L’immagine, il sentimentalismo e il ricatto da parte di un malato che usa della sua condizione di sofferenza per convincere lo Stato a legalizzare l’omicidio facendosi portavoce del diritto di altri disabili, hanno una potenza senza pari su un’opinione pubblica che non senta altre campane.
Per questo il servizio delle Iene andato in onda mercoledì scorso, guarda a caso prima dell’approfondimento sull’Unar, è uno spot formidabile alla morte di Stato. Le iene, infatti, hanno voluto mettere in scena il copione radicale, mostrando il caso estremo di un tetraplegico immobile in un letto, non vedente, incapace di nutrirsi da solo, ma dotato di una mente lucidissima tanto da parlare esattamente come farebbe un politico radicale (“io quantifico la vita non in quantità ma in qualità”) e da far sentire spietato chi non comprendesse la sua volontà di morire (“se mai dovesse fallire questo progetto io mi metterò alla ricerca di qualche sicario”).
Dj Fabo, Fabiano, è diventato così la nuova voce dell’associazione Luca Coscioni con cui, supportato dalla sua fidanzata Valeria, sta chiedendo al presidente della Repubblica la legalizzazione dell’eutanasia. Fabiano, infatti, non è solo una vittima della strumentalizzazione politica di quanti, come Marco Cappato, unico politico a comparire nel servizio, usano un uomo disperato per farlo sentire utile. No, Fabiano è cosicente di ciò che sta facendo, tanto che di ragioni per vivere diverse da quelle stabilite da lui non ne vuole nemmeno sentire parlare. Si capisce come mai da alcune foto e video di questo ormai quarantenne, che fino a due anni e mezzo fa viveva in India cercando di evitare ogni dipendenza, alla ricerca del successo e del continuo divertimento fra rave party, feste e sport estremi. Tanto che, ha dichiarato alle Iene, “siamo schiavi di uno Stato, viviamo schiavi di uno Stato, lavoriamo schiavi di uno Stato”.
Sul suo profilo Facebook compaiono anche immagini e frasi che inneggiano allo sballo, in alcune Fabiano danza addirittura vestito da donna con gli occhi stralunati, mentre in un video, girato in vacanza con la fidanzata, urla come un pazzo: “Dove gente come noi, eroi come noi possiamo arrivare a fare quello che vogliamo noi!!”. E ancora, poco prima di rimanere paralizzato, dice: “Noi non ci fermeremo davanti a niente”. Di lì a poco, il 13 giugno del 2014, dopo una serata Fabiano si mette in macchina alle due di notte, e nonostante Valeria lo abbia pregato di non guidare, il dj non le dà ascolto, schiantandosi poi con la macchina nel tentativo di recuperare il cellulare caduto in terra.
Una beffa del destino? La conseguenza dello sballo? Qualunque sia la risposta è innegabile che quella di Fabiano era un’illusione e che la vita, ci piaccia o no, è piena di vincoli e limiti che non possiamo controllarle veramente. Certo, non è facile passare dal rifiuto di qualsiasi norma a un letto su cui giacere immobili. E non è semplice neppure comprendere il dolore e lo sconforto che ne possono derivare. Eppure, quante persone hanno ricevuto macigni pesantissimi da portare, sperimentando la propria impotenza, debolezza e limite, ma decidendo di accettarli, pur con grande fatica, hanno scoperto qualcosa di nuovo per sé, come, ad esempio e soprattutto, il fatto di essere amati anche quando sarebbero stati i primi a non riuscire a sopportarsi. Non è un discorso, ma l’esperienza di molti uomini e di tanti malati.
Fra questi esite un altro dj, anche lui paralizzato dalla Sla a soli 29 anni, su cui le Iene naturalmente si guardano bene dal montare servizi. Andrea Turnu, musicista sardo, sognava di costruire una famiglia con Chiara, la fidanzata ancora al suo fianco, e una vita fatta di lavoro in azienda e di musica. Nonostante ciò il giovane non si è mai dato per vinto. Basti pensare che in casa sua, dove oggi compone musica con gli occhi, la parola eutanasia è bandita, perché “questa malattia mi ha tolto quasi tutto, ma mi consente di cogliere il valore di ciò che prima sottovalutavo”. Grazie anche a chi lo circonda che, grato della sua presenza, è quindi capace di combattere fino alla fine insieme a lui. “Mio figlio – ha sottolineato più volte la madre – è un ragazzo strafelice di godesi ogni attimo della vita”.
Ma sono tante le persone che accogliendo gli eventi più terribili si sono rese conto che quella barriera poteva essere un gradino per qualcosa di più grande dei propri progetti. Tante che, chiedendosi “perché a me?”, hanno ricevuto una risposta. Ma questa domanda Fabiano la vuole evitare, perché “non so se sai chi sono, io così non posso vivere”, ha continuato parlando alle Iene. Non un interrogativo è ammesso, perché la possibilità che esista una risposta lo costringerebbe a una vita che non vuole. A guardare bene la puntata, infatti, quello che angoscia non è la malattia, tanto che Fabiano ride, scherza e precisa di non essere depresso, ma il rifiuto categorico di accettarsi e accettare un’esistenza più grande dei suoi calcoli. Anche perché Fabiano non è l’unico a eliminare ogni possibilità positiva: Valeria nega addirittura che esista una vita fuori da quella che vogliamo e determiniamo noi: “Fabiano non sta vivendo, la vita è altro”. Ancor peggio: “Fabiano non è più qui fra noi da un anno e mezzo”.
Sia chiaro, la colpa di Valeria non è quella di non saper reggere la situazione (non sarebbe biasimabile se se ne andasse umilmente), ma il fatto di non poter tollerare l’esistenza di un Fabiano diverso da quello che vorrebbe. Lei, dopo la ricerca di una serie di cure fallimentari, parla di scelta contraria all’egoismo. Ma che amore è quello che “se non cambi, ti elimino” e che invece di abbracciare l’amato per aiutarlo a non soccobere al male lo asseconda? Perché quello che si gioca qui è proprio l’amore a sé e agli uomini, contrapposto a una società di persone feroci contro se stessi e gli altri quando esulano dalle proprie immagini di perfezione. La vicenda di Fabiano mostra solo fino a dove può arrivare questa che è la sua vera patologia e di chi lo circonda: quella individualista dell’autodeterminazione, che rischia di contagiarci, più o meno tutti, mentre misuriamo il nostro valore da quanto riusciamo a fare, deprimendoci se sbagliamo, e dimenticando che siamo creature bisognose di tutto per salvarsi. E’ da qui che nasce l’ideologia radicale che pretende l’eutanasia legale per uccidere non solo chi si sente “inutile”, ma anche chi è ritenuto tale (come dimostrano ad esempio il Belgio e l’Olanda). Tanto che se Fabiano lo avesse voluto sarebbe già morto. Invece, no, l’eutanasia, quasi come fosse il suo ultimo affronto al limite, la chiede per tutti.
E’ questa la continua alternativa che ci è posta dinnanzi, la dipendenza da un amore o il controllo che ci lascia nell’abisso delle nostre impotenze facendoci credere così di essere liberi: “Andrò via con il sorriso, andrò via libero”, continua Fabiano. Ma l’orizzonte asfissiante di chi vive eliminando la domanda di senso, emerge chiaramente alla fine, quando Valeria gli domanda: “E dove ti si può trovare nell’aldilà?”. E lui, non riuscendo ad immaginare nulla di più del suo piccolo mondo che non ammette imprevisti, risponde: “In una bella festa, in un bel casino”. E se questo non fosse il paradiso? Che cosa sarebbe invece?
di Benedetta Frigerio | Lanuovabq.it
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