C’è un aspetto taciuto, forse per pudore, che nei giorni in cui si commemorano gli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001: a Idlib, in Siria, i governi occidentali stanno palesemente appoggiando la causa dei ribelli. Che sono, in maggioranza, membri di Al Qaeda. In loro difesa potrebbe intervenire anche la pacifista Germania.
C’è un aspetto taciuto, forse per pudore, che nei giorni in cui si ricorda il diciassettesimo anniversario degli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001, avrebbe meritato di essere dibattuto in tutto l’Occidente. Oggi, 6.212 giorni dopo l’attacco terroristico più devastante mai effettuato, statunitensi ed europei sono i migliori alleati di al-Qaeda e di altri gruppi jihadisti spalleggiati dalle monarchie sunnite del Golfo Persico.
Un paradosso che dovrebbe risultare inaccettabile, specie tenendo conto che la minaccia del terrore di matrice islamica incombe anche oggi su Europa ed Usa, eppure è quello che si riscontra in modo sempre più evidente in Siria, dove le truppe di Assad appoggiate da russi e iraniani si accingono ad attaccare l’ultima roccaforte dei ribelli nella provincia di Idlib. Una “sacca” in cui sono concentrati oltre 2,5 milioni di siriani e, si stima, 10/15 mila combattenti per lo più aderenti Tharir al-Shaam (ex Fronte al-Nusra, braccio di al-Qaeda in Siria) le cui milizie controllano il 60% del territorio a Idlib. La liberazione dell’ultimo lembo di territorio siriano controllato dai jihadisti è una sciagura dell’Occidente che sta attuando ogni misura di deterrenza per impedire l’offensiva russo-siriana, inclusa la minaccia di nuovi raid aerei come quelli scatenati nell’aprile scorso, se il regime siriano dovesse impiegare armi chimiche.
L’intelligence di Mosca ha raccolto da settimane le prove che i ribelli jihadisti stanno organizzandosi con l’appoggio di contractors britannici per effettuare un attacco a base di cloro (o simularlo) i civili da attribuire ai jet di Damasco per giustificare un intervento militare che darebbe man forte ai qaedisti assediati. Del resto Assad non avrebbe alcun vantaggio né politico né militare, ad impiegare armi chimiche a Idlib, così come non lo aveva sei mesi or sono a Douma, nella regione di Ghouta. Lo schieramento al fianco dei qaedisti spiega perché l’Europa non stia facendo nulla di concreto contro il terrorismo (jihadisti scarcerati in massa e foreign fighters lasciati a spasso) né contro l’estremismo o l’immigrazione islamica dilaganti.
L’11 settembre, nell’anniversario degli attacchi a New York e Washington, il presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani ha detto che “dobbiamo impedire che la Siria sia distrutta dalla guerra civile”. Un invito che giunge in ritardo di almeno cinque anni, ma l’obiettivo si sarebbe potuto raggiungere se Europa e Usa non si fossero schierati con i jihadisti. I temi utilizzati dai leader occidentali per giustificare il loro aiuto ai tagliagole islamici sono quasi comici. Mike Pompeo, Segretario di Stato Usa, ha dichiarato nei giorni scorsi che i russi hanno ragione a dire che a Idlib ci sono i terroristi ma “devono combatterli senza mettere a rischio la vita di civili innocenti”. Come hanno fatto gli Usa in ogni Stato dove sono intervenuti in armi? Da quale pulpito viene la predica, tenuto conto che solo la campagna aerea condotta con i droni dal Sahel alle Filippine avrebbe ucciso secondo le stime oltre 4mila persone inclusi molti “danni collaterali”. Solo nella battaglia di Mosul sarebbero centinaia i civili colpiti per errore dai raid aerei della Coalizione: Pompeo ammonisce i russi ma allo stesso tempo, ha “certificato” che i militari sauditi e degli Emirati Arabi Uniti (stretti alleati di Washington) in Yemen “prendono misure evidenti per ridurre il rischio contro i civili nel quadro delle loro operazioni militari”. Insomma, per Pompeo, solo le bombe russe rischiano di uccidere civili innocenti.
La pensa così anche il ministro degli Esteri francese, Jean Yves Le Drian, per il quale qualsiasi attacco portato con armi chimiche a Idlib avrà “le stesse conseguenze dell’aprile scorso” mentre l’offensiva siriana “rischia di disperdere migliaia di foreign fighters all’estero, mettendo in pericolo l’Occidente”. Chissà perché timori simili non sono stati espressi anche in occasione delle offensive della Coalizione contro l’Isis a Raqqa e Mosul a cui hanno preso parte anche i militari francesi e britannici e che hanno determinato il crollo dello Stato Islamico e il ritorno in Europa di molti foreign fighters?
Ultimo ma non per importanza, tra gli amici occidentali di al-Qaeda e degli altri miliziani jihadisti (forse incoraggiati a percorrere questa strada dalla pioggia di petrodollari investita dalle monarchie arabe del Golfo sull’economia europea) c’è la Germania in cui si discute animatamente di partecipare ai raid aerei anglo-franco-americani che verranno scatenati sulla Siria, se (ma ormai dovremmo dire “quando”) si registreranno attacchi con armi chimiche. Il partito socialdemocratico si definisce contrario ad un intervento militare in queste condizioni, mentre Cdu-Csu e i Liberali lo definiscono un’ opzione da considerare, mentre i partiti Linke e Afd si dichiarano assolutamente contrari. “La Germania deve considerare se partecipare in determinate condizioni e con i suoi alleati Francia, Gran Bretagna e Usa ad una missione militare in Siria”, ha detto Norbert Roettgen, (CDU) mentre il ministro della Difesa, Ursula Von der Leyen, chiede “una dissuasione credibile” contro gli attacchi siriani con armi chimiche.
Vale la pena sottolineare che Berlino, anche in virtù della sua Costituzione “pacifista” non ha mai bombardato l’Isis o i talebani. Anzi, in Afghanistan i soldati tedeschi erano autorizzati a difendersi se attaccati, ma non a inseguire i talebani in fuga. Ciò nonostante oggi, per aiutare i tagliagole qaedisti minacciati dai soldati di Assad e Putin, anche Angela Merkel valuta di mettere da parte la Costituzione ed entrare in guerra.
Gianandrea Gaiani | Lanuovabq.it
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