Ma cosa sta succedendo alla neutrale, piccola (otto milioni d abitanti), ridente Svizzera? Senza proclami o dichiarazioni politiche si sta chiudendo al mondo musulmano.
Questo nonostante da sempre il turismo del mondo islamico abbia un proprio valore economico, vedi Lugano e le stazioni sciistiche. In un Palazzo delle Orsoline blindato con metal detector e controlli all’entrata, il Gran Consiglio ticinese ha infatti dato la propria approvazione alla legge anti-burqa, la stessa che da cinque anni è in vigore in Francia. Ma con un importante distinguo.
Infatti, la nuova legge del Canton Ticino è il risultato di un referendum popolare di due anni fa, in cui i cittadini ticinesi hanno votato contro la dissimulazione del volto negli spazi pubblici (il 65,4%), salvo per rispetto alla legge, come ad esempio l’obbligo di indossare il casco alla guida dei mezzi a due ruote. Eventuali infrazioni saranno punite con sanzioni pecuniarie fino a diecimila franchi. Il consigliere di Stato Norman Gobbi della Lega del Ticino ha specificato una data per l’entrata in vigore: primo aprile 2016. La sua applicazione sarebbe affidata ai Comuni sul modello francese, ma in molti hanno protestato per l’esiguità degli organici delle polizie comunali.
La notizia di questa nuova legge è uscita dal Gottardo e i media romandi, oltre a quelli svizzeri-tedeschi, hanno auspicato che la normativa si estenda all’intera Svizzera, per misure di sicurezza davanti alla minaccia terroristica del fondamentalismo islamico. «In un Paese libero si esprime la propria opinione senza celare il viso, da persona libera, faccia a faccia», ha scritto Ticinonews. E il Tages Anzeiger ha sottolineato: «Nessuna eccezione per le turiste». Un dato: la popolazione musulmana in Svizzera è più che quintuplicata dal 1980 e oggi si avvicina alle 400.000 persone, cioè circa il 5% degli abitanti. La maggior parte arriva da Turchia e Balcani, in misura inferiore dal mondo arabo. Questa nuova realtà provoca spesso tensioni, anche a causa della combattività politica dei musulmani. Per esempio, nel 2011 rappresentanti della comunità islamica di immigrati svizzeri hanno chiesto al governo di togliere dalla bandiera elvetica la tradizionale croce greca in campo rosso, giudicata discriminatoria verso la altre religioni.
La nuova legge anti-burqa è l’ultima di una serie di decisioni che riguardano il mondo islamico. Nel2009, ad esempio, i cittadini svizzeri si sono pronunciati contro la costruzione di nuovi minareti. Il referendum sulla proposta di modifica della legge promosso dalla destra conservatrice ha visto prevalere i sì con il 57,5%: solo in quattro Cantoni su ventisei la proposta referendaria è stata respinta (Ginevra, Vaud, Neuchatel e Basilea). «I musulmani non hanno ricevuto solo una sberla, ma addirittura un pugno in faccia», il commento il presidente dei Verdi, secondo il quale il risultato fu l’esito di una campagna che fece leva sui pregiudizi. (I sondaggi avevano invece previsto una maggioranza pro-minareti del 53%). Fu critico anche il commento della Conferenza dei vescovi svizzeri: «Un ostacolo sulla via dell’integrazione e del dialogo interreligioso nel mutuo rispetto».
Ma c’è di più riguardo alla chiusura della Svizzera nei confronti del mondo islamico: se la situazionepolitica internazionale dovesse aggravarsi sul fronte immigrazione e terrorismo, la Confederazione elvetica è pronta a schierare l’esercito, inviando ottocento soldati ai propri confini. Ne ha parlato per primo il ministro della Difesa Ueli Maurer, seguito a ruota dal capo dell’esercito elvetico Andrè Blattmann e da un’esercitazione nella regione di Basilea. Decisioni che condizioneranno il futuro della vita politica, economica e sociale svizzera: nel 2013 l’export verso i Paesi islamici ha costituito il 7% del totale, specialmente nei settori dell’orologeria, farmacie, turismo e naturalmente banche. Tutti chiari segnali contro quello che i partiti conservatori svizzeri definisco il pericolo islamico.
di Elisabetta Broli | Lanuovabq.it
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