Gli ambienti Lgbt presentano talune contraddizioni evidenti. Da un lato si tende a continue e severe recriminazioni quando non sarebbero rispettati certi “diritti”. Diritti che il cittadino ha (o non ha) in base alla Costituzione e non in base all’orientamento sessuale.
Al contempo però, certe sigle sono sempre in pole position per cercare visibilità, pubblicità, sostegni e militantismo facile. Onnipresenti in Tv, nei salotti e sui social, senza però deporre mai il ricatto della “ingiusta discriminazione” patita. Nell’Italia del 2023 non c’è giorno che non si parli di questa minoranza, mentre si tace su altre minoranze non meno degne di attenzione: come gli anziani, i bambini e le persone con Sindrome di Down o con disabilità, i disoccupati, i senzatetto, etc.
Agedo, una «associazione di genitori, parenti e amici di persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender», dà un esempio di quanto sopra visto. Da un lato recrimina di trovarsi in un momento storico, «in cui i diritti delle famiglie omogenitoriali sono duramente attaccati dalla maggioranza al governo del Paese». Il che, comunque si interpreti la frase, è falso. Dall’altro esulta per essere stata coinvolta nell’ennesima iniziativa fatta apposta per dare visibilità a certe istanze.
In questo caso si tratta di una ricerca, finanziata da Fondazione Cariplo e guidata dall’Università di Trento e l’Università Bocconi di Milano. L’oggetto della ricerca è quasi uno slogan. Si vorrebbe «indagare il contributo che le famiglie non tradizionali possono apportare alla crisi demografica”».
Chissà se questo prezioso contributo sarà uguale o perfino superiore a quello offerto al Paese dalle “famiglie tradizionali”. E chissà cosa accadrebbe se la massa di soldi pubblici regalati ad eventi come il Pride fossero invece destinati alle coppie giovani per mettere su famiglia, o alle famiglie numerose già esistenti per sbarcare il lunario.
Ci si permetta un quesito al limite della blasfemia: ma le “famiglie non tradizionali”, come le chiama Agedo, non dovrebbero essere biologicamente sterili? Secondo Agedo è irrilevante. Ed anzi l’Università di Trento starebbe studiando «le intenzioni di avere figlɜ e la percezione delle barriere giuridiche alla genitorialità LGBTQ+».
Scrivere però figlɜ ci pare incongruo e ideologico. O si usa il tradizionale maschile plurale, che nell’uso comune e letterario non ha mai escluso le donne, ma le ha incluse. O si usa l’espressione aggiornata di figli e figlie. Cosa vuole sottintendere quel brutto neologismo? Che il sesso sarà deciso in seguito, perché il bambino nascerebbe asessuato o gender fluid?
Bastano dettagli del genere a volte a rivelare i retropensieri di chi si ammanta di nobili imprese a tutela di presunti “diritti”. La stessa Agedo, nel medesimo post, parla tranquillamente della tragedia dell’utero in affitto. La quale, molto meritoriamente il governo Meloni, con il sostegno esplicito di larga parte dell’ambiente femminista, sta cercando di mettere al bando per sempre.
Qui invece, a proposito dei “diritti delle coppie omogenitoriali”, si fanno incontri su “Omogenitorialità e gestazione altruistica e solidale” e si citano articoli sul tema della “Gestazione Per Altri”. Il che, più che un argomento di dibattito, dovrebbe essere un reato da combattere. I bambini infatti non si vendono, non si comprano, e neppure si procreano per “donarli” generosamente agli amici.
Nella stessa vena, Arcigay esulta per un’altra indagine, che stavolta ha per origine un ente della massima importanza, l’Agenzia dell’Ue per i diritti fondamentali. Scopo dell’indagine sarebbe quello di «raccogliere le esperienze, le opinioni e le preoccupazioni delle persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender, intersex e queer (LGBTQIA+) che vivono in Europa».
Si potrebbe far notare che ogni indagine, per essere autorevole e scientifica, deve avere un oggetto chiaro. Ma nulla c’è di chiaro circa la definizione di persone “queer” o “intersex”. Secondo Arcigay, inoltre, l’indagine servirà per «modellare le future politiche europee intese a proteggere e promuovere i diritti della comunità LGBTQIA+». E’ giusto “modellare” la politica in base ai desideri di una minoranza, infima e turbolenta?
L’inchiesta coinvolgerà i cittadini, udite udite, «dai 15 anni in su», che vivono nei 27 paesi dell’Unione Europea, più Albania, Serbia e Macedonia del Nord. Ed è la stessa Agenzia promotrice ad invitare «vivamente tutta la comunità LGBTQIA+ europea a prendere parte all’indagine e a condividere l’iniziativa con familiari e amici». La partecipazione sarà attraverso un questionario, in totale anonimato, il che è un altro segno di poca scientificità.
Insomma, attraverso ricerche e indagini, promosse con grandi spese e annessa propaganda da enti pubblici come l’Ue o privati, come le università, si sostiene la causa Lgbtq. Come se fosse la priorità in un contesto di inverno demografico, disoccupazione, crisi educativa e ambientale, e molti altri problemi economici e sociali.
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