – «Il miglior dono che possiamo farvi è diseredarvi». È la dichiarazione di uno dei più famosi cantanti del mondo, Sting, che ha reso nota la decisione, sua e di sua moglie, di non lasciare in eredità ai figli la ricchezza accumulata in questi anni di strepitoso successo. Questa può apparire una notizia perfino irritante per chi, specie in questo periodo, trova difficile immaginare un futuro per i propri figli, tuttavia, come non riconoscere in questa decisione qualcosa di utile per la riflessione di tutti?
Il lascito di una ricchezza immensa può diventare «un peso intorno al collo», per usare un’espressione dello stesso cantante, e causare la perdita di ogni motivazione a farsi strada da sé, con una minaccia conseguente alla propria autostima. In fondo è proprio nell’atto di sottrarre loro una fortuna che ammonta, pare, a 230 milioni di euro, che Sting ha dato segno di volerne trasmettere un’altra, valoriale, maggiore del denaro. «Devono lavorare come ho fatto io», ha precisato. Il lavoro, dunque, non come una maledizione ma come maniera di stare al mondo in un giusto rapporto con se stessi, e con la società. Questa decisione – come spiega lo stesso Sting – non significa che lui e sua moglie non aiuteranno i loro figli o che non l’abbiano già fatto finora a trovare una loro strada. Certo, potremmo discutere se sia giusto un accumulo di ricchezze così spropositate da diventare una minaccia persino per i destinatari. La concentrazione in poche mani di grandi ricchezze crea scompensi planetari. Ma quel che intriga di questa notizia è la rivelazione che esistono diversi tipi di eredità e che quelle immateriali non sono per nulla meno importanti di quelle tangibili, anzi. Trasmettere ai propri figli principi di vita e indicarne le priorità è una ricchezza ben più preziosa dei soldi.
Ogni eredità comporta, comunque, una responsabilità. Proprio per questo, giuridicamente, l’eredità va esplicitamente accettata dagli eredi. L’eredità che riceviamo sarà tanto più benefica per la nostra vita quanto più potrà aiutarci a mettere a frutto le nostre competenze per il bene comune.
Forse – mi sono detto – è per questo che anche la nostra Costituzione comincia con le parole «L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro». Avrebbe potuto recitare «fondata» sull’onestà, o sulla libertà, o sulla giustizia, o sulla pace, che pure sono tutte cose di cui abbiamo tanto bisogno. Ma dice: «fondata sul lavoro», richiamandoci al compito che abbiamo tutti, e all’eredità che tutti vorremmo lasciare ai nostri figli: la possibilità di imparare e svolgere una professione che li aiuti a vivere con dignità e fierezza.
Come cristiani poi, immeritatamente, siamo fatti eredi di una grande ricchezza. È la vita sovrabbondante che ci offre Cristo. Questa però non è un’eredità che minaccia, che schiaccia o che annulla la nostra vita. È da questo dono immateriale ma immenso, di amore, che riceviamo la forza per prendere in mano la nostra esistenza e per viverla responsabilmente insieme con gli altri.
di: Massimo Aprile
da: Riforma n. 26
data: 4/7/2014
Tratto da: http://www.evangelici.net/
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