Sorveglianza genomica per il controllo totale: il mondo orwelliano del PCC

A partire dallo Xinjiang e dal Tibet il governo cinese intende raccogliere il DNA e altri dati biologici di tutti i cittadini. Certo, può servire a risolvere crimini rimasti insoluti, ma pure a perseguitare più efficacemente dissidenti e minoranze etniche

di Ruth Ingram

Libro Genomic Survelliance

Come è andata nello Xinjiang

«Esami medici gratuiti per tutti! Perché questa riluttanza?». Il leader della comunità di Kashgar non riusciva a capire perché chiunque si trovasse assiepato nella piazza, davanti a lui, non cogliesse al volo l’opportunità di assicurarsi l’ultimo degli omaggi offerti dal Partito. Le persone non volevano forse sapere quali bombe a orologeria mettevano a rischio la loro vita e ticchettavano dentro di loro? Avrebbero dovuto essere riconoscenti, ha detto loro.

Era il maggio 2017, durante la campagna del PCC finalizzata a setacciare qualsiasi possibile marcatore biologico fra i cittadini dello Xinjiang. Analisi del sangue, tipizzazione dei tessuti, scansione dell’iride, prelevamento del DNA e persino riconoscimento facciale, della voce e dell’andatura venivano offerti alla folla di 500 persone raccolta per la levata obbligatoria del lunedì mattina. Non avrebbero dovuto esitare, ha detto.

E tre anni più tardi, con il senno di poi, si conoscono le conseguenze della riluttanza o del non aver acconsentito. E si sa anche, sempre con il senno di poi, che entro l’ottobre 2017 sono stati raccolti dall’intera popolazione dello Xinjiang 23 milioni di campioni di dati biologici, con finalità che sono ancora oggetto di congetture.

Il database di DNA più grande del mondo

Pechino ha prelevato il DNA dai criminali, per creare un database utile alle indagini della polizia scientifica, sin dal 2003, ma la raccolta indiscriminata da quasi tutta la popolazione della Regione autonoma del Tibet, sotto le mentite spoglie di checkup annuali gratuiti, è stata denunciata per la prima volta da Human Rights Watch nel 2013.

Ma Pechino ha fatto ora un ulteriore passo avanti. Non contenta di aver mappato agevolmente le regioni cosiddette problematiche, sono emerse nuove scoperte che mostrano nel dettaglio il piano che mira a registrare l’intera popolazione maschile della Cina. Con il prelevamento dei campioni di DNA da milioni di uomini e ragazzi che non hanno mai commesso alcun crimine, il PCC dimostra di essere sulla via di qualcosa di più ampio e onnicomprensivo, ma anche illegale, persino in base alle leggi del Paese.

Un nuovo rapporto, intitolato Genomic Surveillance, Inside China’s DNA Dragnet («La sorveglianza genomica, nella trappola cinese del DNA»), che rivela i segreti di questo piano inquietante, è stato pubblicato dall’Australian Social Policy Institute (ASPI) e accusa Pechino di violare le leggi interne del Paese e le norme generali dei diritti umani, fatto che, afferma il rapporto, «aumenterà il potere dello Stato cinese e consentirà ancor di più la repressione interna, nel nome del mantenimento dell’ordine e del controllo della società».

Si stima, ed è inquietante, che l’insieme dei dati genomici raccolti dal regime cinese costituisca ad oggi il più grande database di DNA del mondo, con più di 100 milioni di profili, anzi verosimilmente addirittura 140 milioni. E pare che non se ne veda la fine.

Con un piccolo aiuto da parte degli amici all’estero

Gli autori, James Leibold (professore associato e capo del dipartimento di Politica, Media e Filosofia nella Trobe University e senior fellow non residente nell’ASPI) ed Emile Dirks (aspirante dottore di ricerca in Scienze politiche nell’Università di Toronto), puntano i riflettori anche sulle aziende straniere che si occupano di biotecnologie e che cavalcano la tigre di tale pratica redditizia, che vale più di 1 miliardo e 400mila dollari statunitensi, cosa che, avvertono, li renderebbe complici di una serie di violazioni dei diritti umani.

Il report ha evidenziato il ruolo della Thermo Fisher Scientific, con sede negli Stati Uniti d’America, nella vendita dei kit per i test, e di importanti compagnie cinesi come la AGCU Scientific e la Microread Genetics. «Tutte queste aziende», afferma il rapporto «hanno la responsabilità dal punto di vista etico di assicurarsi che i loro prodotti e procedure non violino i diritti umani fondamentali e le libertà civili dei cittadini cinesi».

«Questo rapporto dell’ASPI fornisce la prima analisi completa del database di DNA in uso alla polizia scientifica del governo cinese e della stretta collaborazione nella sua creazione fra aziende cinesi e multinazionali e la polizia cinese», sostiene ancora il report. Attingendo a più di 700 documenti di dominio pubblico, fra cui gare e ordini d’appalto del governo cinese, post su Weibo e Weixin (WeChat) delle varie sedi dell’Ufficio per la sicurezza pubblica, servizi giornalistici su notizie interne, post sui social media, documenti aziendali e materiali promozionali, questo rapporto fornisce «nuove prove di come il programma ben documentato di bio-sorveglianza sperimentato nello Xinjiang stia per essere lanciato in tutta la Cina, consentendo al regime cinese di incrementare ulteriormente il controllo sulla società, mentre viola le libertà umane e civili di milioni di cittadini».

Le ragioni del pericolo

«L’impiego del DNA nelle indagini della polizia scientifica potenzialmente risolve i crimini e salva delle vite; però se ne può fare anche un uso improprio e favorire un’applicazione della legge in senso discriminatorio e un controllo politico di tipo dispotico», spiega il rapporto, esprimendo turbamento profondo per le implicazioni delle scoperte fatte.

«Nel sistema totalitario cinese del partito unico, non vi è distinzione fra la lotta al crimine da parte della polizia e la repressione del dissenso politico», continua il report. Un database nazionale dei campioni, gestito dal Ministero per la sicurezza pubblica, connesso a documenti familiari dettagliati per ciascun campione, «avrebbe un impatto agghiacciante non solo sui dissidenti, sugli attivisti e su chi appartiene a minoranze etniche e religiose, ma anche sui loro parenti».

Dopo la campagna di test su larga scala realizzata in Tibet e nello Xinjiang, alla fine del 2017 si è annunciato un sistema più vantaggioso dal punto di vista economico, ma altrettanto efficace, con cui i cittadini maschi selezionati sono stati scelti per il loro DNA. Sulla scorta di un caso di cui ha riferito The Wall Street Journal nel 2017, quando l’omicidio di due negozianti uccisi nove anni prima a Qianwei è stato risolto raccogliendo il DNA di migliaia di studenti e usandolo per identificare i tratti biologici in comune con i loro consanguinei, è stato ideato un sistema ridimensionato di prelevamento del DNA.

In origine, il piano era di sottoporre al test tutti i 130mila abitanti del borgo, ma la polizia ha deciso di evitarlo per via della possibile opposizione da parte della popolazione e dei costi proibitivi. «Rendendosi conto che il DNA era ereditario», ha scritto il WSJ «l’amministrazione ha stabilito che quanto occorreva erano i campioni di ciascun clan della zona, la maggior parte dei quali aveva almeno un bambino che frequentava la scuola.»

Tale approccio mirato rileva i dati Y-STR, cioè lo “short tandem repeat” o sequenze univoche di DNA che sono presenti nel cromosoma maschile, identificato con Y. Quando questi campioni vengono collegati agli alberi genealogici creati dalla polizia, si verifica la possibilità di legare qualsiasi campione proveniente da un maschio non identificato a una famiglia in particolare e addirittura al singolo individuo.

Il rapporto stilato dall’ASPI documenta centinaia di missioni condotte dalla polizia per raccogliere i dati sul DNA in 22 delle 31 zone amministrative cinesi (escludendo Hong Kong e Macao) e in più di un centinaio di comuni, tra la fine del 2017 e l’aprile 2020.

Coinvolti anche i bambini

Si sono visti funzionari raccogliere per i test i bambini dell’asilo, gli scolari ai banchi di scuola, i lavoratori migranti e i contadini che lavoravano in zone montane remote. «La portata e la natura di tale programma sono sbalorditivi», affermano gli autori, che hanno descritto nel dettaglio gli sforzi strenui profusi dal regime cinese a partire dalla fine del 2017 per raccogliere i campioni dal 5-10% della popolazione maschile del Paese, approssimativamente 35-70 milioni di persone. I cittadini comuni non possono opporsi e non hanno modo di dire nulla rispetto all’uso che viene fatto dei propri dati genomici.

Emile Dirks, descrivendo la compilazione del rapporto da parte sua come un lavoro principalmente investigativo «che ha scrutato gli angoli bui» dei siti web del governo cinese, ha tratto la conclusione che i documenti inerenti al progetto sul DNA non fossero destinati a essere resi noti al mondo. «La Cina su questo argomento sta mantenendo un basso profilo», ha affermato durante un webinar tenutosi di recente per presentare il rapporto dell’ASPI. I report sulla raccolta del DNA erano rivolti in primo luogo ad un pubblico locale, a livello di villaggi e città, ha precisato lo studioso. Il co-autore, James Leibold, ha espresso il pensiero che il silenzio del PCC fosse «degno di interesse». «Abitualmente il Partito è subito pronto a criticare l’ASPI», ha affermato. «Sembra che questo programma sia stato portato avanti a livello locale e in modo furtivo», ha concluso. «Forse erano preoccupati che fosse rifiutato». In modo più sinistro, sembra piuttosto che Pechino stia cercando di portare a termine il progetto prima di ammetterne l’esistenza e prima che i cittadini cinesi e il mondo intero apra gli occhi su ciò che sta accadendo, ha affermato.

Un nuovo problema a livello internazionale

Secondo un’email inviata al WSJ, la Thermo Fisher era fiduciosa di poter «garantire adeguatamente la privacy delle singole persone, tenendo in equilibrio in modo corretto la sicurezza pubblica e le necessità di tutela nazionale da parte del governo». Ma Dirks, autore del rapporto, era in dubbio se ciò fosse possibile, poiché il materiale raccolto è condiviso con il database della polizia centrale cinese, ha affermato. Nulla è privato.

Una preoccupazione grave è rappresentata dal fatto che il successo della Cina nel raccogliere i dati sarà un incitamento al resto del mondo per fare altrettanto, unilateralmente e forzosamente, nelle comunità più vulnerabili e marginalizzate. Gli Stati Uniti, Il Regno Unito e il Kuwait hanno già messo un piede oltre la soglia e Thailandia, Malaysia e India stanno tutte contemplando di fare lo stesso.

«Si avverte che la questione della sorveglianza genomica sta per diventare uno dei problemi etici distintivi del ventunesimo secolo», ha chiosato Dirks, affermando che fosse un tema che si estende anche al di fuori della Cina. Ma in Cina l’assenza di partiti politici d’opposizione, di una magistratura indipendente, di stampa libera e di una società civile solida, ha aggiunto, hanno reso la situazione più critica. Lo studioso ha esortato la società civile occidentale a farsi avanti in nome dei cittadini cinesi, a parlare chiaramente degli abusi e a promuovere la discussione pubblica in proposito.

James Leibold ha fatto notare che, a esclusione dei pochi accordi delle Nazioni Unite, stringati e abbozzati, l’assenza di regole stringenti che vincolino chi detiene dati genetici permette alla Cina di evitare le norme generali. Se la società civile al di fuori della Cina resta in silenzio, il PCC diventerà la cartina di tornasole per il trattamento dei dati biologici.

«Tutto ciò si sta sviluppando piuttosto rapidamente sotto i nostri occhi», ha aggiunto. «Senza un chiaro senso di una barriera o di quali siano i limiti, la Cina ha la possibilità di sbaragliare tali barriere»

Una bacchetta magica per sbrogliare i crimini irrisolti, oppure qualcos’altro?

Gli autori del rapporto hanno dei dubbi sulle motivazioni di chi si occupa di raccogliere il DNA. Ben lontano da essere una bacchetta magica per dipanare crimini rimasti irrisolti, i due vi sospettano un progetto che desta maggiore preoccupazione.

«Lo Stato cinese ha una lunga storia di minacce e violenze ai danni delle famiglie dei bersagli del regime, finalizzate a neutralizzare l’opposizione al Partito Comunista», scrivono i due studiosi, citando i documenti che sono trapelati e che hanno ottenuto dal Consorzio internazionale dei giornalisti investigativi e da The New York Times, documenti che rivelano come nello Xinjiang la raccolta da parte delle autorità sui familiari dei detenuti nei campi di rieducazione della regione e lo stesso rilascio del detenuto sia subordinato al comportamento dei parenti al di fuori dei campi. «La repressione ai danni dei familiari arriva ben oltre lo Xinjiang. I genitori e i figli di noti avvocati che lottano in favore dei diritti umani e i fratelli di chi anche all’estero esprima critiche nei confronti del governo vengono regolarmente arrestati e torturati dalla polizia cinese», concludono.

Continuando il discorso, «obbligando la famiglia di un dissidente a pagare il prezzo per l’opera di attivismo di un parente, questa tattica accresce efficacemente il costo della resistenza. Un database Y-STR, gestito dalla polizia, che contiene campioni biometrici e l’albero genealogico dettagliato di tutte le famiglie cinesi in linea patrilineare, serve verosimilmente per aumentare la repressione da parte del regime ai danni dei familiari dei dissidenti e a compromettere ulteriormente i diritti civili e umani dei dissidenti e delle comunità minoritarie».

La consapevolezza che i ricercatori cinesi sono sempre più interessati alla fenotipizzazione del DNA a uso della polizia scientifica ha evidenziato un pericolo maggiore per le minoranze che si trovano nel mirino del PCC. Gli autori del rapporto ASPI hanno scoperto che gli scienziati cinesi, attraverso l’analisi delle caratteristiche bio-geografiche di un campione ignoto, per esempio il colore di capelli e di occhi, la pigmentazione della pelle, la localizzazione geografica e l’età, sono in grado di determinare se tale campione appartenga a una persona uigura o tibetana, fra gli altri gruppi etnici. Gli scienziati stanno utilizzando tali metodi per aiutare la polizia cinese a prendere di mira la popolazione appartenente a minoranze etniche per una sorveglianza maggiore, mentre aziende cinesi e straniere fanno a gara per fornire alla polizia gli strumenti per fare il suo lavoro, afferma il rapporto.

«Un database nazionale, che contenga le informazioni genetiche di decine di milioni di comuni cittadini cinesi, è un chiaro sviluppo dell’autorità, già priva di controllo, del governo cinese e del Ministero per la sicurezza pubblica», affermano gli autori con preoccupazione. «I cittadini cinesi sono già sottoposti a un controllo pervasivo. Anche al di fuori di Tibet e Xinjiang, in tutta la Cina le persone religiose e chi presenti istanze di qualche tipo vengono inseriti nei database della polizia per tracciare i loro movimenti, mentre le telecamere di sorveglianza si sono diffuse in tutto il Paese, sia in campagna sia in città. La diffusione della raccolta obbligata di dati biometrici accresce semplicemente il potere del regime nel violare i diritti umani dei cittadini».

di Ruth Ingram | it.bitterwinter.org

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