di BILLY SUNDAY – ″Che profitto ha l’uomo di tutta la fatica che sostiene sotto il sole?″ (Ecclesiaste 1:3) – È lo stesso re Salomone a formulare questa domanda e a darle una risposta. Nel modo d’esprimersi contemporaneo, significa più o meno: ″Che bene ricava un uomo da questa vita, se vive solamente per le cose che può dare il mondo?″
Se c’è mai stato qualcuno in grado di dare la giusta risposta a questa importantissima domanda fondandosi sulla propria esperienza di vita e sulla propria saggezza, quello era Salomone. Se mai uomo al mondo nacque baciato dalla fortuna, quello fu lui. Talvolta pare che il diavolo infierisca particolarmente su certe persone sin dalla loro nascita, ma Salomone non ebbe questo problema perché nacque privilegiato. Era il figlio prediletto di uno degli uomini più grandi e migliori mai vissuti. Suo padre, il re Davide, fu un uomo secondo il cuore di Dio, era gradito al Signore. Salomone divenne re di un grande regno nella sua gioventù ma il padre era ancora vivo, e quindi poteva consigliarlo e assisterlo; per farla breve, godeva di tutti i vantaggi che il suo alto rango e la sua enorme agiatezza potevano offrirgli.
Ebbe saggezza, ricchezze, prosperità e onori come nessun re prima o dopo di lui. Ai suoi ordini c’era un esercito formidabile e poteva contare sulla potenza della nazione che aveva la speciale protezione e il favore di Dio. Non aveva che da comandare e la cosa si faceva: gli bastava esprimere un desiderio, che subito veniva esaudito. Salomone ricevette la migliore educazione disponibile a quei tempi e Dio lo rese il più saggio degli uomini. La fama della sua sapienza si diffuse per tutta la terra affascinando anche la regina di Saba la quale, dopo un lungo viaggio durato settimane e settimane, con un grande stuolo di servitori al suo sèguito, venne a prostrarsi sbalordita ai suoi piedi. Ella ammirò la magnificenza dell’incantevole palazzo di Salomone e del tempio da lui costruito; osservò il suo incomparabile esercito, la quantità dei suoi servi e l’eleganza delle loro vesti. Rimase impressionata dalla massa di oro e di preziosi che circondavano quel re e quando ripartì per il suo regno, confessò che non le avevano riferito neppure la metà della realtà!
Salomone fu anche un prolifico scrittore: compose più tremila massime e milleecinque canti, dai quali trapela la somma sapienza dell’autore. Se non era lui un intenditore, chi poteva esserlo? Ogni piacere gli era a portata di mano. Se voleva qualcosa, doveva semplicemente stendere la sua mano ingioiellata e prenderla. Durante la sua vita, il regno d’Israele ebbe pace e non ci furono guerre, per cui ebbe tutto il tempo di svagarsi e, stando a quanto lui stesso dice, non perse tempo per farlo: fu un vero e proprio gaudente. Viveva in un palazzo, circondato da cortigiani che non erano certo dei dilettanti, onorato, venerato, adulato come pochi uomini lo sono stati. Non si sarebbe potuto ricevere un onore maggiore di quello che gli fu tributato, nessun libro avrebbe potuto conferire maggior conoscenza di quella da lui acquisita, non si sarebbe potuto raggiungere un livello più alto di saggezza.
Era tanto ricco che le sue proprietà non potevano essere calcolate: possedeva tra l’altro quarantamila cavalli e ventimila cavalieri. La spesa che comportava questa macchina da guerra non lo preoccupava affatto, giacché la fornitura giornaliera di viveri per sé, per la famiglia e per i suoi dipendenti ammontava a trenta cori di fior di farina e sessanta cori di farina ordinaria, dieci buoi ingrassati, venti buoi di pastura e cento montoni, senza contare i cervi, le gazzelle, i daini e il pollame di allevamento. Salomone non ebbe mai ambizione che non fu soddisfatta, né curiosità che non fu appagata. Come il suo regale genitore, era un attento osservatore cui non sfuggiva nulla, al punto da dire«ho visto tutto ciò che si fa sotto il sole», intendendo che il mondo non aveva più nulla da mostrargli o da offrirgli.
Tutti avranno provato, almeno una volta, una punta di invidia per certi uomini di cultura, che avevano conseguito supremi traguardi intellettuali e avranno pensato: «Come sarebbe stato bello se avessi avuto il tempo e l’opportunità di imparare tutte le cose che mi piacerebbe conoscere». Erano convinti che una delle più grandi gioie che questa vita può dare è quella di apprendere le cose.
Bene: qui, al contrario, vediamo che Salomone non solo aveva attinto a quel pozzo, ma lo aveva addirittura prosciugato. Aveva appreso tutti gli insegnamenti e frequentato i maggiori corsi di aggiornamento dell’epoca sua, procurando ai suoi insegnanti un esaurimento nervoso, tanta era l’impazienza di imparare qualcosa di cui non fosse già a conoscenza. E così, dopo aver spremuto fino in fondo quella fonte ormai inaridita, disse sospirando: «Andiamo! Ti voglio mettere alla prova con la gioia, e tu godrai il piacere!».
Prese allora a comportarsi come un autocrate capriccioso che, salito sul suo aureo carro dalle ruote incastonate di diamanti, compie il giro della pista, facendo andare in visibilio la gente assiepata sulle gradinate dell’anfiteatro. Cavalcò a rotta di collo lungo i viali cosparsi di petali di rose dei piaceri sensuali, che per lui si aprivano in ogni direzione, come se dovessero condurlo dritto in paradiso. Ma ben presto, lo scintillante carro del piacere perse una ruota: lui ruzzolò di nuovo nel fango e pure stavolta si mise a gridare a chiunque fosse tentato di seguire il suo esempio: «Torna indietro! Non percorrere questa strada, poiché qui tutto è vanità e tormento di spirito!». Poi si dette al vino e alla dissolutezza e, successivamente, prese ad amare molte donne straniere, agguantando follia a piene mani.
La sensualità era un suo lato debole. Ebbe infatti settecento mogli e trecento concubine, ma presto dovette emettere lo stesso verdetto di prima e gridare ancora una volta «vanità, vanità, tutto è vanità!». Pensò poi di aver scoperto qualcosa di veramente notevole: preso dal male della pietra, costruì grandi opere e edifici, il più imponente dei quali sarà il tempio, ricordato ancora oggi come il tempio di Salomone. Ci vollero sette anni per costruirlo, con l’impiego di centottantatremila operai, tra giudei e stranieri. C’erano ottantamila taglialegna, settantamila portatori di pesi e ottantamila tagliatori di pietre, che lavorarono nelle cave, affinché nel tempio non si sentisse alcun suono di martello o di scalpello. Al completamento dell’opera ci fu una festa di sette giorni per la dedicazione dell’edificio.
In quella occasione, Salomone sacrificò centoventimila pecore e ventimila buoi. Il tempio fu ricoperto di lastre di marmo bianco, accostate così omogeneamente l’una all’altra da far apparire il tutto come un unico blocco. Il tetto era di legno di olivo ricoperto di oro puro, da cui l’usanza di ricoprire le cupole dei nostri campidogli con lamine d’oro. Quando il sole batteva sul tempio, lo splendore era così forte da abbagliare chi lo guardava. I cortili del tempio e gli alloggi ad essi annessi potevano contenere almeno trecentomila pellegrini; l’edificio sacro aveva un portico composto da millequattrocentocinquantatre colonne di marmo bianco purissimo, duemilanovecentosei tra pilastri e colonne. Il tutto per un valore totale di oltre tre miliardi di dollari in oro. Le coperture e le pareti, ricoperte anch’esse di oro e di argento, richiesero un miliardo di dollari in argento. Nel tempio c’erano duecento grandi scudi d’oro battuto, per ognuno dei quali furono impiegati seicento sicli d’oro, e trecento scudi d’oro battuto più piccoli, per ognuno dei quali servirono tre mine d’oro. Il tributo in oro che giungeva ogni anno a Salomone era di seicentosessantasei talenti, circa venti milioni di dollari. Quando il re dedicò il tempio, la gloria del Signore riempì l’edificio. Dopo queste cose, Salomone concentrò il suo grande talento e le sue enormi ricchezze verso la città di Gerusalemme, che fu abbellita e ampliata. Vi piantò delle vigne, dei giardini e dei frutteti, nei quali teneva gli alberi più rari e più belli al mondo.
Alberi provenienti da ogni nazione, fiori di ogni specie e colorazione e ogni altra pianta venivano coltivati grazie a sofisticati sistemi di irrigazione, che sfruttavano un sistema di laghi artificiali. È difficile supporre che un’altra capitale del mondo abbia mai visto una magnificenza più grande di quello sfoggiata a Gerusalemme da Salomone; da tutto ciò, questo re trasse una soddisfazione solo temporanea; di lì a poco, sentendo un’altra volta l’amaro in bocca, commentò: «Tutto è vanità!».
Ma subito dopo, fu preso da un’altra voglia improvvisa. Dice: «Comprai servi e serve, ed ebbi dei servi nati in casa; ebbi pure greggi e armenti, in gran numero, più di tutti quelli che erano stati prima di me a Gerusalemme; accumulai argento, oro, e le ricchezze dei re e delle province; mi procurai dei cantanti e delle cantanti e ciò che fa la delizia dei figli degli uomini, cioè donne in gran numero».
Con queste parole, voleva senza dubbio dire che era diventato un amante del bello, dell’elegante e del raffinato (un po’ come fanno i miliardari odierni). Probabilmente si assicurava il meglio della pittura, dell’antiquariato, della scultura, degli strumenti musicali, dei cantori e del teatro dopodiché, sdraiandosi voluttuosamente sul suo divano principesco, che sembrava quasi fluttuare nell’aria, divorava con avidità tutto ciò che poteva da quei mezzi di godimento.
Eppure, quasi morendo di dispiacere, eccolo gridare un’altra volta la stessa triste litania: «Tutto è vanità e tormento di spirito!». Questo indica che, in tutto questo, non aveva trovato altro che una folata d’aria che riesce a riempire una bolla per un solo attimo. E continuò: «Così divenni grande e superai tutti quelli che erano stati prima di me a Gerusalemme; la mia saggezza rimase essa pure sempre con me. Di tutto quello che i miei occhi desideravano io nulla rifiutai loro; non privai il cuore di nessuna gioia; poiché il mio cuore si rallegrava di ogni mia fatica, ed è la ricompensa che mi è toccata d’ogni mia fatica. Poi considerai tutte le opere che le mie mani avevano fatte, e la fatica che avevo sostenuto per farle, ed ecco che tutto era vanità, un correre dietro al vento, e che non se ne trae alcun profitto sotto il sole».
Quest’uomo saggio, onorato e ricco, passa da una coppa d’oro a un’altra, ma le allontana da sé non appena assaporate, essendo stato amaramente deluso. Dopo averle assaggiate, dirà infatti: «Nessuna cosa può soddisfare!», confermando quello che suo padre Davide aveva detto anni prima: «I leoncelli soffrono penuria e fame». Tutti i milionari terreni sanno bene per propria esperienza questa realtà.
Oggi, per vedere la fame più terribile, non dovete andare nei bassifondi, ma dove ci sono persone enormemente ricche. Andrew Carnegie disse che non esiste un solo miliardario contento e se lo diceva lui è vero! John D. Rockefeller ha confessato di aver ricevuto più soddisfazione quando guadagnò i suoi primi mille dollari che i successivi dieci milioni e forse oggi è l’uomo più insoddisfatto del mondo. Ogni uomo vuole essere appagato. Anche io e voi lo vogliamo. Tutti cercano di raggiungere la felicità, la pace, il riposo. Ci sono stati uomini prima di noi che hanno sperimentato molte cose, nella speranza di essere felici. Si sono arrampicati in alto e sono scesi negli abissi profondi, senza mai trovare ciò che cercavano. Ora, voi qui presenti siete sull’orlo dell’eternità.
Il passato è solamente un ricordo e il futuro è avvolto nell’incertezza. La vostra età non ha importanza, non conta se avete i capelli grigi e nemmeno quanto sostanzioso sia il vostro conto in banca. Forse c’è qualcuno fra di voi che è costretto ad ammettere: «Non ho trovato la felicità. Sono un fallito. La mia vita è stata tutta un fallimento. Tutto è vanità e un tormento di spirito!»
Ora, perché non fate gli uomini? Tirate fuori la forza di un uomo e prendete la croce del Figlio di Dio! Perché non vi levate per essere quello che potreste essere? Noi siamo stati creati per mangiare cibi succulenti, non per accontentarci della brodaglia e dei beveroni offertici dal diavolo. Perché permettete che egli vi controlli? Perché vi lasciate usare da lui come tante pedine, facendo il suo gioco? Perché spendete il vostro denaro per ciò che non è pane? C’è forse del pane nell’alcol? Domandatelo a quanti stanno spendendo tutto ciò che hanno in bevande alcoliche. Chiedetelo alle mogli, ai figli. Oh, per loro non c’è pane!
Ce n’è per chi vende alcol, non per chi lo compra.
Ma ritorniamo alla triste conclusione di Salomone: «tutto è vanità!».
Che vuol dire? Forse Salomone aveva disturbi gastrici, come molti uomini ricchi? Avete mai notato che ci vuole più sentimento religioso per far sorridere un dispeptico che per far gridare un uomo in buona salute? C’era qualcosa che non andava nel fegato di Salomone? Qual era il problema? Aveva tutti i guai del mondo o tutta la creazione era fuori posto? Non era riuscito a trovare alcun bene nelle cose a cui si era consacrato? Istruirsi non è quindi meglio che sprecare tempo nell’ozio? Avere il gusto del bello attira maledizione e non benedizione? Non c’è beneficio nell’apprezzare l’architettura, la musica o la scultura? La ricchezza, la sapienza e le alte sfere della società sono un male? Salomone, in realtà, era un miserabile, pur nutrendosi e vivendo lussuosamente? Egli affermò tante cose che contraddicono quello che poi dirà in un secondo momento, a proposito della vanità e del tormento di spirito: e allora, che vuol dire tutto questo?
Aspettate. C’è un particolare che proietta un po’ di luce sulla faccenda. Quando Salomone dice: «tutto è vanità!», aggiunge «sotto il sole», e questo ci fa capire da quale prospettiva trasse la sua conclusione. Quello che vediamo mentre passiamo per questa vita dipende sempre da quale punto osserviamo. Molti parlano come se stessero in cima a una montagna, manifestando però, con quello che affermano, di essere sommersi dal fango. Se un uomo vi dice che vendere alcol è una buona cosa per la nazione, saprete che sta osservando le cose con gli occhi del gestore di un bar e non con quelli di un padre che ha visto il proprio figlio diventare alcolizzato. Quando un uomo vi dice che non crede nelle missioni evangelistiche, vi accorgete che non ne sa di religione pura e incontaminata più di quanto ne sappia uno spazzino del candidarsi come presidente. Comprenderete da quale punto di vista un uomo sta parlando, dalla conclusione a cui è giunto.
Ora, conoscere il punto di osservazione di una persona ci fa sapere perché vede le cose che sostiene di vedere. Ecco perché Salomone disse: «Tutto è vanità e un tormento di spirito!»: perché stava osservando le cose stando «sotto il sole».
È un po’ come se uno volesse dire a cosa assomiglia un arcobaleno, stando a occhi chiusi in uno scantinato. Nel piccolo libro dell’Ecclesiaste, da cui è tratto questo verso, l’espressione «sotto il sole» ricorre almeno trenta volte, come se Salomone volesse far capire a tutti che quanto dice in quel libro, lo dice partendo da un punto di vista assai vile. Quel grande re aveva considerato le cose da un punto di vista meschino, carnale, edonistico e, guardate in questa ottica, le cose stanno effettivamente come diceva lui.
Togliete Dio, togliete la Bibbia, togliete l’ispirazione e la rivelazione, togliete la speranza di una vita migliore nel mondo a venire, eliminate ogni pensiero relativo alla risurrezione e sostituitelo con una eterna notte senza speranza: tutto ciò per cui vale la pena di vivere scomparirà. L’esistenza degli uomini più grandi e più saggi non è dunque migliore di quella di uno sciocco e avere i più ricchi beni del mondo equivale, come dice il profeta Isaia, a pascersi di cenere: meglio vivere che morire. Rimuovete tutto tranne quello che possiamo discernere per mezzo dei nostri sensi e tenete lontano da voi tutta la luce che proviene da una fonte più eccelsa del sole e il meglio che questa vita può offrirvi sarà peggio di nulla. Togliete da ogni uomo la scintilla divina che ci dice che Dio esiste e che c’è un aldilà e i suicidi si moltiplicheranno.
Cancellate ogni speranza dai cuori degli uomini e prevarrà l’angoscia. Se ci accingeremo a investigare i recessi dell’anima, scopriremo che nulla sotto il sole può soddisfarla. Salomone cominciò a realizzare questa grande verità solo quando si accorse che anche nelle cose più belle che il mondo poteva dargli, c’era solo delusione. Sotto il sole nulla dura per sempre, nulla si conserva e nulla può soddisfare. Nell’attimo in cui cominciamo a pensare di possedere qualcosa che duri per sempre, essa scompare. Ci piace ma la perdiamo. Tutto quello che abbiamo è nostro solo per un breve tempo e il dolore derivante dalla perdita è una ferita che non si rimargina mai. Non c’è felicità senza la speranza della certezza e nessuna fonte sotto il sole dura abbastanza da soddisfare lo spirito umano, che è immortale. Proprio questo fatto rivela che siamo degli spiriti in prigione, mentre ci troviamo sulla terra. Tutte le miniere d’oro del mondo non hanno mai dato abbastanza tesori da soddisfare l’uomo avido di denaro. Chi è assetato di onore e di grandezza non ne avrà mai a sufficienza e lo stesso può dirsi di tutto ciò per cui gli uomini si affaticano e lottano tra loro. Non c’è niente in questo mondo per cui valga la pena di vivere, a meno che, mentre viviamo in esso, non riusciamo ad avere più di quello che ci è rivelato dalla luce del sole.
Distruggendo la Bibbia e tutta la fede in Dio, potremmo anche mangiare, bere ed essere allegri e morire. Ma nulla di più, a meno che non ci vengano date le ali del mattino per salire più in alto del sole; infatti, cosa ne può sapere una talpa del sorgere del sole o un uomo in un buca della bellezza delle montagne? Tutti i paradisi che potremo costruirci escludendo Dio, saranno solo una piccola anticamera dell’inferno. In verità, senza Dio, senza la Sua rivelazione, senza la Bibbia e senza la speranza eterna, tutto è vanità e tormento di spirito.
Ma improvvisamente, ecco che Salomone distende le ali della fede e vola più in alto del sole. Cambiando il punto di osservazione, cambia anche la sua concezione della vita: adesso vede tutto con occhio più puro. Conosco un uomo che per problemi di vista, vede a stento da vicino. Un giorno, però, trovandosi su un aerostato, a oltre mezzo miglio di altezza, riuscì a vedere un uccello; così fu anche per Salomone, che arrivò a un punto in cui la sua fede si aggrappò solo a Dio. Ascoltate adesso cosa dice e vedete come si è allargato il suo orizzonte visivo: «tuttavia io so (se n’è accertato di persona) che il bene è per quelli che temono Dio, che provano timore in sua presenza».
Non parla più di vanità, perché ha finalmente imparato a valutare le cose da un punto di vista più alto del sole, come sempre accade anche per il più umile degli uomini che ha fede in Dio. Adesso Salomone può vedere che il bene fatto non si perde e che il pane gettato sulle acque verrà certamente ritrovato, anche se a distanza di tempo. Egli capisce che la sapienza è più vantaggiosa delle armi da guerra; oggi, diremmo che vale più il buon senso che la prepotenza.
Alla fine, Salomone chiude il libro dicendo: «Ascoltiamo dunque la conclusione di tutto il discorso: Temi Dio e osserva i suoi comandamenti, perché questo è il tutto per l’uomo. Dio infatti farà venire in giudizio ogni opera, tutto ciò che è occulto, sia bene, sia male». E in quello che fa Dio non c’è alcuna vanità.
Adesso voglio accennare brevemente a degli uomini che hanno guardato la vita secondo la giusta prospettiva. Fu questa visione che permise a Noè di costruire l’arca per centoventi anni, senza che ci fosse stato un solo lampo o una sola goccia di pioggia. Se avesse vissuto solo per quello che vedeva, non si sarebbe mai detto di lui: «fu uomo giusto, integro, ai suoi tempi; Noè camminò con Dio».
Anche Abramo fu un uomo la cui una fede guardò ben al di là di «sotto il sole». Egli cercava la «città che ha le vere fondamenta e il cui architetto e costruttore è Dio». Dalla sua bocca non sarebbe mai uscita una sola parola sulla vanità e sul tormento di spirito. Poi ci fu Mosè, uomo dotato di una visione che oltrepassò le nuvole e addirittura andò oltre il sole. Egli vide infatti che «gli oltraggi di Cristo» gli avrebbero procurato ricchezze più grandi e più durature dei tesori d’Egitto, che avrebbe potuto ottenere semplicemente tenendo le braccia conserte, senza fare nulla. Mosè stette fermo, come vedendo l’invisibile, e ciò lo agevolò a rifiutare di farsi chiamare figlio della figlia di Faraone. Non rimase a osservare «da sotto il sole» neanche quando, salutando il gran popolo che aveva condotto fuori dall’Egitto, disse «il Dio eterno è il tuo rifugio; sotto di te stanno le braccia eterne». Per poter affermare certe cose, un uomo deve avere una vista più lunga di quella che si può avere osservando le cose da «sotto il sole».
Non c’è allusione a questo fallace punto di osservazione neanche da parte del grande condottiero Giosuè, che disse «quanto a me e alla casa mia, serviremo il Signore»; espressioni come ″vanità″ e ″tormento di spirito″ non uscirono mai dalla bocca di quel grande e valoroso comandante. Anche Samuele, che disse «ubbidire è meglio del sacrificio» e Giobbe, che dichiarò «Ecco, mi uccida pure! Oh, continuerò a sperare» e «io so che il mio Redentore vive», mostrarono di guardare a cose che stanno più in alto del sole.
Esdra non ebbe lo sguardo alle cose terrene; ce ne accorgiamo dal fatto che si dedicò «con tutto il cuore allo studio e alla pratica della legge del Signore» e affermò «la mano del nostro Dio assiste tutti quelli che lo cercano; ma la sua potenza e la sua ira sono contro tutti quelli che l’abbandonano». La stessa cosa poté dirsi anche di Neemia allorché, ricostruendo le mura abbattute, disse «sto facendo un gran lavoro». Se lo avesse considerato da «sotto il sole», gli sarebbe apparso molto piccolo.
Analogamente Davide fu uno che guardava più in alto di «sotto il sole», se no, non avrebbe detto «L’angelo del Signore si accampa intorno a quelli che lo temono e li libera. Provate e vedrete quanto il Signore è buono! Beato l’uomo che confida in lui». Quanto a Daniele, la sua visione fu di gran lunga più nobile ed elevata di quella che si può avere «sotto il sole»; lo vediamo dal fatto che, gettato nella fossa dei leoni, vi andò con la stessa disinvoltura con la quale io andrei a pranzo.
Il punto di osservazione di Stefano, poi, si rivelò molto più elevato di qualunque luogo «sotto il sole», quando gridò «Ecco, io vedo i cieli aperti, e il Figlio dell’uomo in piedi alla destra di Dio» e, più tardi, quando affrontò la sua brutale morte avendo la luce del cielo impressa sul volto. Pure Paolo ebbe lo sguardo rivolto in alto. Altrimenti non avrebbe mai potuto dire «sappiamo infatti che se questa tenda che è la nostra dimora terrena viene disfatta, abbiamo da Dio un edificio, una casa non fatta da mano d’uomo, eterna, nei cieli». Fu così anche per Giovanni, il discepolo amato, che al termine della sua lunga ed operosa vita terrena, prese la penna ormai logora con la quale aveva scritto tante esortazioni, che continueranno a splendere anche quando le stelle si spegneranno, e scrisse quelle preziose parole che hanno brillato nei secoli « Vedete quale amore ci ha manifestato il Padre, dandoci di essere chiamati figli di Dio! E tali siamo. Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui».
Più tardi, ormai vecchio e recluso sull’isola di Patmos, poco prima di lasciare questa vita e andare per sempre col Signore, Giovanni ebbe un’altra visione di cose infinitamente più alte del sole. Prese un’altra volta la penna e scrisse «Poi vidi il cielo aperto, ed ecco apparire un cavallo bianco. Colui che lo cavalcava si chiama Fedele e Veritiero; perché giudica e combatte con giustizia … Era vestito di una veste tinta di sangue e il suo nome è la Parola di Dio … E sulla veste e sulla coscia porta scritto questo nome: RE DEI RE E SIGNORE DEI SIGNORI».
Giuda guardò le cose della vita da un punto più elevato di «sotto il sole», perché dichiarò con fiducia incrollabile «A colui che può preservarvi da ogni caduta e farvi comparire irreprensibili e con gioia davanti alla sua gloria»!
Infine, a tacere di tanti altri, quanto più al di sopra del sole era il punto di osservazione di Gesù, che disse «Il vostro cuore non sia turbato; abbiate fede in Dio, e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio ci sono molte dimore; se no, vi avrei detto forse che io vado a prepararvi un luogo? Quando sarò andato e vi avrò preparato un luogo, tornerò e vi accoglierò presso di me, affinché dove sono io, siate anche voi». E in un secondo tempo, quando, dopo aver sopportato l’infamia della croce e del sepolcro, risorse dai morti, il Suo occhio rimase fisso su ciò che è infinitamente più in alto del sole, perché dichiarò: «Ogni potere mi è stato dato in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate miei discepoli tutti i popoli battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutte quante le cose che vi ho comandate. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine dell’età presente».
Grazie siano rese a Dio poiché verrà certamente il tempo in cui la nostra visione non rimarrà più ristretta a «sotto il sole», ma si eleverà e noi saremo innalzati insieme a Colui nel quale abbiamo creduto, al di sopra di principati, potenze, dominatori di questo mondo di tenebre, e saremo eternamente con Lui nei luoghi celesti, dove non vedremo più come in uno specchio, in modo confuso, ma faccia a faccia, e dove conosceremo come siamo stati conosciuti.
Da: Chiesadiroma.it
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