Ora che contro di loro non c’è un capo d’imputazione né un tribunale che debba giudicarli né una polizia che conduca le indagini sui fatti del 15 febbraio 2012, dei marò si preoccupano tutti. Può sembrare paradossale ma la decisione del tribunale speciale indiano di rinviare la prossima udienza al 31 luglio dopo aver preso atto della sospensione del procedimento penale deciso recentemente dalla Corte suprema sembra aver finalmente aperto gli occhi a tutti e non solo in Italia.
Le Commissioni Esteri e Difesa della Camera hanno esaminato oggi una petizione presentata online e sottoscritta da oltre diciottomila cittadini in merito ad iniziative a tutela dei fucilieri di Marina, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. Come ha evidenziato il relatore sulla petizione e presidente della Commissione Difesa, Elio Vito, “la petizione riveste alto valore simbolico esprimendo il clima di preoccupazione e i sentimenti di solidarietà diffusi nel Paese per la sorte dei due connazionali, che si trovano in India in uno stato di detenzione protratto ormai da oltre due anni”. L’Italia ha coinvolto nella vicenda Nato e Ue, anche in vista del semestre italiano di presidenza dell’Unione, ma senza risultati apprezzabili sul fronte delle pressioni sull’India se il tribunale di Nuova Delhi si è preso addirittura 4 mesi per una nuova udienza, salvo nuovi rinvii.
Una decisione che conferma due punti chiave della vicenda che vede i due militari italiani sospettati (il termine accusati oggi non può più essere utilizzato mancando un’incriminazione ufficiale) di aver ucciso due pescatori indiani. Il primo punto è che la giustizia indiana in 26 mesi non ha prodotto nulla: non è riuscita a incriminarli, né a istituire un tribunale per processarli e, come abbiamo spesso sottolineato, non ha nessuna prova contro di loro che possa reggere in un dibattimento. Ciò nonostante gli indiani continuano a obbligare Latorre e Girone a restare a Delhi e l’Italia continua ad accettare un sopruso ormai intollerabile. Il secondo punto è infatti che l’India continua ad avere l’arrogante certezza di poter continuare a prendere a calci nel sedere Roma senza rischiare neppure la rottura dei rapporti commerciali o delle relazioni diplomatiche.
Certo il governo Renzi ha fatto sapere che ci si muove verso la richiesta di arbitrato internazionale, ma in realtà l’inviato Staffan De Mistura ha detto che in tal senso sono stati mossi solo i primi passi. Insomma, una “mezza iniziativa”. Se l’obiettivo di questo annuncio era intimidire gli indiani la missione è fallita miseramente: a Nuova Delhi se ne fregano benché la rinuncia a processare Latorre e Girone in base alla legge antiterrorismo Sua Act abbia privato gli indiani dell’unico appiglio legale utile a perseguire i due militari per un fatto accaduto fuori dal territorio indiano. Per questo il rinvio a fine luglio conferma il tono politico e non certo giudiziario del caso-marò. Entro la fine di luglio infatti non solo si saprà chi ha vinto le elezioni ma sarà probabilmente già in carica il nuovo governo.
Se, come sembra probabile, vinceranno i nazionalisti indù occorrerà vedere se i toni accesi contro i “privilegi” ottenuti dai marò (domicilio in ambasciata e licenze in Italia) denunciati dal leader del partito Narendra Modi rispondono a un atteggiamento anti-italiano o solo all’esigenza elettorale di colpire Sonia Gandhi, leader del partito del Congresso, per le sue origini italiane. Se invece tornerà al governo il Partito del Congresso vedremo se riuscirà a decidere come muoversi, considerato che finora i marò hanno fatto litigare ben quattro ministri dell’attuale esecutivo.
A Roma ci si preoccupa giustamente della sorte dei due marò ma il sospetto è che si attenda l’esito delle elezioni per negoziare con i vincitori una soluzione diplomatica, rinunciando ancora una volta ad alzare la voce. Eppure gli sviluppi vergognosi della vicenda giudiziaria hanno fatto indignare qualcuno persino in India, anzi proprio in Kerala. “È scandaloso che questo caso si sia prolungato per oltre due anni” ha detto lunedì all’ANSA l’ex diplomatico indiano e candidato del partito del Congresso, Shashi Tharoor.
Il politico, ministro uscente del governo di Manmohan Singh, ha aggiunto che i ritardi “sono dovuti alla lentezza del sistema giudiziario indiano” ma Tharoor, candidato in Kerala dove si è votato il 10 aprile, ha aggiunto di “essere fiducioso che il prossimo governo troverà una soluzione”. Tharoor sembra dare per scontata la riconferma del suo partito ma la cosa grave è che l’ex ministro ammetta davanti a media italiani che il caso marò non dipende dalla giustizia ma dalla politica, dal governo indiano. Ancor più grave che a Roma nessuno lo abbia fatto notare o se ne sia lamentato.
Fonte: http://www.lanuovabq.it/
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